No alcol in crescita nella Gdo estera. Secondo le elaborazioni dell’Osservatorio Uiv su base Nielsen IQ, la categoria ha chiuso il primo trimestre di quest’anno con una crescita tendenziale a valore del 24%, a 43 milioni di euro. Un trend che fa il paio con il boom della birra senz’alcol e che inizia a vedere segnali di apertura anche tra i canali di distribuzione italiana (l’enoteca online Etilika ha appena lanciato una sezione dedicata ai vini no alcol). Tuttavia, per l’Italia la produzione dei dealcolati resta ancora un tabù.
«I motivi di questa impasse commerciale tutta italiana – ha detto il segretario generale di Unione italiana vini Paolo Castelletti – sono, come noto, dovuti al fatto che nel Belpaese, al contrario di quanto accade tra i produttori Ue, non è ancora possibile effettuare la dealcolazione se non all’estero. Un evidente percorso a ostacoli per le imprese tricolori il cui processo di regolamentazione è sempre più oggetto di sollecitazioni al Governo da parte del Parlamento, anche tra gli scranni della maggioranza». Da ultimo con l’interrogazione parlamentare da parte di tre esponenti di Fratelli d’Italia che hanno incalzato il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida sul tema.
Fra i 3 top buyer mondiali, il no alcol è cresciuto maggiormente nell’off trade statunitense, dove ha segnato un +43% a valore nel primo trimestre. Bene anche in Regno Unito (+15%), mentre frena nella Gdo tedesca (-8%). Secondo l’Osservatorio del vino Uiv, il fenomeno “nolo” (low e no alcohol) vale solo negli Stati Uniti circa 1 miliardo di dollari. Da soli, invece, il no alcol sono ancora una nicchia (62 milioni di dollari, valore cresciuto di sette volte negli ultimi quattro anni), ma le vendite di vini senz’alcol provenienti dall’Italia hanno sovraperformato il mercato nel 2023, sia a volume (+33% contro +8%), sia a valore (+39% contro +24%). Interessante notare che il prezzo medio di un alcol free è leggermente superiore a quello di un vino tradizionale: 12,46 dollari al litro contro 11,96 nel 2023.
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