Carne: è il momento delle lunghe frollature. Parlano Sergio Motta, Sergio Capaldo, Roberto Liberati

27 Mar 2014, 12:15 | a cura di
Calo peso, esterno scuro, sapori e aromi evoluti, dry age, wet age e quant'altro. Le lunghe frollature in Italia sono, per il momento, cosa da amatori. Ma iniziano ad avere il loro seguito di appassionati. Sentiamo cosa ci hanno detto Sergio Motta, Sergio Capaldo, Roberto Liberati e Gian Pietro Damini.

A dispetto della grande distribuzione, per la quale le logiche del tempo breve sembrano non conoscere ostacoli né ripensamenti, nel mondo delle realtà artigianali, più o meno grandi, si diffonde la passione per le lunghe stagionature. No, non parliamo di formaggi, ma di carni. Sono ancora poche le esperienze in merito, ma tutte di grandissimo interesse. E di fronte a queste, le carni vendute dopo appena 30 giorni di frollatura (o anche meno) sembrano molto raw.

Le procedure, in Italia, differiscono principalmente per umidità e aerazione e dimensioni dei tagli messi a frollare. C'è chi preferisce la mezzena intera e chi il solo carrè o la lombata. Ma tutti concordano sull'importanza della selezione della carne: bovini adulti, possibilmente di razza Piemontese, allevati nel migliore dei modi. Senza quest'ultima caratteristica, è completamente inutile parlare di tempi lunghi. È la qualità della carne la protagonista, ci conferma Sergio Motta di Inzago uno dei “padri” delle lunghe frollature. Macellaio vecchio stile, erede di una famiglia di artigiani della carne, segue passo passo il processo, dalla selezione dei capi, alla macellazione, dalla lavorazione dei salumi alla frollatura, fino alla preparazione e cottura nel ristorante di casa Motta. Da sempre sostenitore di una giusta maturazione delle carni è forse il primo che si è spinto oltre: “la bistecca deve avere almeno 60 giorni di frollatura, poi se ne ha 90 o 120 è perfetta, ma” aggiunge “la carne del bue Piemontese, parliamo di un animale anche di 5 anni, sopporta bene una frollatura anche più lunga”. A quanto si è spinto? “Ho provato fino a 9 mesi, ma onestamente sono troppi. Diciamo che l'ideale è 5”.

Motta, una quindicina di celle frigo tra macello, macelleria e ristorante, tutte a zero gradi. Nel macello la cella è statica, a differenza di quella che si trova nel ristorante che è più ventilata. Il livello di umidità, in qualche modo, è regolato anche dalla presenza della massa di carne ricca di umori, e in estate la cella gira di più e il freddo asciuga. La differenza tra le celle si riscontra nelle carni: nella prima c'è una maggiore umidità, dunque minore perdita di liquidi e calo peso rispetto al quella del ristorante in cui la parte esterna si asciuga di più: “la carne si secca un po' di più fuori, ma dentro no, rimane bella rossa e non c'è una grande riduzione di peso perché lo strato di grasso la protegge”. Di quanto parliamo? “In capi ingrassati bene, con mais che dà una bella forza al grasso, il calo peso si aggira sul 2-3 %”. Non è una percentuale drammatica. “Un vitellone giovane non allevato correttamente, ha una carne più acquosa e il calo può essere importante, anche oltre il 15%”. Senza contare la differenza di valori nutrizionali. Alimentazione, razza, età: quelli sono i fattori fondamentali. “Meglio del bue Piemontese non c'è niente, è la razza numero uno al mondo, è sempre tenera, a tutte le età, perché ha fibre sottili. I capi adulti, di 4 o 5 anni, sono perfetti per questo trattamento: la carne è matura e buona, c'è lo strato di grasso giusto. Abbiamo provato” continua “a fare un confronto con un Kobe allevato all'università di Milano, la Piemontese ha vinto per gusto, tenerezza, bontà”. Effettua la frollatura sulle mezzene intere: “gli anteriori, in genere impiegati per bolliti e lunghe cotture, se ben maturi si possono usare anche per tartare o cotture alla brace, per esempio il biancostato. Cuocio i pezzi grandi sulla brace anche per 8 o 10 ore e sono buonissimi”. In questo modo si valorizza anche la parte che ha minore valore commerciale e di riequilibrano le spese sostenute tenendo le carni ferme per tanto tempo. “Lavorando i pezzi grandi, inoltre, lo scarto è minore perché la parte esterna – che non è bella da vedere – di solito si elimina, mentre così, con il pezzo intero, il taglio è sempre rosso, fragrante, bello fresco. Chiaro che poi per un arrosto non importa l'estetica perché nella cottura viene tutto risanato”.

