Il Coravin ci prende la mano. In cantina, “pizzichiamo” con il diabolico ago elettronico una sfilza di vecchie annate. Partiamo dal 1989 fino ad arrivare alla gloriosa 2010, completando un bel giro della Penisola. Tra le tante, incontriamo l’iconica etichetta gialla di Valentini, la rossa di Giacosa, lo stemma con la rosa dei venti del Sassicaia, il melograno sul Granato di Elisabetta Foradori. I vini sono tutti ancora molto integri, a tratti duri, ben lontani dal compimento. I tannini, in particolare, sono ancora scalpitanti nei rossi, con un legno che ha sapientemente compattato e fissato la struttura del vino. L’invecchiamento procede da manuale, lento e graduale.
Impossibile non fare confronti con il presente. Uno dei segnali più evidenti del nostro tempo è l’impazienza. Tutti, ma proprio tutti, i vini prodotti oggi sono incredibilmente pronti all’uscita, al di là dell’origine e della firma del produttore. L’effetto del riscaldamento climatico è evidente, basta leggere i dati analitici, ma c’è qualcosa di più profondo. E ha a che fare con noi. Con una società ossessionata dalla dimensione del presente, che mangia sondaggi e cerca costantemente leggerezza, piacere, consenso.
Nel bicchiere tutto questo si traduce in bevibilità: ora e subito. I vini devono essere pronti per la mescita, per la ristorazione, per l’anteprima dell’anteprima, per l’importatore giapponese di turno. Pronti oggi, domani chissà. La cultura dell’istante ha avuto un impatto prepotente nella cultura del bere. Anche etichette super classiche come il Cervaro della Sala o i millesimi di Krug si presentano sempre più freschi, leggeri, immediati. In linea con il gusto di una società assuefatta da storie che non durano oltre le 24 ore. A furia di esaltare la sottrazione, abbiamo reso concreto il rischio di sbiadire la dimensione futura del vino.
I vini immessi sul mercato sono già equilibrati, armonici, non hanno bisogno del tempo per trovare una nuova veste. L’invecchiamento è spesso superfluo, anche perché oggi molte etichette, sempre più essenziali nello stile, hanno più da perdere che da guadagnare dallo scorrere del tempo. Al contempo, deridiamo tutti i vini più ostici nel primo tratto del percorso, dal Sagrantino di Montefalco al Taurasi; ci sembrano anacronistici, fuori luogo come un pantalone a zampa di elefante indossato alla cena di gala del Brunello. I Barolo? Quelli di oggi sono carezze rispetto alle versioni realizzate solo 10 anni fa. Nel nome della leggerezza ci stiamo scolando anche il futuro.
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La più autorevole guida del settore dell’enologia italiana giunge quest’anno alla sua 37sima edizione. Vini d’Italia è il risultato del lavoro di uno straordinario gruppo di degustatori, oltre sessanta, che hanno percorso il Paese in lungo e in largo per selezionare solo i migliori: oltre 25.000 vini recensiti prodotti da 2647 cantine. Indirizzi e contatti, ma anche dimensioni aziendali (ettari vitati e bottiglie prodotte), tipo di viticoltura (convenzionale, biologica, e biodinamica o naturale), informazioni per visitare e acquistare direttamente in azienda, sono solo alcune delle indicazioni che s’intrecciano con le storie dei territori, dei vini, degli stili e dei vignaioli. Ogni etichetta è corredata dall’indicazione del prezzo medio in enoteca, delle fasce di prezzo, e da un giudizio qualitativo che si basa sull’ormai famoso sistema iconografico del Gambero Rosso: da uno fino agli ambiti Tre Bicchieri, simbolo di eccellenza della produzione enologica. che quest’anno sono 498.
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