Tavolate comuni e piatti dimenticati. Nelle Marche il ristorante aperto in un borgo risorto dopo il terremoto

Il detto “parla come mangi” non è soltanto un invito alla semplicità del linguaggio, ma anche un richiamo a non dimenticare le proprie origini. Ai piedi dell’Appennino umbro-marchigiano, nella frazione di Palazzo, a Esanatoglia, un ristoro di comunità gestito da un’associazione locale ha fatto propria questa massima, declinandola in quella che le sue fondatrici definiscono una “cucina dialettale”: menu scritto in marchigiano e piatti della tradizione scomparsi dalle proposte della ristorazione classica. Da Venilà ogni dettaglio è un invito a mangiare come in famiglia, a cominciare dal nome: un richiamo vernacolare a lasciarsi guidare e a seguire chi ti accoglie. 

Questo progetto ha trovato casa nel borgo medievale, una città fortificata incastonata ai piedi del Monte Gemmo. La sua rinascita, dopo i danni del sisma del 1997, porta la firma dell’associazione Lulù e il paese del sorriso. Grazie a un crowdfunding sostenuto dagli abitanti della zona e alle donazioni di arredi dall’ex albergo Roma di Camerino – ferito dal terremoto del 2016 – la fortezza ha trovato una nuova anima e funzione. È proprio qui che, a maggio, ha aperto le sue porte il ristoro Venilà.

Un ristoro di comunità

La comunità è al centro della proposta di Venilà, a partire dalla tavola. Nella sala, quattro lunghe tavolate comuni, coperte da tovaglie a scacchi bianchi e rossi, accolgono almeno dieci persone ciascuna. Nessun tavolo privato, qui si mangia tutti insieme. Il menù parla la lingua di casa, ma non esclude nessuno grazie alla traduzione in italiano per chi non mastica il dialetto. L’esperienza conviviale si accompagna a una cucina che custodisce la memoria: piatti semplici come “l’òa in trippa” (staccetti di uova al pomodoro), ricette tramandate come “lu pujju in paurosa” (pollo alla cacciatora) e preparazioni tipiche delle case contadine, dalle “tagliatelle co lu sugu” (e non al ragù) alla “carne de lu sugu” servita come contorno.

«Per noi proporre una “cucina dialettale” significa cucinare piatti che raccontano la nostra identità – spiega la presidente dell’associazione, Adua Rossi, a Gambero Rosso – Qui non troverete tiramisù destrutturati, ma i vincisgrassi di una volta». Si tratta del primo piatto più rappresentativo della cucina maceratese, che si distingue dalla lasagna per l’assenza di besciamella e l’utilizzo di frattaglie di pollo. Il menù proposto da Venilà nasce dai ricordi di famiglia e dai consigli preziosi delle signore del paese, come Bianchina, che ha donato ad Adua la sua ricetta della panzanella, oggi immancabile sulle tavolate del ristoro. Proprio l’apprezzamento degli anziani è ciò di cui il team di Venilà va più fiero: «Un signore di 92 anni, assaggiando il coniglio al finocchietto selvatico, ha esclamato “quissu scì” (questo sì). Ecco il complimento più grande». 

 All’interno del borgo hanno trovato spazio numerose attività inclusive, svolte da persone con disabilità intellettive e motorie grazie all’impegno dell’associazione (qui il viaggio di Giorgione tra le realtà italiane che impiegano persone con disabilità). Anche Venilà rientra tra queste: oggi impiega sette giovani con bisogni speciali, affiancati dalle volontarie di Lulù nel ruolo di tutor. «Il mondo del lavoro tende a far credere ai genitori che un figlio con disabilità non possa lavorare, che debba solo essere assistito – continua Rossi – Noi invece vogliamo ribaltare questa mentalità, dimostrando che tutti possono lavorare». Dal prossimo anno, il borgo aprirà le porte anche ai viaggiatori e agli amanti del trekking e del cicloturismo, grazie a un rifugio in via di completamento.