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I fighetti del vino snobbano i bianchi campani. Ma fanno male

Ma siamo sicuri che per bere grandi bianchi da invecchiamento dobbiamo spostarci proprio in Borgogna?

  • 06 Aprile, 2024

Di domenica ci piace coccolarci con uno spaghetto lupini, succo di lime e coriandolo. Con una punta di peperoncino. La ricetta non piace a chi votava Casini ma funziona, basta avere un minimo senso della proporzione. E, ancora più importante, metterci accanto la bottiglia giusta. La nostra è particolarmente fortunata, scalpita, è in forma scintillante: Fiano di Avellino 2015 Rocca del Principe. L’unico appunto che ci sentiamo di emettere: è ancora troppo giovane. I riflessi sono ancora verdolini e molto brillanti, i profumi sfaccettati, l’affondo di sapore netto e prolungato. La chiusura sapida e delicatamente sulfurea richiama immediatamente il secondo bicchiere, la bottiglia è volatilizzata in tavola già al terzo giro di forchetta. Il mix tra annata solare e territorio, siamo in Alta Irpinia a 600 metri nel comune di Lapio, ci regala un vino dalla doppia anima perfettamente coniugata. E ci ricorda che spesso i millesimi leggermente più ricchi, come poteva essere il 2015, ci regalano traiettorie nel tempo particolarmente lunghe e interessanti.

Il prezzo del vino stappato? Lo pagammo 13 euro 4 anni fa, l’ultima annata si trova online sui 16. Una cifra incredibilmente bassa considerata la qualità nel bicchiere, ma piuttosto in linea con tanti ottimi vini bianchi campani proposti sullo scaffale a cifre simili. Per chi acquista è sicuramente un’opportunità, non per chi produce. La questione ci suggerisce un paio di considerazioni. La prima ha a che fare con la singola realtà che non è riuscita a creare valore aggiunto a un lavoro artigianale di massima fattura, il secondo concerne il sistema Irpinia che negli anni non si è di certo distinto per un lavoro organico di promozione nazionale e internazionale. La terza ha che fare con noi giornalisti che no siamo riusciti a fare la differenza.

Di fatto oggi bere un Fiano di Avellino, un Greco di Tufo piuttosto che un bianco del Cilento non fa figo, non va di moda. Eppure di bianchi strepitosi alla prova del tempo, dopo 10-15 anni, ne abbiamo assaggiato davvero tanti in questi anni dalla regione. Discorso che possiamo tranquillamente allargare a Falanghine come a grandi espressioni della Costiera. D’altro canto, noi fighetti del vino piuttosto che stappare un grande Etna Bianco, un Soave o per l’appunto un Fiano collaudatissimo come il nostro (che non era nemmeno a metà del percorso) ci diamo un tono stappando nelle grandi occasioni la Borgogna bianca. Non fa niente se ormai per bere bene in zona bisogna andare oltre i 70 euro, non importa se il fenomeno del premox (invecchiamento precoce) sia molto più diffuso che altrove. La rabbia per bianchi spirati importanti si ferma davanti al fascino dell’etichetta, al suono del nome altisonante. Con buona pace della Campania felix.

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