Una laica trinità basca. Arzak, Berasategui, Azurmendi

6 Dic 2019, 13:30 | a cura di
Nove stelle in tre ristoranti e pochissimi chilometri. Un'esperienza che si può fare in pochissimi posti al mondo. Uno di questi è quell'angolo di Spagna chiamato Paesi Baschi. Dove c'è una delle più alte concentrazioni al mondo di ristoranti di rango. Ne abbiamo provati tre.

Una volta atterrati all’aeroporto di Bilbao vi si presenterà un dubbio, non proprio amletico ma certo esistenziale. Girando verso ovest, avrete deciso di nutrire il vostro spirito, iniziando il lungo cammino verso Santiago di Compostela; mentre, optando verso est e San Sebastian, sarà il vostro corpo a ringraziarvi, entrando in una zona dove sembra esistere in terra un paradiso, quello dei gourmet (non a caso scelto come meta da tanti addetti ai lavori).

Guggenheim

Paesi Baschi Tre Stelle, goourmet ed easy dining

E non crediate che, in questo secondo caso, i vostri dubbi siano finiti perché dovrete comunque fare delle scelte su dove andare e cosa lasciar fuori. I Paesi Baschi, in rapporto a una popolazione ridotta e in una regione più piccola, ad esempio, dell’Alto Adige, hanno una concentrazione di locali che la Guida Michelin fotografa così: 4 ristoranti tristellati (Arzak, Akelaire, Berasategui e Azurmendi), un due stelle come Mugaritz e ben diciotto ristoranti ad una stella, tra cui Asador Extebarri a Axpe, che l’ultima classifica dei The World’s 50 Best Restaurants mette addirittura al terzo posto mondiale e Nerua, il ristorante del Guggenheim di Bilbao, al 32° (mentre, nella stessa classifica, Mugaritz è settimo e Azurmendi 14°, con il miglior progresso dal 2018, quando era 43°) .

La santissima trinità di San Sebatian

Noi ne abbiamo scelti tre (intervallandoli a scorpacciate di pinxtos, ma ne parleremo in una seconda tranche di questo reportage…), con esiti straordinariamente positivi: Arzak, Berasategui e Azurmendi, in totale nove strameritate stelle. A cominciare dai meccanismi di prenotazione, molto semplici e amichevoli (a differenza, ahimè, di qualche italiano…): scrivete alla loro mail, e in tre quattro giorni arriva la conferma che tutto è ok, accompagnata dalla richiesta di quale sia la vostra lingua preferita. Così, in due dei tre locali siamo stati accuditi da personale, tra l’altro bravissimo, italiano o che lo parlava perfettamente e da Berasategui il menu finale personalizzato ci è stato dato appunto in italiano: piccole (o forse grandi?) attenzioni che alla fine fanno la differenza.

ARZAAK esterno. 9 Stelle in Tre pranzi

Arzak. L'ambiente

Il nostro viaggio è iniziato da San Sebastian e da Arzak che, circa 30 anni fa, prese le prime Tre Stelle e da allora le ha sempre mantenute! Prenotazione per le 13.00 (in Spagna –a differenza di quanto troppo spesso accade in Italia- tutti i ristoranti vi offrono a pranzo gli stessi menu gourmet della sera), e qui troviamo forse l’unica nota negativa. Da Arzak, come negli altri due che visiteremo poi, il locale è rigorosamente sprangato fino all’ora di apertura, con i commensali in attesa davanti all’ingresso mentre, una volta entrati, non sarebbero mancati comodi divani per rendere più confortevole l’attesa.

Arzak è il più “urbano” dei tre locali, dal centro di San Sebastian ci si arriva anche a piedi in circa mezz’ora, un caseggiato francamente anonimo su quattro piani, dove ci sono anche un piccolo hotel e un laboratorio, il tutto con spazi un po’ ridotti, come testimoniano i “bagnetti”. I tavoli, tuttavia, consentono la giusta privacy e la qualità del servizio, guidato dall’ineccepibile maitre Adolfo.

