Notizie / Rubriche / Ad Anzio si prepara un’antica minestra di pesce che oggi rischia di scomparire

Rubriche, Storie

Ad Anzio si prepara un'antica minestra di pesce che oggi rischia di scomparire

Tra sgavaioni e pane raffermo: la poesia del porto di Anzio in un cucchiaio di minestra di pesce

  • 16 Giugno, 2025

L’odore di mare. Quello vero, che ti rimane attaccato addosso anche quando il sole comincia a calare e il vociare dei pescherecci si mescola a quello dei ristoranti sul porto. Anzio è questo: una soglia tra la memoria e il presente, soprattutto quando si parla di cucina. Perché a portare alto il vessillo della cittadina che ha dato i natali all’imperatore Nerone è una tradizione culinaria prettamente marinara che si incarna in un piatto in particolare: la minestra di pesce dei pescatori portodanzesi.

Cos’è la minestra dei pescatori di Anzio

Non è una zuppa. Non è una pasta e pesce. È una minestra, nel senso più concreto del termine: una preparazione che nasce per sfamare, per usare tutto e non sprecare nulla. A bordo dei pescherecci, dopo le nottate di fatica, secondo la tradizione che si racconta oralmente si cucinava la mazzama, ovvero il pescato minuto, quello invendibile: sgavaioni, manfroni, zerri, tracine. Pescetti spinosi, saporiti, poco amati dalla clientela dei ristoranti che acquistavano il pesce appena pescato, ma amatissimi dai cuochi di bordo. Cotta lentamente con aglio, prezzemolo, pomodorini e pane raffermo – che fa da spugna e sostanza – la minestra veniva servita calda. Alcuni ci mettevano anche una spolverata di pecorino, a sottolineare la natura popolare e affamata di un piatto che in tutte le case di Anzio ha trovato interpreti e custodi.

Dalla cucina di casa al riconoscimento

Nel 2019 la minestra di pesce ha ottenuto la Denominazione Comunale (De.C.O.), segno che la città ha voluto proteggerne la ricetta, ma soprattutto il racconto. Un modo per dire che la cucina non è solo ristorazione, ma identità. E proprio la storia dell’identità passa oggi per le mani di chi questa minestra ha deciso di non lasciarla sparire. È il caso del ristorante Il Turcotto, il più antico della città – 209 anni di storia, oggi guidato da Enrico Garzia, settima generazione di ristoratori – che ne ha fatto un piccolo manifesto.

Durante l’ultima edizione di Degustanzio – il percorso a tappe tra i ristoranti del lungomare – la minestra è tornata sotto i riflettori. Non come reliquia, ma come ambasciatrice della sapienza culinaria e della tradizione; e alla famiglia Garzia, che la prepara da oltre due secoli, è toccato l’onere e l’onore di riproporne i fasti in una versione di grande raffinatezza, dove il profumo e l’aroma del brodo di sgavaione inzuppavano golosi cubetti di pane tostato, proposti a sostituire l’ormai abituale spaghetto spezzato. Un tocco retrò, come la maggior diluizione della minestra a voler ricordare i tempi in cui “i pescatori la facevano con l’acqua di mare e i pomodorini del proprio orto”. Minestra che, sottolinea Enrico «non è un guazzetto improvvisato a bordo delle barche, bensì una preparazione più complessa, con passaggi che si potevano fare solo a casa».

«Alcuni, specie in passato, amavano aggiungere pecorino e noi lo proponiamo, assieme al limone e al peperoncino come ingrediente da aggiungere alla nostra minestra», spiega Garzia, che ripercorre con passione le tappe che hanno portato al riconoscimento De.C.O. aggiungendo al racconto dettagli preziosi: «negli anni Trenta, nelle fraschette di Anzio, si usava aggiungerci anche un goccio di Bellone».

Mazzama? No, l’originale è solo di sgavaione.

Solo la versione con sgavaione (o caviglione) può fregiarsi ufficialmente della denominazione, però. A sancirlo è il protocollo certificato dalla commissione di assaggio davanti alla quale nel 2019 il titolare del Turcotto si è presentato per ottenere il riconoscimento per questo piatto. È lui, lo sgavaione, da sempre, l’attore protagonista della minestra dei pescatori portodanzesi.

Sgavaione

E non potrebbe essere altrimenti, perché lo sgavaione è molto più che un pesce da brodo. Il suo nome scientifico è Lepidotriglia cavillone, una specie di triglietta di fondale, dal profilo basso e appuntito in parte assimilabile alla gallinella di mare, ma assai differente per colori e dimensioni, oltre che per la carne sapida e la consistenza compatta. Pescato tradizionalmente nei mesi più freschi, lo sgavaione nuota rasente il fondo e si nasconde tra sabbie e sedimenti, rendendosi disponibile solo in determinati periodi e in specifici tratti di costa. Piccolo e pieno di spine, lo sgavaione non offre altra possibilità in cucina al di fuori di quella di insaporire zuppe e minestre con una lunga cottura e il suo aroma inconfondibile è la firma sulla minestra dei pescatori di Anzio che, a detta dei locali, nessun altro pesce di mazzama è in grado di offrire.

