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Caporalato nelle Langhe: ecco come funzionano le assunzioni che portano allo sfruttamento

Il reportage del quotidiano La Repubblica racconta la dura vita dei vendemmiatori stranieri nei distretti tra Barolo e Asti, mentre la Cgil e il Consorzio del Barolo sottolineano il paradosso tecnico che di fatto costringe a rivolgersi a società il cui operato è difficile da verificare

  • 12 Luglio, 2024

Una paga di appena 5 euro l’ora per lavorare anche oltre dieci ore nei vigneti del celebre territorio delle Langhe, patria di numerose Doc e Docg, tra cui Barolo e Asti, e poi una sorta di prigione-tugurio per dormire su una branda, al prezzo di 500 euro al mese, con una ventina di persone. In mezzo, minacce e botte (anche con spranghe), se si prova semplicemente a chiedere un piccolo aumento. In sintesi, è il quadro emerso dalle testimonianze di alcuni braccianti agricoli raccolte dal quotidiano La Repubblica del 12 luglio, dopo l’indagine che, in Piemonte, ha portato agli arresti tre persone accusate di sfruttamento del lavoro e di caporalato, su cui il ministro Lollobrigida ha annunciato maggiori controlli, nell’ambito di una inchiesta coordinata dalla Procura di Cuneo.

Tra i caporali aguzzini anche figure femminili

I caporali-aguzzini sono spesso stranieri – uno di essi finito ai domiciliari ha minacciato di morte il sindaco di Mango – in molti casi sono donne, chiamate “maman del Moscato“, e lo sfruttamento avviene ai danni di cittadini migranti. Anche perché, come racconta il segretario provinciale della Cgil di Cuneo, Tommaso Bergesio, gli italiani non sono disponibili a lavorare: «Nelle Langhe ci sono 16mila ettari di vigne e negli ultimi anni la superficie coltivata è aumentata del 12 per cento e questo richiede una quantità maggiore di manodopera». Sul territorio, ci sono circa duemila cooperative censite dall’Istat nel 2023. Molte sono ditte individuali formate da ex braccianti, iscritte regolarmente alla Camera di commercio locale e che riescono ad aggiudicarsi le commesse. Va da sé che i casi di caporalato siano all’ordine del giorno».

Il “problema tecnico” e il paradosso delle assunzioni dirette

Ma c’è un paradosso, spiega Bergesio: «Un’assunzione diretta costa alle aziende 12 euro l’ora, mentre passando per la cooperativa spendono tra 17 e 18 euro». In teoria l’assunzione diretta sarebbe la via più conveniente. Ma, come sottolinea Sergio Germano, alla guida del Consorzio del Barolo, c’è un problema tecnico che fa sì che per le 600 imprese vitivinicole in Langa, di cui 400 produttrici di Barolo, non convenga assumere direttamente gli agricoltori: «L’agricoltura è stagionale e se mi servono 15 persone, per i tre mesi di vendemmia, non posso assumerle a tempo indeterminato». Pertanto, la via delle cooperative appare una strada obbligata, con tutti i rischi di degenerazione che si conoscono. I tentativi per limitare il fenomeno ci sono: una lista di imprese virtuose è stata stilata dal Consorzio Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani e da Confcooperative: «Almeno dieci le realtà virtuose. Stiamo cercando di fare in modo che anche le altre – ha concluso Germano – si iscrivano alla lista».

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