Arzak Dolcetti

Piccola pasticceria

Cosa si mangia da Arzak

Qui si può scegliere tra due menu degustazione, con ulteriori opzioni di scelta al momento dei piatti centrali. Se siete in compagnia, non vi verrà fatta alcuna difficoltà a portarveli tutti diversi, sicché ci siamo trovati ad assaggiare cernia e “cuoio” di funghi, coda di rospo nel suo collagene, fegato d’anatra brodo e gelsi bianchi, piccione e sottobosco. Difficile una graduatoria tra piatti tutti geniali nella loro apparente semplicità (la coda di rospo in primis).

 triangoli del maccarello con salsa di pomodoro e uva di mar di Arzak

Triangoli del maccarello con salsa di pomodoro e uva di mare

Ad aprire le danze erano state invece delle proposte di buon livello dove, a colpire, erano i giochi di geometria che ne caratterizzavano alcune, come i triangoli del maccarello con salsa di pomodoro e uva di mare (in foto), la spirale di cocco e curcuma delle kokotxas (guanciole) di merluzzo e perle croccanti di calamari, il cubo dell’omaggio all’uovo di Arzak: una ricercatezza formale che si aggiungeva a una “sostanza” di equilibri di altissimo livello (mentre, francamente, la sezione aurea che guidava la composizione di un dolce a base di cioccolato, caffè e nocciole ci è sembrata un po’ troppo cerebrale e fine a se stessa).

Arzak. Scena finale

Accompagnato dal maitre, e in qualche momento cercando il suo sostegno, Juan Mari Arzak sembrava sinceramente emozionato a ricevere i complimenti degli ospiti: fisicamente un po’ stanco, ma ancora motivato e pronto anche a soddisfare una curiosità “tecnica” sollevata da uno degli amici al nostro tavolo.

Il nostro menu si è dilatato fino a 14 assaggi (anche per i dolci è finita che li abbiamo degustati praticamente tutti, con una preferenza per la freschezza acida della crema di ciliegie e yuzu -un agrume di origine nipponica- con croccanti di menta): quello standard è di sette portate (più pre e post a completare) a 242 euro, non proletario, certo, ma adeguato all’eccellenza del contesto e, se scegliete intelligenti vitigni locali, come Albarino di Galizia o Tempranillo della Rioja, il conto finale non crescerà di molto.

Giardino di Martin Berasategui

Martin Berasategui. L'ambiente

A Lasarte-Oria c’è il regno di Martin Berasategui: è appena a una decina di chilometri da San Sebastian, ma arrivarci sembra quasi una quest. Già il paese è piccolino, e il locale è in una zona residenziale esterna dove, se non fosse per le insegne, lo si potrebbe scambiare per una villa della buona borghesia. In compenso, appunto, le insegne non mancano e nell’attiguo, piccolo parco che porta il nome dello chef c’è addirittura una sua sagoma a grandezza naturale, accanto alla quale farsi magari una foto rituale. Forse eccessivo, ma che Berasategui sia una gloria basca è fuor di dubbio (e magari è lui che si accolla le spese di mantenimento della zona verde…).

Martin Berasategui l'esterno

Nelle sale, grandi pareti curve interamente a vetri più che isolare sembrano inglobare il verde circostante, con i tavoli tondi ben distanziati sotto una copertura in lamellare. Per noi –ogni tavolo aveva un suo cameriere esclusivo- un bravissimo giovane argentino che parlava un italiano perfetto e ben in grado di spiegare i piatti e orientare sui vini, al di là dell’ovvia presenza specifica del sommelier.

Martin Berasategui Insalata

Cosa si mangia da Martin Berasategui

Se qualcuno ha avuto il piacere di assaggiare all’ultima Cena delle Tre Forchette del Gambero Rosso l’eccellente Alici nel giardino delle meraviglie di Philippe Léveillé del Miramonti l’altro –e sottolineiamo eccellente- moltiplichi a dismisura le sensazioni provate e avrà un’idea delle emozioni che può dare una “semplice” insalata di cuori di verdura con frutti di mare. E se questo capolavoro è nato nel 2001 (come indicano le date riportate per ogni piatto sul menu) molte creazioni sono di quest’anno o appena del 2018, e confermano che la mano (e il genio) dello chef sono rimasti inalterati nel tempo.