Per i Motta la lunga frollatura è un affare di famiglia, che già – in modi e tempi diversi – seguiva Giuseppe, padre di Sergio. “Oggi abbiamo lo spazio per affinare e un ristorante con un grande spiedo, un circuito chiuso, e lavoriamo con le mezzene: quando ne serve una la lasciamo maturare. Non mi piace lavorare con i pezzi piccoli. In cella abbiamo capi macellati a dicembre, ora – a fine marzo - iniziamo a tagliare una coscia, vediamo come è e quanto possiamo spingerci con l'altra – quella ricoperta e protetta dall'osso – che in genere rimane almeno un mese o due in più”. E il sottovuoto, la cosiddetta tecnica Wet Age? “Non piace frollare sottovuoto, a piccoli pezzi, come si fa in Oltreoceano perché rimane un sapore ferroso e acidulo. La carne va fatta frollare in osso”. Stessa perplessità da parte di Sergio Capaldo de La Granda, veterinario e padre del presidio della razza Piemontese, “sottovuoto si crea un odore forte, di zolfo, dato dalla trasformazione dell'emoglobina”. Gli fa eco Roberto Liberati dell'omonima Bottega di Roma “L'odore è molto forte, per niente piacevole”.

Ma cosa avviene con la frollatura? Risponde Motta: “c'è un rilassamento dei tendini a zero gradi, le fibre si allentano, sotto la prima fetta la carne è eccezionale, tenerissima, saporita, il muscolo trattiene tutti i liquidi che non vengono ceduti in cottura”. E aggiunge Capaldo: “c'è un miglioramento delle proteine, che aiutano tenerezza gusto e digeribilità”.

E dal punto di vista microbiologico, prolungare così la frollatura non comporta dei rischi? “Abbiamo fatto molte analisi” è ancoraMotta a rispondere “e i parametri di carica batterica su animali macellati da 3 settimane o 4 mesi erano gli stessi, tanto che all'università di Milano pensavano che avessimo congelato la carne, sono venuti a vedere e hanno rifatto le analisi, mentre i carabinieri dei Nas che l'hanno analizzata sono venuti a mangiarla”. Capaldo invece fa fare controlli costanti, ogni 15 giorni “all'interno la carica batterica è assolutamente nella norma” dice.

Come funziona esattamente? “Se entriamo in cella a zero gradi è come entrare nella neve” semplifica Sergio Motta “si crea una muffa, diciamo una muffa nobile, che protegge la carne e la fa maturare. È determinata dall'umidità. Quando prendo il quarto per lo spiedo non faccio altro che coprirlo con 50 chili di sale per una notte, il sale si scioglie a contatto con l'umidità, aggredisce le muffe e lava la carne che a quel punto è pronta”. C'è una parte esterna più scura che di solito viene eliminata “ma Eugenio Roncoroni del ristorante Al Mercato di Milano mi ha fatto provare la parte più asciutta di una bistecca con un taglio di due mesi, che stavo per eliminare: era buonissima. E poi c'è il calore che la sanifica per bene, sulla griglia per esempio”.

Ma come viene recepita dai clienti? “Qui molto bene, il risultato sul piatto è ottimo, molto tenero e questo convince. Al ristorante facciamo scegliere, avvisiamo che più è fresca meno tenera e intensa come sapore”. Non riscontra uguale rispostaCapaldo nei punti vendita Eataly, nei quali ci sono le piccole celle frigo Mature Meat con i carré dalle lunghe frollature: “a Bari i clienti erano un po' scettici, anzi scappavano alla vista di questa carne, a Roma un po' meno, mentre al nord, a Milano, c'è stata una risposta migliore, anche da parte di colleghi veterinari”.“Sono per appassionati” sintetizza Liberati, a Roma. La comunicazione conta tantissimo, per Capaldo è una battaglia da vincere, come quella della battuta al coltello: “volevo dimostrare come una carne di qualità, anche cruda e senza condirla, dà sazietà molto prima e se ne consuma meno”. Così, dopo il crudo “che va molto fresco, possibilmente i tagli anteriori, per esempio punta di petto” ora l'obiettivo di Capaldo è far conoscere e apprezzare le carni dalle lunghe frollature, sempre di animali allevati bene. “Lavoro per ottenere un cibo salutare. Per esempio i valori di grasso e colesterolo, che per genetica la Piemontese ha bassissimi, dipendono molto dall'alimentazione dell'animale”.

