Sulle (presunte) origini della carbonara si potrebbe scrivere un libro. Senza tuttavia riuscire a cavarsi d’impiccio con prove inconfutabili che avvalorino l’una o l’altra tesi. Tra i piatti più celebri della cucina italiana nel mondo, la carbonara è diventata una ricetta mitica, tutelata dai puristi del made in Italy come fosse qualcosa di storico e ancestrale. Eppure le sue origini sarebbero strettamente connesse all’America, come abbiamo provato a raccontare qualche tempo fa, con Luca Cesari pronto a districarsi tra aneddoti, leggende fantasiose e ricettari del secondo Novecento. In occasione della quarta edizione del Carbonara Day, celebrato il 6 aprile con profusione di iniziative (pur tutte virtuali, vista la contingenza), vi sveliamo però un altro tassello della storia, legato al cuoco bolognese Renato Gualandi, che molti anni più tardi pubblica i suoi Spaghetti alla Carbonara nella raccolta Erbissima (1991), attribuendo l’invenzione della ricetta a sé e agli altri soldati cucinieri italiani impegnati “al fianco degli Alleati vincitori, durante la Liberazione di Roma”.
Il testo prosegue contestualizzando la prima prova a Riccione, quando Gualandi fu ingaggiato (era il 22 settembre 1944) per preparare un pranzo in occasione dell’incontro tra l’Ottava Armata inglese e la Quinta Armata americana nella città appena liberata. “Ma allora perché i romagnoli non hanno mai rivendicato la paternità del piatto?”, si chiede oggi Igles Corelli. Nelle ultime settimane, complice il tempo a disposizione, il cuoco di Ferrara ha condotto diverse ricerche per ricostruire una storia il più possibile attinente alla realtà dei fatti. E nel suo percorso ha intercettato uno dei sodali più vicini al Gualandi (scomparso nel 2016, a 95 anni), tal Silverio, che con il maestro condivideva la passione e la ricerca sulla cucina medievale.
È Silverio a riportare oggi quel che gli confessò Gualandi a proposito della prima invenzione della carbonara: “La ricetta nacque a Roma, quasi per caso, sempre nel ’44, quando Gualandi era commilitone e si trovò a dover esaudire la richiesta di due generali, un americano e un inglese, che volevano mangiare”, racconta Corelli. Così il cuoco provvide con quanto aveva a disposizione, attingendo dalle scorte delle truppe, per creare “un vero e proprio mappazzone, attraverso un’operazione che nel gergo delle cucine un tempo si chiamava pdf, pulizia dei frigoriferi: tutto il cibo in eccedenza che rischiava di andare buttato veniva usato per sfamare il personale, succede ancora oggi”. Dunque, Gualandi assemblò quel che poteva: latte in polvere, uovo liofilizzato, bacon e burro fuso. Ne venne fuori un piatto di grande golosità, “dove non fu tanto l’uovo, ma il formaggio fuso a creare quella ‘bavosità’ che avrebbe conquistato i commensali”. Poi la ricetta cominciò a diffondersi, replicata con tuorlo d’uovo e altri ingredienti del territorio, e insieme trovò fortuna in America. “A Riccione, però, arrivò solo in seguito, per trovare un momento di grande diffusione dobbiamo arrivare agli anni Ottanta, quando divenne un piatto di casa, da condividere in famiglia”.
Anche in questo caso, c’è da ribadirlo, si procede per ricostruzioni a posteriori. Il mito della carbonara continua ad alimentarsi, e forse anche questo è il suo bello. Buon Carbonara Day a tutti con la videoricetta di Igles Corelli:
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