Nel nostro viaggio a puntate sui formaggi italiani di pecora, dopo il focus sulla Sardegnaย (da dove vengono gran parte dei pecorini romani Dopo, qui i milgiori), la Toscana, la Sicilia, l’Abruzzo e il Molise, oggi arriviamo in Campania. Nel regno della mozzarella di bufala, di caciocavalli e paste filate in genere, i formaggi di pecora si ritagliano uno spazio minimo, ma ci sono. Sono quasi tutti Pat e tutti si chiamano pecorino. Nessuna certificazione europea. A parte quello generico fresco e stagionato prodotto nelle zone interne della Campania, nelle aree pianeggianti dove avviene la transumanza, e conosciuto in tutta la regione come โcasu ri pecuraโ, negli altri formaggi la parola pecorino รจ generalmente seguita dal nome di un paese o della zona di produzione. Sono caci a pasta dura e dal sapore tendenzialmente piccante, ottenuti perlopiรน da latte di pecore bagnolesi, o malvizze, e di laticauda, razza ovina โdalla coda largaโ ritenuta a rischio di estinzione e oggi tutelata da un Presidio Slow Food. Fa eccezione il pecorino salaprese, formaggio fresco a pasta semidura prodotto nelle province di Caserta, Salerno, Napoli e Avellino, cosรฌ chiamato perchรฉ consumato subito dopo la salatura, a differenza degli altri pecorini campani. โIn Campania il modello produttivo รจ di tipo tradizionale, che prevede pascoli e transumanzaโ spiega Roberto Mazzei, agronomo, coordinatore Aprol (Organizzazione dei Produttori Olivicoli) della regione Campania โquesto sistema di produzione porta a reddito non stabile e disomogeneitร di prodotto, tante differenze che provengono dallโambiente, dalla razione di foraggio, dalla stagione e dallโuomo, e che cambiano continuamente. Ma sapori piรน ricchi e piรน persistenza!โ.
Sono quasi tutti pecorini e quasi tutti a pasta dura e con la crosta rugosa, ottenuti in modo tradizionale da latte lavorato crudo con aggiunta di caglio di agnello o di capretto e lavorazione spesso nelle caldaie di rame. Le fuscelle per la messa in forma della cagliata e lo sgrondo del siero oggi sono in plastica per motivi di sicurezza, ma richiamano lโintreccio del giunco per imprimere il tipico disegno sulla superficie della forma, e parte delle attrezzature sono ancora in legno, come lo spino per rompere la cagliata e le tavole sulle quali i formaggi vengono messi a maturare. Durante la stagionatura, che va da un minimo di 2-3 mesi fino a oltre un anno, spesso il formaggio viene โcappatoโ con olio di oliva e aceto. Talvolta la forma viene โscottataโ alcune ore nel siero caldo di risulta della lavorazione della ricotta per dare compattezza al cacio appena fatto. Sono tutti pecorini Pat, dicevamo, iscritti nellโelenco dei prodotti tradizionali della regione Campania, ma รจ difficilissimo trovare chi li produce. Se non impossibile. โI formaggi Pat esistono piรน in teoria che in pratica, di fatto non si producono per commercializzali ma per autoconsumoโ spiega Manuel Lombardi dellโazienda Le Campestre di Castel di Sasso (Ce), famosa per il conciato romano Presidio Slow Food da latte di pecora in purezza. La nostra caccia al tesoro del pecorino salaprese, del pecorino di Monte Marzano e del casu reโ pecora (o caso maturo) del Matese si รจ conclusa con un โnon pervenutoโ.
Il pecorino bagnolese โ Presidio Slow Food, oltre che formaggio Pat โ รจ prodotto da unโunica realtร , la Cooperativa agricola Pecorino Bagnolese di Bagnoli Irpino (AV): pastori associati portano le malvizze, le pecore locali, al pascolo tutto lโanno, in inverno in collina, in estate sullโaltopiano del Laceno, a mille metri dโaltezza nel Parco dei Monti Picentini, nella zona del terremoto del 1980 in Irpinia; il caseificio di Patrizio Della Polla e di sua moglie Sara Moscariello lo trasformano in modo tradizionale, lavorato crudo, senza aggiunta di fermenti e con stagionatura in grotta.
