Non è il bilancio aziendale a determinare il peso dei conti nei ristoranti d’alta quota. Non è il rapporto tra domanda e offerta. Non è l’ascensione perenne dei costi. L’indice Mib delle cucine d’autore sono le stelle Michelin. E allora? Bella scoperta. Io per primo mi sono abituato a considerare questa dinamica commerciale come un sereno dato di fatto, senza pormi alcuna domanda sulla sua relazione con la realtà. Finché, una mattina, sfoglio gli appunti di qualche mese prima. E sobbalzo, accorgendomi che il ristorante milanese Verso, condotto dai fratelli Capitaneo, avendo conseguito due stelle in un sol botto nello scorso novembre, ha improvvisamente aumentato i prezzi del 46%, portando il menu degustazione da 130 a 190 euro. Un rincaro fuori da ogni logica contabile. Come lo si giustifica? Risponde candidamente il maître Marco Matta: «Ci siamo allineati in base al premio che Michelin ci ha assegnato a novembre. Abbiamo portato i prezzi in linea rispetto ai ristoranti della stessa fascia».
L’articolo disponibile integralmente sul numero di maggio del mensile Gambero Rosso in edicola
Discorso analogo per il George del Grand Hotel Parker’s di Napoli che una stella se l’era già appuntata sul petto. Guadagnata la seconda, si è tempestivamente messo in parità, rimpolpando generosamente i conti: il menu degustazione più economico è passato da 120 a 170 euro (+ 41%), il più lussuoso da 170 a 220 euro (+ 31%). «Quest’anno abbiamo preso le due stelle Michelin. Quindi, è normale che i prezzi siano aumentati», mi dicono.
Gigionesca e difensiva, invece, la risposta di Andrea Aprea, chef partenopeo e partemilanese, che ha issato i menu degustazione da 155 a 200 euro (+ 29,3%) per la versione meno esosa e da 195 euro a 250 (+ 28,2%) per il percorso di maggior pregio. Sfodera la lingua madre per incartare un concetto opinabile: «Da metà marzo 2023, il cibo è aumentato del 30-35%. Ho 40 dipendenti, e cumme se fa?».
Cumme se fa? Ottima domanda. Un ambiziosissimo esercito di cuochi vive in volontaria dipendenza dai riconoscimenti di un singolo prodotto editoriale, eletto al rango di Suprema Cassazione, benché sia legittimo nutrire dubbi su trasparenza, indipendenza e attendibilità dei giudicanti. Risponde “obbedisco” a sollecitazioni autorali che travalicano i confini del talento, come se la creatività fosse un rubinetto da aprire alla bisogna. E si inchina alla dittatura delle stelle, tarando i conti su un ordinamento gerarchico del tutto arbitrario.
Cumme se fa, se questo meccanismo non riconosce alcun ruolo alla clientela? Se la sopravvivenza di molti ristorantoni è minacciata proprio dagli standard, eccessivi e bislacchi, imposti dalla guida dei gommisti?
In qualsiasi contesto laico, si concede credito collettivo a un soggetto sulla base di opere e azioni concrete, facilmente riscontrabili. Nel caso della Michelin, vige invece la regola contraria. Siamo alla mistica della Fede. Amen.
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