«I ristoranti stellati a Milano sono un mercato non fiorente, da qui la scelta di aprire sempre in città due posti più democratici». A dirlo è Viviana Varese, chef e imprenditrice, nata a Salerno nel 1974 ma milanese d’adozione, in un’intervista al Corriere della Sera in cui racconta i motivi che l’hanno portata a chiudere Viva, il suo ristorante stellato all’interno di Eataly Smeraldo di Milano, per aprire sempre in città due «posti più democratici» (tra cui Faak).
Nella chiusura del ristorante Viva, racconta la chef, hanno inciso anche i costi: «Milano è una città che ha un’ampia offerta ristorativa anche stellata, più di quando abbiamo aperto Viva 10 anni fa: ma i ristoranti stellati in città sono un mercato non fiorente, da qui la scelta di aprire sempre in città due posti più democratici». Sulla ristorazione pesa anche la ricerca di personale, diventata negli ultimi anni sempre più difficile, in particolare dopo la pandemia con migliaia di camerieri e cuochi che hanno deciso di abbandonare i propri lavori per reimpiegarsi in altri settori. Cercare personale per un nuovo locale, spiega Varese, «è un tema importante: diciamo che nella ristorazione è difficile rientrare nelle 40 ore spaccate di lavoro perché magari i tempi si allungano, possono capitare degli imprevisti o i clienti arrivano tardi».
Da Faak, aperto un mese fa, «abbiamo deciso di rispettare in modo rigoroso le 40 ore a settimana: ci sono due turni, quindi si lavora o dal mattino presto a dopo pranzo oppure dal pomeriggio fino alla sera. Così siamo riusciti a trovare personale». Un’organizzazione del lavoro che richiede più assunzioni; per poter rispettare gli orari previsti dai contratti nazionali infatti c’è bisogno di avere due squadre: «Questo fa aumentare i costi per noi ma anche per il cliente. Dovremo abituarci a pagare di più, come già avviene nel resto d’Europa. In Italia il cibo costa ancora poco, quasi la metà, rispetto alla Germania o alla Francia. Si andrà meno a mangiare fuori».
Sempre nell’intervista al Corriere Milano, Varese parla anche del tema delle donne in cucina. «Vengo da una famiglia di imprenditori in questo settore e ho avuto sempre il mio ristorante, sono stata più fortunata di altre colleghe», racconta. Ma in generale «per le donne è un mondo molto complicato, come tutti i settori in cui vogliamo fare carriera. Noi siamo molto aperti ad avere donne nel nostro staff ma riceviamo ancora pochi curriculum».
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