Notizie / Ristoranti / Trippa compie dieci anni. Ecco come ha cambiato Milano

Ristoranti

Trippa compie dieci anni. Ecco come ha cambiato Milano

I dieci anni di Trippa, la trattoria più famosa di Milano (e forse d'Italia). Un locale mitico, desideratissimo e influente. Dove in tanti hanno mangiato e in tantissimi ancora sperano di farlo

  • 23 Giugno, 2025

C’è anche qualcuno a cui non piace Trippa, di professione trattoria, in via Vasari, al numero uno, a Milano. C’è anche qualcuno a cui non piace – per carità, ne ha tutto il diritto – e di solito è chi proprio non riesce ad andarci, a causa delle acclarate difficoltà per chiunque a trovare un tavolo, malgrado il doppio turno del servizio serale, malgrado la disponibilità di Pietro Caroli, il socio dello chef Diego Rossi e padrone della sala, a trovare una soluzione per tutti.  Che poi, forse, dopo dieci anni dall’apertura, è proprio questo il problema: Trippa piace a troppa gente.

“Stella Michelin? Non mi interessa più, ma l’alta cucina è anche quella della trattoria”. Intervista a Diego Rossi di Trippa

Diego Rossi

Un sistema ballerino

E che colpa ne hanno loro se c’è dieci volte più gente che ha voglia di mangiare da loro che posti nel locale? Certo, c’è una piattaforma online sulla quale ogni primo del mese a mezzogiorno (sembra l’appuntamento per un regolamento dei conti) si può tentare la sorte cercando di accaparrarsi uno dei tavoli del mese successivo (per intenderci, il primo di maggio si mettono in vendita i posti di giugno). Ma le persone che si danno appuntamento per conquistare uno di quei più o meno millecinquecento coperti (conti fatto a spanne) sono tantissime, il sistema si impalla spesso e insomma, ci vuole “suerte y garra”, virtù di cui non tutti sono dotati. E anche fair play per evitare di correre su Tripadvisor e sparare fiele e dare uno (“solo perché zero non si può dare”, scrive qualcuno) per il paradossale fatto di NON aver mangiato da Trippa.

L’interno di Trippa

La festa

Saranno costoro, gli eterni rimbalzati, i ghostati, quelli per cui l’attesa di Trippa è Trippa stessa, i soli a non festeggiare oggi il decimo compleanno del ristorante più influente della scena gastronomica di Milano. Il migliore? Forse. Il più divertente? Probabile. Il più desiderato? Certamente. Comunque auguri.

Buon compleanno

Trippa aprì dieci anni fa, nel giugno del 2015, quando a Milano c’era l’Expo (che stava ancora un po’ sulle palle ai milanesi, prima dell’innamoramento estivo) ed è evidentemente uno dei simboli della bolla gastronomica che il capoluogo lombardo ha sperimentato negli ultimi anni. Una faccenda di mode furenti, di posti must be, di file fuori, di “sei stato qui? Devi assolutamente!”, di chef star, di scrocchi vorticosi, di reel e di post, di cucina come discorso collettivo, di nonne e avanguardie, di questo posto l’ho scoperto io, di che bello il fine dining, di il fine dining è morto e sepolto, di tendenze che si sono succedute senza posa, e l’all you can eat, e il poke, e l’osteria romana e la pizza gourmet. Solo che in tutto questo agitarsi Trippa ha attraversato questi due lustri vorticosi, tagliati a metà quasi perfettamente dalla pandemia (ricordate?) con incedere ineffabile. Trippa non ha mai smesso di avere successo qualunque cosa accadesse, Diego ha sempre cucinato meglio della volta precedente, l’atmosfera è sempre rimasta quella tipica dei posti giusti, che non hanno bisogno di marketing, di pubblicità, di gesti eclatanti. Come accade ai classici.