Anche Capaldo sta lavorando con due metodi diversi di frollatura: uno è a secco in piccole celle. Non esattamente il Dry Age di scuola anglosassone per il quale si usano celle di stagionatura con raggi UV per ovviare a rischi di aumento della carica batterica, ma una procedura che lavora in asciutto, con una circolazione continua di aria che asciuga la carne più esterna e la protegge all'interno. E che può essere aromatizzata con fieno di montagna. Quello che si vede nei punti vendita Eataly, per l'appunto. Dove si stagiona solo il carré. Si tratta di celle a temperatura e umidità controllate da un computer secondo una curva che permette alla carne di creare una crosta che protegge l'interno senza che si secchi troppo, mentre una sonda controlla il Ph per evitare rischi di degenerazione. Una volta formatasi la crosta si crea una nuova sbuffata di umidità. Solo il carré? “Serve una carne con l'osso, inutile il filetto per le lunghe frollature”. L'altra procedura che sta sperimentando è invece con alta umidità e cella frigo più fredda, a 0-1 gradi costanti, una frollatura in presenza di muffe: “Devono rimanere i batteri buoni che fanno funzionare la frollatura: bisogna avere un microbo per amico, perché ci salveranno i batteri buoni. Così, in cella statica la carne arriva a seccare e matura come un prosciutto, e nella cella c'è proprio odore di prosciutto. Queste muffe buone sono antagoniste dei batteri. È importante per far maturare le carni con l'osso e in presenza di ossigeno, perché senza ossigeno la carne si inquina più facilmente, non ha capacità di difesa e va incontro a processi degenerativi”. Lavora su pezzi non su mezzene, perché? “Non mi piace frollare la carcassa appesa, perché secondo me non dovrebbe essere disturbata, cosa che accade ogni volta che si entra o si apre la cella: dovresti avere tante celle per non aprire ogni volta all'arrivo con le nuove”. In sintesi: qualità della carne, igiene, controllo della catena del freddo.

Parliamo di capi di 500-600 chili per le scottone, 600 per i castrati, fino ai 1200-1300 chili per i buoi (non più di 15 l'anno). Animali di 3-4 anni fino a 10 anni, anche di 12 anni: “l'ho fatto assaggiare e nessuno ha capito che era un individuo così avanti d'età, era molto tenero: dipende dall'animale, dalla sua crescita e dalla frollatura”. E come la mettiamo col calo peso? “Il calo peso, in 120 giorni, può arrivare anche al 20%, considerato la parte scura eliminata. Ma non è così rilevante se si pensa che si recuperano animali che altrimenti sarebbero persi, di cui non si butta via nulla, che si chiude il ciclo vitale in pieno e si valorizza una carne che – se ben allevata – ha un grande pregio. Ci sono cose che hanno bisogno di tempo”. E al consumatore finale quanto costa in più? “Al momento non più di un 10-15%. Vorrei che si diffondesse e ognuno potesse prenotare la propria bistecca da far maturare”.

Le frollature ideali cambiano secondo individuo, razza, taglio. Su animali adulti intorno 120 giorni, la Chianina andrebbe frollata d'obbligo almeno 3 mesi. Una volta la carne si frollava a lungo, oggi - soprattutto dal centro Italia in giù - la frollatura è di pochi giorni ma su alcuni tagli è un delitto. Serve un bravo macellaio, che è sempre più difficile trovare (a proposito di mestieri che vanno scomparendo e di cui c'è richiesta; per imparare ci vuole un anno con tanta passione e voglia di lavorare, dice Capaldo), anche per il disosso e la corretta (e minuziosa) rifilatura, senza la quale si rischia di sprecare tantissimo. “La carne deve essere venduta pulita e a posto, non vendo la crosta, anche se poi la bistecca la tieni a temperatura alta in cottura”.