Una questione di famiglia

Quella della minestra è una questione di famiglia ad Anzio. Una tradizione che passa di generazione in generazione, specie tra le famiglie che hanno dedicato una vita alla ristorazione. Come dimostra Priscilla Regolanti, figlia di Alceste Regolanti, fondatore dello storico Alceste al Buongusto (attivo dal 1950), che nella cucina dell’Alceste Cafè continua la tradizione con un tocco personale: «La mamma la faceva con le marmore, sosteneva che fosse il pesce più saporito della mazzama, e io continuo a farla come la faceva lei».

Walter Regolanti

Walter Regolanti

Walter Regolanti, chef e carismatico titolare di Romolo al Porto, fondato nel 1968 da Romolo Regolanti (fratello di Alceste), propone tre versioni della minestra: la classica con il pomodoro, una versione in bianco che definisce “l’essenziale” e infine un omaggio a Gennaro Esposito, servita con crema di ceci e spaghetto di Gragnano. La versione “essenziale” è forse la più sorprendente: una minestra verticale, sapida, dove l’umami del pesce di mazzama – tracine, sgavaioni, gardonie, manfroni e zerri – viene esaltato con minimalismo, grazie a poche gocce di limone, una punta di peperoncino e prezzemolo finemente tritato.

Diversi ristoranti ne forniscono una loro interpretazione e ognuna ha la sua riconoscibilità in un quadro che rispecchia comunque in massima parte la tradizione. E c’è poi quella casalinga, preparata ancora oggi da alcune famiglie del quartiere portuale, che la servono solo nei giorni “di riposo”.

Una tradizione che resiste, anche quando le risorse non aiutano

Il racconto della minestra, se si vuole essere onesti, non può prescindere da un dato di realtà: l’impoverimento dei fondali e la drastica riduzione della disponibilità di sgavaioni nelle acque del litorale laziale. A pesare è soprattutto la pesca a strascico, che altera gli habitat marini e rende sempre più difficile trovare il pescato povero di un tempo.

«Quando c’erano più pesci che uomini» – racconta un vecchio pescatore – «lo sgavaione non lo voleva nessuno. Oggi non si trova nemmeno a pagarlo oro». La stagionalità è ancora importante, ma anche quando sarebbe il momento giusto il prodotto non sempre c’è, e questo spiega perché molte versioni attuali della minestra includano marmore, tracine o zerri, cercando di restare fedeli allo spirito della ricetta, più che alla lettera. Anche per questo, forse, la minestra è diventata simbolo di un luogo che si racconta bene solo con i piedi nel mare e lo sguardo fisso su chi sa ancora cucinare con amore, con rispetto e con l’orgoglio dell’appartenenza. Non solo ad un luogo, ma alle tradizioni di una cucina che valorizza ciò che è disponibile, che racconta la fatica, l’adattamento, la cura. Una cucina che mette nel piatto non solo ingredienti, ma gesti, memorie, stagioni, difficoltà.

TI POTREBBE INTERESSARE ANCHE...

Corsi per Appassionati

Corsi per Professionisti

University

Master

© Gambero Rosso SPA – Tutti i diritti riservati.

Made with love by Programmatic Advertising Ltd

Made with love by Programmatic Advertising Ltd

© Gambero Rosso SPA – Tutti i diritti riservati

La più autorevole guida del settore dell’enologia italiana giunge quest’anno alla sua 37sima edizione. Vini d’Italia è il risultato del lavoro di uno straordinario gruppo di degustatori, oltre sessanta, che hanno percorso il Paese in lungo e in largo per selezionare solo i migliori: oltre 25.000 vini recensiti prodotti da 2647 cantine. Indirizzi e contatti, ma anche dimensioni aziendali (ettari vitati e bottiglie prodotte), tipo di viticoltura (convenzionale, biologica, e biodinamica o naturale), informazioni per visitare e acquistare direttamente in azienda, sono solo alcune delle indicazioni che s’intrecciano con le storie dei territori, dei vini, degli stili e dei vignaioli. Ogni etichetta è corredata dall’indicazione del prezzo medio in enoteca, delle fasce di prezzo, e da un giudizio qualitativo che si basa sull’ormai famoso sistema iconografico del Gambero Rosso: da uno fino agli ambiti Tre Bicchieri, simbolo di eccellenza della produzione enologica. che quest’anno sono 498.

In edicola

No results available

Reset

No results available

Reset