Millfoglie aguilla e foie gras Martin Berasategui

Millfoglie aguilla e foie gras

Delle “semplici” olive marinate, un virtuosistico e altrettanto buono fiore di seppia liquido e un’accoppiata da esplosione di “mare in bocca”: i liquefatti di giunchiglia su tarama di scampi e tartina di indivia acciuga e sardina, e una cicala alla brace con calamari alla tartara e erba noce tostata, entrambi splendidi per concezione, presentazione ed equilibrio. E resistiamo alla tentazione di nominare tutte le altre dieci (sì, dieci!) proposte, limitandoci a segnalare il divertissement della Gilda (acciughe peperoncino e oliva con tartare di tonno), un “tartufo” con funghi fermentati e verza (un’altra esplosione, qui di autunno e sottobosco) e un gioiellino immortale come la millefoglie di anguilla e foie gras (e se l’aggettivo vi sembra sopra le righe considerate che è in carta da ben 25 anni!).

Gilda

Gilda

Martin Berasategui. Scena finale

Come già da Arzak, anche qui lo chef, con qualche anno in più rispetto alla gigantografia prima citata, è passato in sala.

Con 15 portate effettive (più pani, benvenuto e dolcetti) i 275 euro del menu degustazione sono ampiamente giustificati (e dalla qualità ancor prima che dalla quantità) e scegliendo un buon bianco locale (per noi un Rias Baxas Alba de Mar 2017 e un intrigante Albarino Tricò 2010) il conto finale non sale di molto.

Guggenheim

Da San Sebastian ci siamo mossi in direzione di Bilbao, dove c’è un Nerua in continua crescita anche se, al momento, fermo a una stella (come già detto, è all’interno del celeberrimo Guggenheim di Frank O’ Gehry, un museo per il quale, un po’ come per il MAXXI di Roma, è forse più importante il contenitore dei contenuti): per la terza tappa tristellata, perciò, ci siamo spostati di una ventina di chilometri, a Larrabetzu.

Azurmendi la serra

La serra di Azurmendi

Azurmendi. L'ambiente

Qui c’è Azurmendi, da circa dieci anni nella nuova sede progettata da Naia Eguino. Con scelta a dir poco anomala il ristorante è aperto solo a pranzo (salvo che nei week end) e, in attesa che alle 13.00 spaccate aprano i battenti, potete gironzolare guardando l’ampio capannone per le colture in serra, l’orticello sperimentale e il vigneto (di cui diremo dopo).

Azurmendi il cestino da pic nic di benvenuto

Il cestino da pic nic di benvenuto

Azurmendi. Il benvenuto

Gli inizi ci hanno ricordato molto il Noma di René Redzepi a Copenaghen: un’ampia struttura in legno e vetri, dove entrare in sintonia con la filosofia dello chef e gustare un picnic di benvenuto (con tanto di cestino di vimini): gelato di peperoni piquillo, brioche di sgombro affumicato, tartare di ibérico, tisana di ibisco.

La Cucina di Azurmendi

La Cucina di Azurmendi

Ogni gruppetto di commensali è seguito da un cameriere dedicato (per noi una bravissima ragazza piemontese con esperienze già da Niko Romito), che vi accompagna poi nelle enormi cucine dove, in presa diretta, vi preparano un uovo tartufato che è un capolavoro di tecnica e sapori. Un’altra tappa nella serra e finalmente si entra nella sala, un grande ambiente rettangolare interamente a vetri, con qualche pannello mobile a dare movimento e la giusta privacy.

