Sembrerà quasi paradossale che alla presentazione delle previsioni vendemmiali, che quest’anno evidenziano una qualità delle uve quasi perfetta, ci si sia soffermati a parlare di ricette anticrisi per il vino e non del nuovo record stimato. Sintomi dei tempi che cambiano. Difficile fare riferimento al primo posto italiano sul podio produttivo, quando probabilmente l’obiettivo della gara (che non abbiamo capito) era produrre meno. Così il vino italiano – inchiodato al suo ennesimo primato produttivo – invece di festeggiare si è trovato a fare il mea culpa.
previsioni vendemmia 2025 Assoenologi-Uiv-Ismea
Fanno riflettere, in tal senso, i dieci milioni di ettolitri che separano la produzione italiana da quella francese. Le stime parlano, infatti, di 47,4 milioni di ettolitri per il Belpaese e 37,4 milioni per i cugini d’Oltralpe. Il tutto sta ad interpretare questo gap: casualità metereologica o scelta politica? Se il ministro Lollobrigida, durante il talk al Masaf, ha bollato il modello francese («Non abbiamo più niente da imparare dagli altri»), il segretario generale del Ceev Ignacio Sánchez Recarte ha provato a spostare il punto di vista: «Come sempre, quanto accade in Francia è indicativo del mercato mondiale. La loro non è una riduzione congiunturale: c’è una scelta precisa di abbassare la produzione. Prendiamo il caso dello Champagne. Il Comitée negli ultimi tre anni ha ridotto le rese da 11,4mila kg per ettaro a 9mila. Significa che i produttori hanno rinunciato al 25% delle uve. In più, c’è stato un forte impatto dovuto alle estirpazioni: meno 8mila ettari a Bordeaux, meno diecimila in Laguedoc-Roussillon».
Ma non è solo la Francia a lavorare in questa direzione, come fa notare Sanchez: «In California 100mila tonnellate di uva saranno lasciate a marcire sulla vite. Il motivo? Il calo dei consumi di vino che negli ultimi cinque anni segnano un -9%: il più basso degli ultimi 90 anni». Va da sé, che davanti alla domanda che frena anche l’offerta non può fare altro che tirare a sua volta il freno a mano. Pena lo schianto assicurato.
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Eppure l’Italia sembra continuare ad andare in direzione ostinata e contraria. «Abbiamo il dovere morale di accendere una luce e dire che, malgrado la qualità, è al mercato che dobbiamo guardare e al momento storico in cui ci troviamo – è il commento del presidente di Unione italiana vini Lamberto Frescobaldi – Già lo scorso anno avevamo detto di tagliare le rese e siamo passati per Cassandre. Forse se lo avessimo fatto davvero oggi staremmo un po’ meglio. Ad ogni modo, un plauso va a tutte le denominazioni che hanno adottato la misura: non è facile chiedere agli associati di rinunciare a parte del prodotto. Occhio, però, a non riversare tutto il surplus sulle Igt di ricaduta, altrimenti anche le indicazioni geografiche finiranno per viaggiare a fari spenti senza conoscere i numeri reali».
Per Frescobaldi c’è, però, anche altro da fare. Lo aveva detto all’assemblea generale di luglio e lo ha ribadito in questa occasione: rinunciare all’1% delle autorizzazioni annuali. «Possiamo anche non portare la percentuale a zero, sebbene i nostri competitor lo abbiano fatto, ma dobbiamo pensare da maratoneti, lavorando sul lungo termine».
Non le manda a dire il presidente di Assoenologi Riccardo Cotarella: «Siamo il Paese con maggiore incremento di produzione. L’unico che ha aumentato le superfici vitate, invece di diminuirle. Il vero problema è la mancanza di imprenditorialità dei produttori, altrimenti non si spiegherebbe la crescita degli impianti lì dove c’è crisi di mercato. Quando si decide di fare vino, bisogna partire dalla fine: qual è l’obiettivo di mercato e con quale prezzo? Ma troppi vini sono fatti con l’idea di andare allo sbaraglio. Ripeto: serve imprenditorialità».
Certo, le tante realtà familiari (croce e delizia del vigneto Italia) non aiutano in tal senso, come ricorda Frescobaldi: «Il nanismo delle imprese può essere un problema. Pensiamo che la superficie media del vigneto italiano è di circa due ettari, contro i dieci della Francia».
Resta da capire se seguire i francesi anche sulla strada degli espianti. Cotarella ha inserito la misura nel Manifesto per salvare il vino, lanciato nei giorni scorsi. Frena Frecobaldi: «Dare via un vigneto è un dolore grosso. Ricordiamo che in molti casi, il vino ha ripopolato interi territori, Montalcino su tutti. Non sarei contento di veder togliere le vigne, magari con le rese riusciamo a vedere un po’ di luce». Sulla stessa lunghezza d’onda il ministro Lollobrigida che ha detto di non essere d’accordo con gli espianti del modello francese.
Per il segretario generale Uiv, Paolo Castelletti, bisognerà «necessariamente adottare delle misure, perché 47 milioni di ettolitri sono davvero troppi. Si può iniziare dai disciplinari – propone – che non fotografano la situazione delle rese reali, per poi passare alla rinuncia alle nuove autorizzazioni e agli accordi di filiera. Ad ogni modo, si cercherà l’unanimità». Unanimità che sugli espianti, evidentemente, non c’è ancora.
Il confronto sulle criticità del vino, si è poi spostato sul rapporto con la ristorazione. Tema che, negli ultimi mesi, continua a tenere banco e che sembra dividere il settore. «Non abbiamo la forza di andare a chiedere ai ristoratori di abbassare i prezzi – è il punto di vista di Frescobaldi – I prezzi sono saliti per tutti e neanche loro hanno i margini per affrontare questo momento complicato. Non mi pare che girino in porsche». Di altro avviso Cotarella che di abbassamento dei ricarichi ha parlato nel suo Manifesto per il vino e che, da via XX Settembre, ha chiesto un patto di solidarietà: «Non possiamo lasciare che il vino diventi vittima di una spirale di squilibri e di diseguaglianze. Occorre un patto di solidarietà che coinvolga tutti, anche i ristoratori che, grazie ad un equo ricarico sui vini in carta, potrebbe avere per primi dei vantaggi nell’attirare la clientela».
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