In molti la definiscono “la polenta del sud”, ma la maracucciata merita di essere conosciuta per quello che è, con il suo nome e la sua storia unica. La connessione fra le due pietanze può venir naturale per via della consistenza simile, ma l’ingrediente alla base di questo tipico piatto cilentano è un altro: il Maracuoccio di Lentiscosa, un piccolo legume coltivato esclusivamente sulle colline della frazione di Camerota e divenuto Presidio Slow Food nel 2016.
Il maracuoccio cresce in una delle zone più ricche di biodiversità in Italia, il Cilento, la patria della Dieta Mediterranea. Si tratta di un legume antico, inizialmente destinato al bestiame e poi a lungo componente basilare dell’alimentazione contadina dell’entroterra, proprio accanto ai pilastri del modello studiato da Ancel Keys. Le sue dimensioni sono simili a quelle di un pisello, ma la forma è decisamente più squadrata e il colore variabile (si va dal verde scuro al marroncino fino al rossastro). L’etimologia del suo nome ci dice già qualcosa riguardo al suo sapore: la radice mar sarebbe di origine semitica e si riferirebbe al gusto amaro, mentre la parola cuoccio deriverebbe dal latino, indicando il baccello. La coltivazione del maracuoccio – la cui famiglia di origine è la stessa della più celebre cicerchia (Lathyrus) – è molto limitata. A Lentiscosa sono poche le aziende agricole ad occuparsene ancora oggi: si semina fra gennaio e marzo e si raccoglie a giugno, per un totale che si aggira fra i 3 e i 5 quintali di maracuoccio all’anno. Per tutelarlo nel 2016 avviene il riconoscimento come Presidio Slow Food e nasce l’Associazione dei produttori del Maracuoccio di Lentiscosa, che collaborano per migliorarne la produzione.
Il Maracuoccio di Lentiscosa, foto di Associazione dei Produttori del Maracuoccio di Lentiscosa
Una delle ricette più tradizionali con il maracuoccio, se non la più storica in assoluto, è la maracucciata, un piatto che si tramanda di generazione in generazione a Camerota. Proprio come racconta Francesco Fiore sul sito ufficiale del ristorante la Cantina del Marchese, rievocando i racconti della vita contadina che gli faceva suo nonno: «Ai tempi della guerra, quando si faceva la fame, la maracucciata si cucinava tutti i giorni».
L’ingrediente fondamentale è la farina di maracuoccio: un tempo era concesso utilizzare anche farine di altri legumi, mentre oggi una maracucciata si può definire tale solo se è presente almeno il 50% di farina di maracuoccio (la restante metà può essere grano). Gli utensili per prepararla avevano dei nomi ben precisi: la cavurara, ovvero una pentola in rame, e il ruozzolo, il bastone in legno col quale mescolare acqua e farina. Un rito a cui partecipava tutta la famiglia, considerato l’impegno e la pazienza necessaria per evitare che si attaccasse alla pentola. Una volta pronta si serviva con crostini di pane aromatizzati con cipolla, olio, aglio e peperoncino, ma attualmente viene abbinata anche ad altri ingredienti, come pesce o verdure. Oltre alla sua espressione più diffusa, cremosa e vellutata – per l’appunto, simile a una polenta – viene realizzata anche in una variante più solida, da tagliare a fette e accompagnare a verdure, formaggi e salumi.
La maracucciata con seppioline della Cantina del Marchese
Fra i pochi ristoranti ad averla in menù c’è Oasi Infreschi, ristorante biologico immerso nel Parco Nazionale del Cilento, che la propone nella sua versione classica. Fra i vicoli di Camerota, la Cantina del Marchese la abbina anche alle seppioline. Poco distante c’è la trattoria – pizzeria Maricucciata (il nome dice già tutto): qui si può assaporare in purezza oppure con funghi, cime di rapa o baccalà. Tutte soste validissime per far continuare a vivere nel tempo una tradizione radicata in un territorio così prezioso come il Cilento.
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