Azurmendi Aragosta

Aragosta con burro di caffè e cipolle rosse di Zalla

Cosa si mangia da Azurmendi

Il percorso è scandito da un crescendo di sapori e sensazioni dal mare alla terra, in cui tappe imperdibili sono: l’aragosta con burro di caffè e cipolle rosse di Zalla (un paese vicino); il cefalo rosso in due preparazioni; il jamon iberico e funghi; l’agnello con cavolfiore erbe e latte di pecora. A chiudere l’usuale sequenza di dolci dove si son fatti ricordare i frutti di bosco con pomodorini e wasabi e la piccola pasticceria.

Azurmendi piccola pasticceria

Azurmendi. Scena finale

Per il vino abbiamo scelto un metraggio zero che di più non si può, l’Azurmendi Mahastia 2017 fatto nel vigneto prima citato: un po’ caro, anche se una produzione di meno di mille bottiglie può giustificarne il prezzo e, per dirla con una battuta fin troppo scontata, lo chef Eneko Atxa è più bravo in cucina che in vigna… Decisamente migliore il Rioja Viñas de Gain 2010 Artadi e, anche aggiungendo un bel brandy artigianale nell’apposita sala da sigari e meditazione, il conto finale resta estremamente vantaggioso (il menu degustazione, a 220 euro, vi propone 12 portate effettive al tavolo, più tutti i vari assaggi degli step precedenti).

Paesi Baschi, Tre Stelle e qualche riflessione

Qualche riflessione finale, magari non solo elogiativa e agiografica come è stato fin qui? Il più tranquillo e “consolatorio” è senz’altro Arzak, ed è abbastanza strano dirlo di una cucina che la Michelin definisce “creativa”: ma, evidentemente, i decenni passati hanno fatto convergere lo chef verso scelte calibrate e affinate, dove l’eventuale spirito iniziale più provocatorio si è un po’ diluito. Non è un caso che alcuni giovani chef italiani con cui abbiamo parlato non lo abbiano esaltato più di tanto, ma non c’è dubbio che, così, Arzak riesca a intercettare, e soddisfare, un range vastissimo di clientela.

Martin Berasategui è uno dei grandi chef mondiali per antonomasia e, forse, come altri suoi colleghi, sta facendo troppe cose insieme, dato anche il numero sempre crescente delle insegne a suo nome (e tuttavia, come detto, in un pranzo di un qualsiasi giorno feriale d’autunno era presente in cucina a far sentire, quanto meno, la sua guida). Nelle varie proposte, anche se create a distanza di decenni, c’è una cifra stilistica costante e riconoscibile che in alcuni momenti potrebbe sembrare ripetitiva (anche a livello visivo), ma definirlo un limite ci sembrerebbe francamente fuori luogo, visto che poi, soprattutto al gusto, ogni piatto ha una sua personalità distintiva che in niente di quanto da noi assaggiato ha avuto il più piccolo momento di cedimento.

Il più in “spinta” è senz’altro Azurmendi dove, ne siamo abbastanza sicuri, in una prossima visita troveremmo un menu totalmente diverso: quello attuale richiede una attenzione pressoché totale e i piatti appaiono sempre migliori via via che si procede, e non perché gli iniziali siano deboli, ma perché si entra sempre più in sintonia col suo modo, non immediato, di proporsi.

Paesi Baschi, Tre Stelle e il resto del mondo

E allora, è un viaggio da fare? San Sebastian e Bilbao hanno charme e atmosfere, ma se tra uno stellato e l’altro volete vedere qualche opera d’arte e di architettura Parigi, New York, Londra si commentano da sole. Tuttavia, a nostro giudizio, la qualità complessiva qui sperimentata è stata superiore a quella delle metropoli prima citate (dove nel tempo abbiamo sommato e testato 39 stelle, e quindi possiamo parlare abbastanza a ragion veduta). In Italia il triangolo Alajmo-Bottura-Uliassi può tener botta, ma l’ambito territoriale è decisamente più ampio e eterogeneo, e in definitiva pensiamo che questo nei Paesi Baschi sia un “pellegrinaggio” che ogni gourmet dovrebbe fare almeno una volta nella vita (visto anche che, nel nostro resoconto, mancano molti altri ristoranti che sembrerebbero di non minore qualità).

a cura di Dionisio Castello

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