Donna e bartender in Arabia Saudita. La storia di Alice Bidini al bancone di A.O.K Kitchen in un paese no alcol

22 Mag 2023, 13:01 | a cura di
Fare la bartender in un paese dry, dove non è consentito l'uso e la vendita di alcol: la storia di Alice Bidini, barmanager di origine romana da un paio d'anni in Arabia Saudita. L'abbiamo incontrata al bancone di di A.O.K Kitchen

L’Arabia Saudita, l’ultimo grande mistero del Golfo: mentre i piccoli e competitivi vicini Emirati Arabi Uniti (trainati da Dubai) e il Qatar hanno fatto di tutto per farsi conoscere negli ultimi anni, il gigantesco e popoloso Regno per anni ha preferito tenere un profilo più basso, diviso in una duplice versione di se stesso: da un lato grande alleato dell’area nei confronti degli Stati Uniti, dall’altro paese tendenzialmente integralista dal punto di vista religioso, sempre negli ultimi posti nelle annuali classifiche del rispetto dei diritti umani e civili.

Nonostante questo, sbaglieremmo a considerare l’Arabia Saudita come immobile, anzi: il paese, complice anche un boom demografico senza precedenti e la guida del tanto discusso quanto apprezzato principe Mohammed bin Salman, si sta proiettando verso il futuro a tappe forzate ma non per questo sgradite alla maggior parte della cittadinanza. In uno stato dove il 70% dei cittadini è al di sotto dei 30 anni, anche grazie a internet la visione del mondo esterno sta cambiando. Certo, il burqa è ancora diffusissimo (ma non obbligatorio) e se fino a qualche anno fa alle donne non era neanche concesso guidare, ora quelle che lavorano sono sempre di più. L’obiettivo di MbS è chiaro: il paese da qui al 2030 deve riuscire ad abbandonare la dipendenza economica dal petrolio e uno dei modi per farlo è sviluppare il settore turistico. Riyad vuole attrarre gli stranieri e nel fiorire di nuovi, futuristici quartieri, c’è a una proposta che già pare aver capito come adeguarsi agli standard globali, ed è quella del settore ristorativo.

AOK arabia saudita

Tra i pionieri del lavoro in questo paese c’è Alice Bidini, barmanager di origine romana con esperienza sia Londra che in Asia, arrivata qui da un paio d'anni. L’abbiamo incontrata al bancone di A.O.K Kitchen - il suo locale di Riyad - per capire cosa vuol dire essere una donna e una bartender in un paese dove non c'è alcool.

Alice Bidini oak arabia saudita

Alice, raccontaci il tuo percorso professionale prima di arrivare in Saudi Arabia

Ho iniziato a lavorare nell'hospitality ormai più di 10 anni fa, inizialmente era il classico "lavoretto" per aiutarmi a pagare gli studi universitari ma ben presto mi resi conto che volevo che fosse il mio mestiere in modo serio. Ho lavorato per i primi 3 anni a Roma, in piccoli hotel e cocktail bar, mentre facevo tanta formazione. Ho capito subito che sebbene il bartender fosse un mestiere manuale, oggi puntare sullo studio merceologico e delle nuove tecniche può davvero fare la differenza.

Poi cosa è successo?

Nel 2017 ebbi la possibilità di volare a Londra per un progetto seguito dal grande Giancarlo Mancino e in quella città sono rimasta per 3 anni. La mia esperienza si è divisa tra Dorchester Hotel e Galvin Company. Il 2020 si è aperto con l'opportunità di trasferirmi a Kuala Lumpur come head bartender per l'apertura del Frank's Bar, che purtroppo non ho potuto vedere aperto: a causa del Covid il mio visto è stato cancellato dopo pochi mesi. L'opportunità di trasferirmi qui in Arabia Saudita è arrivata quasi 3 anni fa e onestamente è stata la scelta giusta.

Alice Bidini oak kitchen arabia saudita drink

Cosa sapevi di questo paese prima di trasferirti?

il trasferimento in Saudi è stato un vero salto nel buio: conoscevo molto poco del paese ma ero molto attratta dal progetto iniziale per cui mi avevano chiamato, un ristorante italiano con bar chiamato Il Baretto. Mentirei se non dicessi che ero un po’ preoccupata, essendo una donna, dalla situazione che poteva prospettarsi, ma dopo 2 anni e mezzo posso affermare di non aver mai avuto nessun problema legato al genere e che il panorama hospitality è fiorente e in ascesa.

Questo paese per lungo tempo è stato uno dei meno tolleranti con le donne, e ancora pare andare a due velocità. Cosa significa per te essere una donna lavoratrice in Saudi e come vedi la situazione e l’evoluzione del ruolo della donna in questo paese?

La realtà della figura femminile in Saudi è ben diversa da quella che immaginiamo, dovuto al fatto che il Regno è ancora un paese poco conosciuto. Il tasso di donne laureate e manager è alto e si promuove moltissimo l'imprenditoria femminile. Chiaramente la cultura è ancora molto diversa dalla nostra ma la società sta cambiando molto velocemente. È da rimarcare però come ci sia ancora un abisso tra le classi abbienti e le classi medie: la cultura purtroppo gioca ancora un fattore importante per la condizione femminile in questo paese, ma io personalmente non solo non ho mai avuto problemi, anzi è stato sempre fatto di tutto anche dalla popolazione locale per farmi sentire a casa.

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Cosa hai trovato quando realmente ti sei trasferita qui?

Qui stiamo vivendo un periodo di boom economico e sociale senza precedenti: tutti i settori sono in espansione e non soltanto quello dell'hospitality. La parte più difficile è il beverage: in Arabia Saudita non esiste ancora una cultura del bere come viene intesa nei paesi occidentali per cui il lavoro di fidelizzazione con i clienti è immenso. Non si tratta solo di proporre dei nuovi drink ma introdurre un concetto di consumo che per il pubblico medio è ancora totalmente estraneo.

Fare miscelazione in un paese senza alcolici è complicato, ma è anche un’occasione di sperimentazione. Com’è cambiato il tuo lavoro?

Saudi è ancora totalmente una “dry country”, l'alcool è totalmente illegale per motivi religiosi, e non ci sono licenze speciali come quelle date agli hotel a Dubai o a Doha. Lavorare con prodotti non-alcool è una continua sfida in quanto sei portato a ripensare completamente le strutture dei drink.

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In che modo?

Significa capire come una materia prima reagisce all'accostamento di prodotti con texture completamente diverse dal prodotto alcolico, sei portato a sfruttare un ingrediente in tutte le sue forme e a reinventare il concetto di cocktail: le strutture dei drink non alcoolici sono completamente diverse dai prodotti alcolici per cui si tratta di capire anche chimicamente come diluirli o bilanciarli in modo da creare un prodotto unico.

Finora da noi, in Italia e in Occidente, il non-alcoholic cocktail è stato sempre considerato un item di serie B, un miscuglio di succhi dolci e sciroppi per lo più dedicato ai minorenni, ai guidatori o alle donne incinte. La verità è ben diversa: è un nuovo modo di pensare un drink, ma fino a ora c'è stata poca ricerca dovuta al fatto che non c'era assolutamente mercato, almeno fino a un paio di anni fa (ora anche in Italia si sta sviluppando un grande interesse per drink low e no alcool)

Raccontaci qualche tuo drink di cui vai fiera

Un drink a cui sono molto affezionata è l'”Unexpected Colours”, molto semplice ma di effetto: anguria chiarificata e cordiale al mandarino cinese

Aok - Arabia Saudita - Riyadh - www.aokkitchen.co.uk/ae/aok-riyadh

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