Un solo produttore anche per il pecorino di Laticauda, lโazienda Quercete di San Potito Sannitico (CE), 50 ettari di terra e 500 pecore, rigorosamente di razza laticauda allevate al pascolo libero nel Parco Nazionale del Matese, per due versioni del cacio locale: a latte crudo (etichetta nera) e a latte pastorizzato (etichetta bordeaux). La ricerca รจ stata ancora piรน difficile per trovare il produttore del pecorino di Pietraroja, lโazienda agricola Marcantonio di Giuliano Maturo, una piccola realtร a filiera chiusa con allevamento di pecore e caseificio, che lavora alla vecchia maniera e solo quando ha disponibilitร di latte ovino, in primavera. Piรน fortunata la battuta di caccia per il pecorino di Vitulano, nella zona del massiccio del Taburno Camposauro. Tre le realtร che lo producono, tutte di pastori-casari, con lavorazione tradizionale a latte crudo e uso di utensili in legno: Cosimo Calabrese, che vende i suoi formaggi nella sua Boutique dei Formaggi, Emme 5 di Gianpasquale Mastrocinque e lโazienda di Filippo Esposito e della moglie casara Mena Scirocco.
Discorso a parte per il pecorino di Carmasciano, o piรน semplicemente il Carmasciano come spesso viene chiamato. ร simile agli altri caci campani nellโaspetto e nella trasformazione del latte: crosta rugosa, pasta dura, lavorazione a latte crudo. Ma possiede delle carte vincenti che gli permettono di fare il salto. Le quantitร prodotte sono piรน consistenti. I produttori sono 7, quasi tutti nellโelenco dei formaggi naturali di Slow Food. Soprattutto ha due assi nella manica: da una parte il territorio, dallโaltra il progetto ambizioso di unโazienda, Carmasciando di Guardia Lombardi (AV), che tra visione e buona imprenditoria ha creato un sistema di filiera virtuoso e traina gli altri piccoli produttori di questo formaggio Pat, tanto da proiettarlo sulla rampa di lancio della Dop. โIl pecorino di Carmasciano รจ particolare non solo per le essenze spontanee uniche che qui crescono, tra le quali il timo serpillo e un raro tipo di ginestra, valorizzate dalla lavorazione a latte crudoโ precisa Angelo Nudo, esperienze nel mondo del vino e dellโaffinamento dei formaggi prima di entrare nel gruppo Feudi di San Gregorio come maรฎtre del ristorante Marennร e di dare vita a Carmasciando, un progetto che nel giro di pochi anni si รจ materializzato in unโazienda a ciclo chiuso con allevamento di pecore laticauda, caseificio e affinamento delle forme. โLa frazione di Carmasciano รจ una zona vulcanica, caratterizzata dalle mefite della Valle dโAnsanto, con un laghetto sulfureoโ continua Angelo Nudo โgli animali pascolano in questo territorio e trasferiscono nel formaggio una particolare ricchezza aromatica vegetale e quei sentori di zolfo che lo rendono diverso dagli altri pecoriniโ.
ร uno dei formaggi italiani piรน antichi, un cacio archeologico risalente allโepoca dei Sanniti, civiltร preromana nella zona oggi compresa tra Campania, Abruzzo e Molise. Una piccola produzione di supernicchia ma conosciuta tra i gourmet grazie anche al lavoro pioneristico di unโazienda, Le Campestre di Castel di Sasso, che ci ha creduto e ci ha lavorato per oltre 20 anni. Se il conciato romano รจ un formaggio sopravvissuto allโoblio, รจ Presidio Slow Food, dal 2002, e da poco ha il sigillo di Campagna Amica, assegnato ai prodotti della biodiversitร agricola italiana strappati allโestinzione o legati a territori specifici, lo si deve principalmente a Liliana Lombardi, donna forte, un pugno di ferro in un guanto di velluto e seta, alla guida di questa realtร casertana a filiera chiusa, che ha combattuto e vinto battaglie con enti locali e a Bruxelles per difendere il suo gioiello caseario.
