Per la Pasqua ebraica (Pesach) esistono regole ben precise che ne scandiscono la celebrazione, ed esistono delle regole che riguardano anche quello che viene consumato durante la festa. Il vino, bevuto durante il Sèder, (la cena rituale della Pasqua ebraica), è uno degli elementi principali e per poterlo consumare deve essere kosher (cioè “adatto, conforme”). Non dissimili a livello di produzione da qualunque altro vino, i vini kosher devono, tuttavia, aderire a una serie di leggi alimentari ebraiche contenute nella Torah note come “kasherut“.
Il vino svolge un ruolo importante nella cultura, nella tradizione e nelle cerimonie della religione ebraica. In molte festività ebraiche, in particolare il Sèder di Pasqua, dove tutti i presenti bevono quattro bicchieri di vino, il Purim per il pasto festivo e lo Shabbat, richiedono la benedizione obbligatoria (Kiddush) su bicchieri pieni di vino kosher che vengono poi bevuti.
Per qualificarsi come “kosher”, il vino deve essere prodotto solo da lavoratori ebrei praticanti che partecipano attivamente alla vinificazione, dalla pigiatura dell’uva all’imbottigliamento. Una stringente condizione che vale anche per il più piccolo dettaglio, come accendere una pigiadiraspatrice o assaggiare il vino durante il processo. Infatti, se il vino venisse a contatto con qualcuno che non fosse di fede ebraica non sarebbe più possibile ritenerlo kosher. Non solo, gli stessi contenitori utilizzati per la maturazione (acciaio, legno, cemento ecc.) vanno “purificati” con acqua bollente se sono stati utilizzati per un vino non kosher.
L’unica eccezione a questo dogma è il momento della vendemmia, in cui è consentito a chiunque maneggiare i frutti in quanto non si sta attivamente partecipando alla trasformazione dell’uva in vino. Anche per quanto riguarda le sostanze usate (come lieviti) devono essere certificati kosher e non devono derivare da sottoprodotti animali. Figura chiave è il rabbino che controlla le operazione e “certifica” che le operazioni si siano svolte nel modo più adatto.
Il vino imbottigliato in questo modo, si adatta alle regole della Kashrut, ma se viene versato da un non ebreo, ad esempio, quando viene servito da un cameriere, perde la sua natura “kosher”. Per ovviare a questo problema esiste il cosiddetto vino “Mevushal”. Si tratta di un vino kosher che viene portato tra gli 86° e i 98° tramite pastorizzazione rapida, pratica che permetterebbe il servizio del vino a un non ebreo. Il vino Mevushal (letteralmente “cotto”) affonda le sue radici nell’antica legge ebraica. Nell’antichità, infatti, il vino era comunemente usato dai pagani nelle loro offerte agli dei. Una condizione che spinse i rabbini ad istituire le severe regole sulla produzione di vino kosher per garantire che gli ebrei non bevessero vino associato a pratiche idolatriche.
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