Una mensa per i lavoratori pensata nel 1936, nel piano interrato della fabbrica con servizio a self service e pagamento con buoni pasto. La visione innovativa di Adriano Olivetti, imprenditore illuminato, emerge già negli anni del fascismo. Ma è dopo la Liberazione, quando Olivetti fonda a Ivrea nel 1947 il Movimento Comunità, vero progetto di riforma sociale, che la cultura della fabbrica diventa, per la prima volta in Italia, il disegno della progettazione di un’intera città, basata su tecniche innovative di pianificazione urbanistica e su una nuova visione della società.
Tutto il complesso della fabbrica di macchine per scrivere di Olivetti è oggi uno straordinario museo a cielo aperto, il MaAM, che ha fatto sì che l’Unesco nel 2018 abbia inserito Ivrea nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità come “Città industriale del XX secolo”. I più grandi architetti del periodo sono stati chiamati a costruire non solo spazi di produzione ma spazi per vivere. Le case per i dipendenti, per i dirigenti, la mitica Unità Residenziale Ovest, più nota come Talponia, un’architettura che come una talpa “scava la terra” per confondersi con il paesaggio, le case degli anni ’50, i tre blocchi degli edifici di 18 alloggi del 1956. Un articolato progetto di housing sociale di Olivetti. Con un Centro dei servizi sociali, l’asilo nido ed elementi insieme funzionali e decorativi.
Luogo-chiave l’iconica Mensa Aziendale e Circolo Ricreativo, vicino al convento di San Bernardino: a pianta esagonale, progetto firmato dall’architetto Ignazio Gardella nel 1953 con la collaborazione dell’ingegner Roberto Guiducci e influenzata dal grande architetto Frank Llyod Wright, per esempio nello studio della pianta, nei colori, i materiali di rivestimento e in alcuni elementi architettonici, come la fioriera a pianta quadrata. Un edificio di grande eleganza architettonica, una delle opere più importanti di Gardella, che esprime perfettamente la filosofia di Adriano Olivetti verso i “suoi” lavoratori, con un’attenzione particolare alla qualità della vita dei dipendenti per i quali per esempio venne attivato un servizio di trasporto privato per sopperire alle carenze di mezzi pubblici.
La mensa aziendale è un edificio immerso nel verde, tre piani sfalsati fuori terra sul lato nord-est e quattro sui lati sud-est e sud-ovest. Progettata per accogliere nella sala comune fino a 1800 persone, distribuiva anche 9.000 pasti al giorno. Il grande atrio di ingresso era uno spazio aperto per ospitare le diverse attività ricreative e culturali che integravano il tempo del lavoro in fabbrica. Nelle sale superiori spazi per altri servizi ai lavoratori o destinati al riposo e alla lettura. Un edificio dal forte significato simbolico, un progetto di architettura che fa parte di un disegno sociale molto più ampio. All’esterno, la Mensa segue il dislivello del terreno inserendosi perfettamente nell’ambiente, sullo sfondo la città storica e il paesaggio naturale. La pianta esagonale segue l’orografia della collina, in un rapporto ideale tra architettura e natura. Balconate percorribili, grandi vetrate, passerelle e scale, rendono fruibile direttamente lo spazio verde della collina e dell’area destinata alla ricreazione e al riposo, comprese biblioteca ed emeroteca.
Gli spazi della mensa e dopomensa (doveva esserci anche un cinema-teatro, non realizzato) si inseriscono nel complesso ricreativo e sportivo Olivetti, con campi di tennis e di bocce da un lato e le zone di riposo dall’altro. Tutt’intorno gli altri ambienti che, seguendo in parte l’andamento del terreno, sono di diversi livelli e altezze. Lungo l’arco nord si trovano prima gli ambienti di maggior altezza: caffè, bar, spazio per il ballo, accessibili facilmente, poi le sale per il biliardo, ping-pong e giochi vari. Lungo l’arco sud, dove il perimetro si abbassa seguendo l’andamento del terreno, gli ambienti di minor altezza destinati al riposo, alla lettura e scrittura. Estetica e funzionalità: i pavimenti sono in gres bruno, l’intonaco del soffitto è termoacustico, la controsoffittatura contiene l’impianto di condizionamento e l’illuminazione è a fluorescenza. I lavori iniziano a novembre 1954 e , con una sospensione di due anni, si concludono nell’agosto 1959.
E quello che colpisce è l’unitarietà nei suoi aspetti estetico-pratici. Come scriveva Gardella “ per non frantumare l’ambiente ho scelto per l’edificio una compatta forma poligonale, a pianta centrale, facendolo diventare quasi un perno intorno a cui ruota lo spazio esterno…una successione di ambienti che seguono l’andamento del terreno, di modo che ogni spazio interno sfocia direttamente nello spazio esterno corrispondente. L’ultimo piano è tutto occupato dalla mensa vera e propria con al centro il gruppo delle linee di self-service, al quale si arriva direttamente e rapidamente attraverso un sistema di scale e scale mobili, collegate con una galleria sotterranea alla vicina Fabbrica”. Da ricordare che all’epoca la durata della pausa pranzo era di due ore e, secondo la filosofia Olivetti, questo tempo era anche un’occasione di arricchimento culturale.
Mariella Rapetti, che ha lavorato all’Olivetti dagli anni ‘80 alla chiusura nei primi anni 2000, racconta di una cucina semplice, casalinga e sana, tutto cucinato al momento, niente precotti, e con prodotti freschi del territorio. “La mensa era aperta anche ai figli dei dipendenti, che spesso passavano a mangiare uscendo da scuola, e ai pensionati”. Paola Rozzi, figlia di Piero Rozzi, dirigente Olivetti dal 1938 fino alla pensione, ricorda che durante i turni alla mensa “si svolgevano mini-spettacoli culturali di mezz’ora circa, una volta arrivò anche Gassman”. Grande attenzione ai contadini della zona con l’obiettivo di migliorare le coltivazioni (la montagna non è mai stata abbandonata dagli operai olivettiani, erano le donne a lavorare nei campi in settimana, quando gli uomini erano “ alla fabbrica”). Ed erano ortaggi coltivati per la mensa, oltre all’allevamento di polli. “C’era un pollaio davanti a Palazzo Uffici– aggiunge Paola Rozzi – e i polli ruspanti erano destinati alla mensa. Olivetti aveva fondato anche la Cantina Sociale della Serra, ancora attiva attualmente, per favorire la vinificazione e la vendita dei vini locali”.
Una visione legata all’ambiente e al territorio particolarmente attuale. Adriano Olivetti aveva anticipato i tempi. E oggi toccherebbe ripartire da progetti di lavoro altrettanto attenti alla natura e alle persone.
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