Le uova stanno vivendo un nuovo rinascimento gastronomico: archiviate le paure novecentesche sul colesterolo, oggi sono l’alimento feticcio di sportivi, chef e food influencer. Il loro impiego è sempre più consapevole: dalla pastorizzazione casalinga al riuso intelligente degli albumi, passando per la valorizzazione del prodotto di filiera — biologico, certificato e da allevamento a terra.
Ne risulta che, sulle tavole del mattino ma anche nei brunch e perfino nei pranzi leggeri, le uova strapazzate sono diventate il nuovo alimento capace di conciliare gusto, benessere e un tocco internazionale. Forse l’avocado toast può iniziare a tremare.
Un tempo era il piatto che tutti sapevano fare, ma che nessuno prendeva troppo sul serio. Due uova sbattute e versate in padella con un po’ di burro o olio, qualche secondo di calore e via, sulla fetta di pane tostato: le uova strapazzate erano il sinonimo stesso di cucina veloce, quasi di ripiego. Poi qualcosa è cambiato.
Oggi le scrambled eggs sono uscite dalla comfort zone della cucina casalinga per entrare nei menu dei caffè di ricerca, delle bakery d’impronta scandinava, persino nei brunch di lusso. A Milano, Roma, Napoli e oltre, le uova strapazzate sono diventate la risposta moderna all’ormai datato avocado toast. Piacciono perché sono leggere, sazianti, versatili e gustose. Ma soprattutto perché permettono di misurare la tecnica di chi le prepara.
Nel nuovo corso della colazione italiana ci sono le versioni iperproteiche, fatte solo di albumi montati e cotti con attenzione, amate da chi frequenta palestre e social. Ci sono le interpretazioni nordiche affiancate al salmone affumicato, le varianti mediterranee con labneh e bottarga, il fluffy egg sando giapponese, persino divagazioni che prediligono i fermentati, come il kimchi.
La base, però, resta la cottura: precisa, calibrata, rispettosa della materia prima. Dietro il successo odierno ci sono due scuole di pensiero.
Quella statunitense, dove le uova sbattute sono cotte a fiamma medio-alta, con una componente di latte o panna, sale e spezie — talvolta anche formaggio. La cottura è più rapida, il risultato più asciutto e compatto, con una cagliata grossolana. Ideali per accompagnare pancetta croccante e toast imburrati.
E poi c’è la scuola francese, con le œufs brouillés, esercizio di stile più sofisticato. Si cuociono a bagnomaria o a fiamma dolcissima, mescolando continuamente con una spatola (o addirittura una frusta), impiegando tanta pazienza e nessuna aggiunta di liquidi — al massimo una noce di burro chiarificato. Il risultato è una crema liscia e vellutata, quasi da cucchiaio.
Due mondi opposti, entrambi oggi di gran voga nei locali che scelgono di dichiarare in carta la provenienza delle uova, il metodo di allevamento e lo stile di cottura adottato.
Le uova strapazzate sono passate dall’essere una ricetta elementare a cartina di tornasole di un nuovo modo di intendere la prima colazione (o il brunch). Un piatto che, dietro la sua apparente semplicità, racconta precisione, consapevolezza e quella voglia di comfort contemporaneo che oggi domina la scena.
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