La passione (ossessione) per il dipping è una costante per gli statunitensi: le salse, è risaputo, sono alla base della cucina d’oltreoceano, ma il passo in più, al quale, forse, non eravamo pronti, è quello di intingere la pizza – condita, non bianca! – in vagoni di salse. Tra i tanti esempi, la catena mondiale di pizzerie Papa Johns da tempo commercializza una vasta linea di Pizza Dipping Sauces ai più svariati gusti (bbq, all’aglio, ai formaggi, alla salsa della pizza stessa).
Noi italiani, si sa, siamo più morigerati, anche se, con l’esplosione del food porn pure nella Penisola, si è diffuso come una pandemia – soprattutto nel mondo dei panini – l’uso sovrabbondante di salse di dubbia composizione, quelle al Cheddar e al pistacchio su tutte.
La pizza tricolore è entrata da un po’ in questo agone, ma, a parte le inutili strisce di decorazione che ricordano tanto l’uso che si faceva dell’aceto balsamico negli anni ’90, sono molti i pizzaioli che hanno affrontato in termini intelligenti (e gourmand, possiamo dirlo) la proposta di intingoli in menu per spingere le persone a non lasciare il cornicione nel piatto.
Come tante delle innovazioni nel mondo della pizza, dobbiamo guardare a Caiazzo per scoprire, alla tavola di Franco Pepe (da Pepe in Grani) l’idea di un intingolo per fare la scarpetta con il cornicione, servito usualmente con le pizze del menu funzionale, ideato con una nutrizionista. Nel libro “La mia pizza autentica”, edito nel 2021 da Gambero Rosso, è spiegata bene la genesi di questa idea: «L’obiettivo è quello di porsi in controtendenza con l’incultura degli sprechi: queste pizze vengono infatti accompagnate da un contorno di fibre, erbe spontanee, e da un intingolo, che serve sia dal punto di vista nutrizionale che per un discorso di sostenibilità». Il Pepe Dressing è una salsa composta da aceto di mele, olio extravergine, spezie e semi.
Contro lo spreco anche le salse proposte nei punti vendita Berberè, la catena di pizzerie fondata nel 2010 dai fratelli Matteo e Salvatore Aloe a partire dall’originario locale di Castel Maggiore, in provincia di Bologna. Da qualche anno nei menu di Berberè in tutta Italia troviamo proprio la voce “salse per godersi i bordi”: al prezzo di 2.50 euro, un ventaglio di golose salsine, dalla salsa verde all’aioli, fino a quella fatta di miele alla ‘nduja (che omaggia le origini calabresi dei due), che invogliano chi non è abituato a mangiare il cornicione a utilizzarlo, appunto, come il pane per la scarpetta.
È ormai un trend con milioni di visualizzazioni sui social, la montanara “sott e ngopp”: un nuovo classico, che troviamo in menu da Ciro Oliva, della pizzeria Concettina ai Tre Santi di Napoli, e che fa perno anche sull’effetto scenico di preparare il condimento in tavola, davanti ai clienti. Una pizza fritta che ripensa al contrario la montanara, solitamente servita con salsa di pomodoro e grattugiata di Parmigiano Reggiano sopra. Qui si opera sottosopra (sott e ngopp, appunto): si parte da una carta alimentare bianca e azzurra poggiata su un’alzatina in tavola, il personale di sala comincia col versarvi sopra una mestolata di salsa di pomodoro, condendola con basilico, olio extravergine, pepe e parmigiano 48 mesi. A coprire il tutto, la pizza fritta, da mangiare in condivisione, spezzandola con le mani e intingendola, a piacimento, nella salsa di pomodoro.
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