Aspettando il Bocuse d’or, Torino organizza un bel programma di eventi, cene e incontri in tema: è il Bocuse off, maniera perfetta di aspettare la sfida per le selezioni europee del concorso di grande gastronomia più famoso del mondo.
Antonia Klugmann al Circolo dei Lettori ha presentato il suo libro Di cuore e di coraggio (Giunti), riassunto di 15 anni di lavoro in 60 ricette e una storia di vita un po’ speciale, che l’ha vista lasciare gli studi di giurisprudenza per entrare in cucina (“è il paradiso per me”), aprire il suo ristorante l’Argine a Vencò nel Collio, ai confini con la Slovenia, e conquistare una stella Michelin e due forchette nella guida Ristoranti 2018 del Gambero Rosso. In mezzo, un inizio da cameriera-lavapiatti a Trieste, un brutto incidente d’auto servito a rafforzare la sua idea (“ho coltivato la creatività attraverso la non-cucina, continuando a cucinare nella mente”). E pure un’esperienza da MasterChef, prima donna giudice (ma se gli chiedono se lo rifarà risponde “io sono una che cucina” ricordando il ristorante chiuso per oltre due mesi per partecipare al programma). Una passione per la natura e il suo orto di “erbacce”e per la sostenibilità, un’avversione per gli sprechi che ha accresciuto la sua creatività, una determinazione (“mettersi in gioco” è una delle espressioni che usa più spesso) non comune.
L’abbiamo intervistata e ci ha raccontato la sua “filosofia” di chef e la sua cucina fatta di erbe, frutta, fumo (dell’affumicatore),empatia con gli ingredienti, ricordi.
Cuore e coraggio sono nel titolo del suo libro: cosa serve più per una donna chef? Cosa consiglierebbe a chi vuole seguire la sua strada?
Io parto dall’idea che non esista una cucina maschile e una cucina femminile. Esiste una cucina creativa, tradizionale, moderna , antiquata, buona o cattiva…non credo che chiudendo gli occhi si possa distinguere il sesso dello chef che ha cucinato. Credo che la cosa più importante sia avere un senso profondo di libertà nell’autodefinirsi, cosa che per una donna è ancora molto difficile, qualunque sia il mestiere che fa. Penso conti il desiderio di mettersi in competizione alla pari e mettersi in gioco fino in fondo. Per una donna certo è più difficile, ci sono molti “dover essere” che sono l’ostacolo maggiore. Poi nel momento in cui siamo in competizione alla pari…ce la giochiamo.
Resta un fatto che il mondo dell’alta gastronomia c’è un predominio maschile…come ,mai secondo lei?
Questo ha a che fare con un problema di fondo di libertà, soprattutto nel nostro paese, dove le donne hanno avuto accesso alle scelte del proprio destino più tardi..Ci vuole solo più tempo, i passaggi storici richiedono tempo, e fare la chef è sicuramente un lavoro che richiede impegno, tempo, libertà di spostamenti, costringe a posticipare scelte che riguardano la famiglia. Bisogna essere indipendenti intellettualmente..In altri mestieri si è già arrivati prima –avvocato, medico, giornalista- per la cucina ci vuole ancora un po’ di tempo…
Conta forse anche essere nate a Trieste?
A Trieste le donne sono sempre state molto moderne. Mia nonna, vedova, con un piccolo negozio, ha mandato tutte le tre le sue figlie a studiare a Napoli, si sono laureate tutte e tre..Forse io non sarei chi sono oggi se non ci fossero state loro…La mia città è stata una grande scuola. Credo molto nella mia città, e credo molto anche nel Collio dove ho il mio ristorante, zona di confine che ha grandi possibilità che ancora deve sfruttare del tutto.
La sua cucina riprende la tradizione?
In parte. Non mi sono mai occupata di rivisitazione della tradizione..Certo la storia personale, il territorio influenzano il cuoco, e questo vale anche per me: in me ci sono le tradizioni austroungariche, ebraiche, mio nonno Antonio che veniva da Molfetta, mia nonna da Ferrara…un bel mix, per questo ho una grande apertura verso le novità, fa parte del mio background. Un principio che seguo molto nel mio lavoro è l’importanza in cucina di restituire l’integrità del prodotto: lo chef per professione distrugge (taglia, seziona, incide) ed è importante restituire l’integrità. Per questo utilizzo tutto, senza sprechi.
Oggi lei è a Torino, cosa pensa della nostra cucina?
Ho sempre apprezzato la complessità della cucina piemontese, la ricchezza della tradizione, la cultura e la varietà degli ingredienti, mi interessa anche per questo.
La nostra cucina è molto influenzata dalla cucina francese… secondo lei la cucina italiana si sta sdoganando dalla sudditanza dalla cucina francese?
Credo che la stessa cucina francese sia sempre più aperta verso le influenze estere e la cucina italiana, spagnola e del Nord Europa hanno molto influenzato la cucina francese. Questo scambio, sempre più alla pari, è importante… anche le regioni come il Piemonte si stanno “liberando” dalla cucina francese, mettendosi alla pari ,con una propria identità.
E il Bocuse d’or? Cosa ne pensa, è ancora e sempre un riferimento?
Il Bocuse d’or è una cosa grandiosa perché muove un sistema. Da noi in Italia manca un’informità di messaggio che ci impedisce di comunicare la nostra cucina, nella sua varietà e ricchezza. Dobbiamo trovare in questa varietà la ricchezza del nostro messaggio, raccontare la nostra complessità. Il Bocuse che muove tanti chef da tutta Italia ci costringe a essere sistema, gruppo e questa è una cosa magnifica. Noi non siamo solo pizza e spaghetti…Penso alla cucina della mia regione, a quella del Lazio..quanto sono diverse le nostre cucine: non dobbiamo mai perdere questa complessità.
Lei ha cambiato la sua vita per diventare chef:contenta, soddisfatta, qualche ripensamento?
E’ una buona domanda perché fatta a posteriori…quando si è nel mezzo delle scelte è più complicato..Oggi non cambierei niente di quello che ho fatto. Sono sicura che attorno ai 20 anni avrei potuto anche fare altre scelte di creatività: fotografia, cinema mi interessavano molto. Ma oggi sono contenta di aver scelto la cucina, che mette insieme tante cose che amo: concretezza, manualità, cultura, storia, mettersi in gioco…non c’è noia..In cucina puoi cambiare, non c’è un giusto o uno sbagliato, ma c’è sempre un percorso che ognuno di noi fa in maniera diversa.
Alla fine, una frase di Antonia Klugmann che forse è un po’ la chiave di tutto: “Io adoro mangiare. E cucino quello che mi piacerebbe mangiare”. Semplicemente perfetto.
A cura di Rosalba Graglia