Il โcaso conzatoโ, il cacio condito, รจ un piccolo formaggio principalmente di latte ovino, con aggiunta di quello vaccino e caprino, prodotto nellโalto Casertano. Allora perchรฉ โromanoโ? Perchรฉ la zona di produzione era la porta di Roma in terra campana: non distante cโรจ Santa Maria Capua Vetere con il suo anfiteatro romano, dove sembra sia nata la rivolta dei gladiatori capeggiata da Spartaco. La particolaritร di questo cacio sta nel fatto che le forme appena fatte e salate a mano vengono lasciate asciugare nel โcasaleโ, struttura di legno protetta da una zanzariera, dopo una decina di giorni lavate con l’acqua di cottura delle pettole (pasta fatta in casa) e una volta asciugate messe ad affinare in anfora con olio dโoliva, aceto di vino, timo selvatico e peperoncino, dove i condimenti, lโassenza dโaria e il tempo svolgono il loro lavoro. Sei mesi possono giร bastare per dare alle piccole forme di formaggio odori esuberanti e pungenti, gusto potente, piccantezza, aromi pervasivi e persistenti, che aumentano con il protrarsi della maturazione, fino alle forme amatoriali di due anni.
Rispetto a Carmine Bonacci, lโaltro produttore del Presidio dedicato, che fa il conciato romano con latte misto di pecora e capra o solo di capra, Le Campestre per scelta aziendale lo confeziona con latte ovino in purezza. Tutto secondo metodi tradizionali: mungitura a mano per non stressare le pecore, lavorazione a latte crudo, caglio naturale di capretto, pascolo del gregge piรน che brado, bradissimo, e in montagna. โUsiamo ancora le fuscelle di vimini, le attrezzature in legno e le anfore di terracotta perchรฉ dal 2009 abbiamo la deroga della regione Campania e della Comunitร Europeaโ spiega Manuel Lombardi, a fianco alla madre Liliana nellโarticolata attivitร dellโazienda, che comprende anche lโagriturismo con ristorante e alcune camere, โtutto quello che impieghiamo nella produzione del formaggio รจ autoctono o prodotto da noi: la pasta fatta casa con il nostro grano macinato a pietra, lโolio extravergine, lโaceto di vino Casavecchia, il peperoncino, il timo serpillo… Per questo il nostro conciato รจ inimitabile. Le anfore con dentro il conciato solleticato da questi condimenti riposano in cantina, una volta a settimana vengono girate, controllate, coccolate e solo dopo 6 mesi aperte, ma ci sono lotti anche di 2 anniโ.
Le Dop spesso peccano nella gestione. โPer essere valide devono avere numeri, ma se li hanno perdono la tipicitร โ spiega Roberto Mazzei โreggere una certificazione europea per pochi produttori e piccoli numeri non รจ fattibile, mancano la capacitร organizzativa e molto spesso un interprete, una realtร che fa da capofila coinvolgendo le altre, per questo ci si รจ fermati sui marchi Pat e Presidio Slow Foodโ. Per i formaggi ovini la criticitร รจ anche unโaltra. โNella maggior parte dei casi le aziende sono piccole e hanno una vendita diretta cosรฌ importante da non avere motivi di aggregarsi e spendere soldi per proporre il prodotto. Paradossalmente sono talvolta loro a bloccare lโiter per la richiesta di certificazione: se il formaggio ha giร una sua appetibilitร e viene venduto appena pronto per il consumo che esigenza cโรจ di certificarlo?โ.
Per il Carmasciano รจ diverso. โDietro questo pecorino cโรจ un lavoro di ricerca che va a individuare lโelemento caratterizzante, la presenza di pascoli ricchi di zolfo, con aminoacidi solfati che dovremmo trovare nel latteโ continua Mazzei โinoltre il Carmasciando, la realtร piรน importante e capofila del progetto, รจ unโazienda evoluta quindi spinge per una Dop, trainando il gruppo dei produttoriโ. Tutto questo facendo attenzione a non perdere per strada tipicitร . โIl Carmasciano cresce se non gli si fa crescere intorno lโansia di prodottoโ avverte Angelo Nudo โe dando il giusto valore monetario al formaggio: il prezzo va dai 36 ai 42 euro al chilo per un segmento di mercato che non puรฒ non essere di nicchiaโ.
a cura di Mara Nocilla
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