Caro direttore,
sai che non amo le catene, ma l’occasione di una pizza con mio figlio adolescente il giorno prima dell’inizio della scuola era troppo ghiotta e quando lui ha scelto Berberè a Milano ho detto ok.
Ci avevo già mangiato a Roma ai tempi del Covid e non mi era dispiaciuto, ma ieri sera è andata male. Arriviamo senza prenotazione, fendendo una folla di almeno dieci rider, che non scenderanno mai di numero, occupando non solo l’ingresso, ma anche il forno. Anche per questa ragione aspettiamo tanto, quasi un’ora per due pizze. Un’attesa inframmezzata da delle olive cunzate anche buone, non fossero state gelide di frigo. Ce le riportano anche, perché i due gestori sono carini e solleciti, ma anche chiaramente in difficoltà a gestire un carico di lavoro eccessivo tra il ristorante e l’asporto dedicando anche attenzione ai clienti per la chiacchiera al momento del conto. Lo faranno anche con noi, per farsi perdonare una serata decisamente storta, che l’affollamento di rider all’ingresso autorizza però a pensare sia un’abitudine.
La pizza, che tengono a dire essere stata insignita dei Tre Spicchi (per la “casa madre” di Castel Maggiore in provincia di Bologna, però, ma sul menu non è specificato e questo è un problema delle catene: il brand dovrebbe significare che la qualità è la stessa ovunque) e che la cameriera malauguratamente ci consiglia con l’impasto multi cereali, è purtroppo mediocre. Abbiamo preso una provola e pepe è una n’duja e burrata. La prima, soprattutto, la mia, non era all’altezza dei Tre Spicchi: cruda – forse per la fretta – e un po’ tirata via nel condimento. Si trova di meglio senza alcuno sforzo.
Se Berberè Milano fosse davvero da Tre Spicchi, il massimo del punteggio per una pizza al piatto, bisognerebbe allora ricavare una categoria a parte per chi gioca in altri campionati con prezzi sempre onesti: mi vengono in mente Pier Daniele Seu a Roma Tre Spicchi), Vittorio Vespignani a Caserta (Decimo Scalo, Due Spicchi) e pure quel pezzo di Napoli a Milano che è il locale di Gennaro Rapido.
Capita, ma che peccato. Soprattutto, una volta diventati grandi bisogna capire chi si è: un luogo di qualità artigianale come è scritto sulle pareti o una pizzeria industriale come nell’esperienza? Vale per tutti.
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