Il ruolo del Lazio nell’ultima campagna olearia è stato quello di fungere da sostanziale spartiacque della Penisola, con una produzione che da Roma in su ha segnato un trend positivo, ma penalizzato dalle rese basse in frantoio, mentre il sud della Penisola ha avuto problematiche legate alle poche olive che però hanno regalato rese tendenzialmente alte. Una spaccatura che ha coinvolto anche lo stesso Lazio, ma che non ha fatto mancare produzioni d’eccellenza ben evidenziate nell’ultima edizione della guida Oli d’Italia del Gambero Rosso.
Un’annata che ha favorito l’areale nord, con la Tuscia protagonista di oli di grande precisione e accattivanti nei profumi, ma più in generale queste zone si collocano perfettamente in quella che è stata una campagna olearia positiva per tutto il centro Italia. Non da meno la Sabina che ci ha stupito con oli che hanno portato finalmente alta la bandiera di questo storico areale che ha visto, nel 1996, l’istituzione della prima Dop olearia italiana. Grande ricchezza di profumi e fruttati intensi anche sul fronte delle Colline Pontine: la provincia di Latina, infatti, dove la varietà Itrana regna incontrastata, si è confermata una zona dall’impressionante costanza qualitativa dei suoi oli, con i suoi exploit di sentori di pomodoro ed erbe aromatiche.
Una zona che però ha sofferto anche di quantitativi ridotti ai quali i produttori fanno argine mettendo sul mercato una produzione importante di olive da mensa, in questo caso rappresentate proprio dall’Itrana, meglio conosciuta come Oliva di Gaeta. Il Lazio è caratterizzato da terreni collinari di origine vulcanica, prevalentemente tufaceo argillosi a nord e calcareo rocciosi a sud, che ospitano molte varietà autoctone, integrate da varietà tipiche dell’Italia centrale.
Le prime tracce della coltura degli olivi in questo areale si hanno grazie alla mitologia romana: fu Ercole a far arrivare l’olivo dal Nord Africa, mentre la dea Minerva avrebbe insegnato agli uomini l’arte dell’olivicoltura e della produzione olearia. Non sono pochi, inoltre, i reperti archeologici che testimoniano la presenza dell’olivo nel Lazio già a partire dal VII secolo a.C., come ad esempio vasi di diverse dimensioni destinati alla conservazione dell’olio di oliva per uso alimentare. Le prime tracce di un’olivicoltura evoluta sono invece ricollegabili alle popolazioni etrusche e sabine. Furono però i Romani a diffondere l’olivo in tutti i territori conquistati e ad affinare le tecniche di coltivazione, raccolta e produzione delle olive.
Nel I secolo d.C., Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, elencò ben 22 diverse varietà e qualità di ulivi, descrivendone le tecniche di coltivazione, ma anche i sistemi di produzione. I Romani furono avanguardisti anche sul fronte della tracciabilità dato che le anfore rinvenute sul Monte dei Cocci a Roma riportavano un timbro che specificava provenienza, quantità e addirittura qualità dell’olio che veniva immesso sul mercato.
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