La pasta in bianco

I mille racconti possibili

Trippa si potrebbe raccontare in molti modi: la cucina colta e popolaresca di Diego è stata decantata da gente più brava di me, il progressivo muoversi delle sue proposte dal machismo del quinto quarto a tutti costi alla sopraggiunta sensibilità vegetale è stata notata da molti, le sue hit, il Vitello tonnato (nei confronti del quale il signor Rossi ha sviluppato lo stesso rapporto che i Radiohead hanno con Creep: preferirebbero non suonarla), la Trippa fritta, il Midollo, sono da dieci anni impeccabili. Insomma, qui si rischia la agiografia, che noia, che barba. Meglio se vi racconto i dieci anni del mio Trippa, io che mi sono trasferito a Milano poche settimane prima che Rossi e Caroli aprissero i battenti e che ci sono finito dentro quasi subito, per caso (non ricordo come andò) sviluppando una sorta di imprinting, come le paperelle che pensano che la prima cosa che si muove è mamma. E pazienza se ‘sta mamma è pelata e ha la barba.

Pietro Caroli

La mia vita in via Vasari

Da Trippa sono andato, nel corso di questi dieci anni, almeno tre volte l’anno ma spesso di più, riuscendo quasi sempre a rimediare un tavolo, a volte accontentandomi di uno sgabello al bancone, a volte supplicando, a volte sfidando la sorte e passando al volo alle 22, magari qualcuno non si è presentato (accade anche da Trippa), altre volte venendo tenuto nel limbo per ore, a volte semplicemente non riuscendoci. Per alcuni anni ho messo da parte le caramelle Rossana che Pietro ti dà quando paghi il conto, a un certo punto le ho gettate via, forse un trasloco, non ricordo, che peccato, ora sarebbero come il percorso di Pollicino verso via Vasari. Da Trippa ho portato molte donne, è stato spesso il posto del primo appuntamento, che alla peggio se andava male almeno mangiavo bene. In molti casi  – confesso – ho avuto l’impressione di essere usato come quello che alla fine un tavolo da Trippa lo trova quasi sempre, una specie di uomo oggetto, e donne che mai sarebbero uscite con me lo hanno fatto per assaggiare il vitello tonnato di Diego, e io ne ero consapevole ma alla fine speravo anche che non fosse così, e l’illusione manda avanti il mondo (l’illusione e le animelle perfettamente cotte, si intende) e quindi a posto così.

Le Tagliatelle al ragù

Il futuro

Da Trippa ho visto attori, cantanti, dj, calciatori. Ho visto Mannarino suonare piano la chitarrina. Ho visto Walter Veltroni arrivare alle 22,30, chiedere educatamente un tavolo per due ed essere altrettanto educatamente mandato via. Ho visto chef di altri ristoranti, famosi, stellati, essere felici di mangiare la cucina semplice di qualcun altro per godere e non per criticare, su tovaglie a quadri e seduti su seggioline di legno e paglia. Da Trippa avrò assaggiato almeno centoventi piatti differenti e lasciato almeno 3.500 euro (probabilmente di più). Per Trippa mi sono sgolato più volte, che fatica inutile, con quelli della Michelin perché fosse chiaro quanto fossi indignato del fatto che un simile locale non sia preso in considerazione per le stelle, e alla fine credo che Diego sì ne sia fata una ragione prima di me, anche perché non è male essere lo chef più famoso d’Italia senza macaron, forse alla pari con Alessandro Borghese, che però, diciamolo, non ha mai cucinato bene come Diego Rossi. Come molti a Milano ogni tanto ascolto voci che assicurano che Diego se ne andrà, che è stanco di Milano (e questo è maledettamente vero) e penso come sarebbe la città senza Trippa. E trovo una sola risposta: peggiore.

TI POTREBBE INTERESSARE ANCHE...

Corsi per Appassionati

Corsi per Professionisti

University

Master

© Gambero Rosso SPA – Tutti i diritti riservati.

Made with love by Programmatic Advertising Ltd

Made with love by Programmatic Advertising Ltd

© Gambero Rosso SPA – Tutti i diritti riservati