Un altro macellaio sedotto dalle lunghe frollature è Roberto Liberati: “al momento sto facendo della sperimentazioni sui bovini adulti”. Che significa: dai 2 ai 10 anni. Quali caratteristiche devono avere? “Mi interessa che abbiano un buon punto di grasso, superiore alla media, perché in cella il grasso protegge e permette alla carne di frollare più a lungo, senza rischiare che si secchi e si scurisca troppo”. Le prove, per ora, sono arrivate al massimo a 4 mesi per lo stinco, circa due con le lombate “mentre abbiamo un coscio posteriore da iniziare ora, al terzo mese di frollatura”. Sono sperimentazioni controllate, e anche per lui la soluzione è alta umidità e bassa temperatura: “La mia cella ha un'umidità all'85%, nella parte bassa, e una temperatura di 0 gradi”. Cosa accade alle carni? “Si sviluppa una muffa in superficie che ricorda quello di un salume, anche nell'odore, all'esterno si scurisce ma all'interno le carni rimangono rosse. Anche il sapore, da crudo, ricorda le carni marinate e stagionate. Come di una bresaola o una carne secca ebraica, ma ancora più evoluta”. Come reagiscono i clienti? “Le lombate sono molto piaciute, ma al momento è più un prodotto da amatori, qui a Roma il cliente in genere diffida di una carne scura esternamente”. E riguardo al calo peso? “Il calo peso c'è, cambia tra il 5 e il 10% in un mese. Molto dipende dalla temperatura, a meno gradi tutto è più statico”. E quanto incide sul costo finale? “Al momento nulla, è pur sempre una sperimentazione”.

Di altra opinione Gian Pietro Damini macellaio di Arzignano, che non si spinge molto avanti con le frollature. “La media è 40-50 giorni la mezzena appesa, poi si procede con un sottovuoto controllato. Facendo attenzione che non escano liquidi dalla carne eventualmente sostituendo il sottovuoto”. Certo, ogni individuo fa storia a sé: il punto di grasso e anche le stagioni influiscono sui tempi “per esempio in primavera si riducono, mentre quando macelliamo fattrici che hanno fibre importanti andiamo più in là. Siamo arrivati a 100 giorni con una mezza Gallega spagnola, di cui 60 appesi e poi in sottovuoto. Ma in linea di massima non ci spingiamo molto oltre, non è la nostra tradizione”. Altra opinione anche riguardo la carica batterica: “lavoriamo tanta carne cruda, molto delicata, non mi piace che si sviluppino muffe. Ma qui è sempre stato così: i nostri genitori avevano anche 50 cosce in cella, se c'era una minima avvisaglia di muffa, si puliva con un pochino di aceto. Carica batterica porta carica batterica, e un elemento con la muffa rischia di contagiare anche gli altri”un po' come avviene per i formaggi. “Per questo ho fatto una cella separata per il maiale, che matura velocemente e sviluppa una sostanza che porta avanti la frollatura ma porta con sé anche le altre carni”. E poi l'umidità, che tiene piuttosto bassa, al 65%. Un altro fattore è quello del pubblico: “qui i gusti virano più sul dolce, per il prosciutto, i formaggi come l'asiago. E anche per la carne che si preferisce più delicata rispetto, per esempio, alla Toscana dove piace matura. Me lo conferma mio fratello Giorgio che è in cucina al ristorante ma anche alcuni chef con cui si è stata una collaborazione, per esempio Perbellini e Alajmo. Per le frollature, siamo veramente sul filo”.

Ristorante Macelleria Motta | Bellinzago Lombardo (MI) | Strada Padana Superiore, 90 | tel. 02.95784123 | http://www.ristorantemacelleriamotta.it/

Macelleria Motta Sergio | Inzago (MI) | Via Matteotti, 8 | tel. 02.9549220 | http://www.ristorantemacelleriamotta.it/

La Granda | Genola (CN) |Via Garetta, 8/A | tel. 0172.726178 | http://www.lagranda.it/

Bottega Liberati | Roma | via Flavio Stilicone, 278 | tel. 06.71544153

Damini macelleria & Affini | Arzignano (Vi) |via Generale Cadorna, 56 | tel. 0444.452914 | http://www.daminieaffini.com/

a cura di Antonella De Santis

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