20 anni di Cheese
Da 20 anni a questa parte, Bra, piccola località in aperta pianura costeggiata dalle colline che segnano l'inizio del Roero (Cuneo), si anima di casari, affinatori, selezionatori: un esercito di addetti ai lavori e appassionati che si riunisce per presentare, scoprire e assaggiare i migliori formaggi del mondo. La festa del latticino di qualità, che ogni due anni richiama l'attenzione del pubblico internazionale interessato ai prodotti di nicchia. Ma Cheese rappresenta molto di più di una semplice manifestazione gastronomica: “È la battaglia di un'umanità che crede e mette in pratica un'economia diversa, che distribuisce ricchezza ed è inclusiva”, ha spiegato il fondatore di Slow Food Carlo Petrini in occasione del ventennale dell'edizione appena conclusa. Quattro giorni di degustazioni, convegni, incontri, laboratori e soprattutto confronti: chiude i battenti oggi, 18 settembre 2017, una delle edizioni più seguite degli ultimi anni, questa volta dedicata ai formaggi naturali, ovvero quelli prodotti senza l'ausilio di fermenti industriali. Ma non solo: vietato l'ingresso ai formaggi a latte pastorizzato, via libera invece a quelli a latte crudo, dal gusto intenso e persistente. Una sfida che Slow Food, associazione ideatrice di Cheese, porta avanti da anni, insieme alla lotta per la trasparenza della filiera e la tracciabilità dei prodotti. Fil rouge dei vari forum e seminari, infatti, è stato il tema della sostenibilità e della tutela dell'ambiente, argomento centrale che è stato affrontato sotto diversi punti di vista.
Caseari resistenti
Legame con il territorio, benessere animale, rispetto per il paesaggio. Sono questi i principi cardine che guidano l'organizzazione del festival. Perché, come hanno ripetuto gli organizzatori, “questi formaggi sono caratteristici delle realtà di piccole dimensioni, dove c'è il pieno controllo sulla propria filiera, e perché dietro un prodotto ci sono le persone che lo fanno e la loro idea di sviluppo e di futuro”. Per questo, da 20 anni, a inaugurare Cheese è l'assegnazione dei premi speciali per la Resistenza Casearia. Così, la mattina di venerdì 15 settembre, hanno sfilato sul palco di Piazza Caduti per la Libertà, uno dopo l'altro, i giovani imprenditori impegnati a mantenere vivi paesaggi e tradizioni. Andy Hatch, produttore del Presidio Slow Food dei formaggi a latte crudo americani, il georgiano Kakha Abulidze, in rappresentanza dei produttori della Agricultural Cooperative Alaznistavi, custodi delle razze locali a forte rischio di estinzione, Roberto Logias del Presidio Slow Food del Fiore sardo dei pastori, Irineu Eusebioda Luz da Capo Verde, membro della Cooperativa Criadores das Montanhas che da anni raduna insieme le tre diverse popolazioni (africana, europea, portoghese) di Capo Verde all'insegna del buon gusto, Luigi De Carolis (Umbria) e Paola Capanna (Amatrice), in rappresentanza di tutti i produttori delle regioni dell’Italia centrale colpiti dal terremoto nel 2016.
Gli assaggi
Cuore pulsante dell'evento restano le degustazioni di formaggi di ogni tipo, a latte vaccino, ovino, a pasta filata o dura, freschi e stagionati. Passeggiando fra gli stand sparsi per le vie che si snodano attorno a Piazza XX settembre, ci si immerge in un'atmosfera familiare, accogliente, informale ma che non rinuncia a una buona dose di informazione tecnica sull'argomento. Produttori da tutto il mondo hanno dato ai visitatori la possibilità di assaggiare i loro formaggi, rispondendo alle domande del pubblico più curioso, spiegando tecniche di lavorazione, dettagli e caratteristiche organolettiche, aree di produzione. Ma non solo formaggio: spazio anche al miele millefiori di alta montagna e quello di Ape Nera Sicula, entrambi presìdi Slow Food, e poi conserve, confetture dolci e salate, mosto cotto e tante altre specialità italiane che solitamente accompagnano i latticini, oltre a biscotti, torte da credenza e prodotti da forno a base di burro e altri derivati del latte.
Allarme clima: gli effetti sui formaggi
Eccellenze agroalimentare dietro le quali si celano tradizioni secolari, gesti e rituali ripetuti nel tempo, ma anche territori, fauna, flora, paesaggi, venti, precipitazioni. Ed è proprio sull'ambiente che circonda le fattorie che Cheese ha voluto porre l'accento più volte durante le quattro giornate, dapprima con un focus sull'Appennino, messo a repentaglio dal terremoto e dalle forti nevicate dello scorso inverno, con un cambiamento nel cuore dell'Italia pastorale, e poi con un convegno dedicato al cambiamento climatico. Una problematica che colpisce produttori di tutte le latitudini fra catastrofi climatiche - come il recente uragano Irma in Florida - e una siccità straordinaria, specialmente in Italia e buona parte dell'Europa mediterranea, dove si è chiusa da pochi giorni “la seconda estate più calda e la quarta più secca dal 1753”, ha spiegato il climatologo LucaMercalli. Un mutamento iniziato già dal 2003, con effetti considerevoli sulla terra, gli animali e, di conseguenza, gli alimenti: “Anche in alta montagna l'aumento delle temperature sta cambiando il modo di condurre gli alpeggi e i malgari sono costretti a tornare in pianura con un mese di anticipo. Siccità e parassiti arrivano dove finora non si erano mai visti”.
I dati
Così, uno dopo l'altro, i meteorologi presenti alla manifestazione mostrano al pubblico gli inquietanti numeri dei danni ambientali a cui stiamo assistendo oggi. Il settore agricolo è attualmente tra i più impattanti in termini di gas serra, con il 21% di emissioni, secondo solo alle attività legate all’energia (37%). Ruolo fondamentale in questo caso lo ricopre la fermentazione enterica degli allevamenti industriali, che rappresenta il 70% di questo dato. “Non ci dobbiamo però concentrare solo sulla valutazione delle attività principali, ma valutare le attività di pre-produzione (mangimi e concimi) e di post-produzione (trasporto, stoccaggio, packaging)”. Senza dimenticare che le emissioni di CO2 non sono l’unico parametro da tenere in considerazione: “Vanno tenuti in conto anche il contesto geografico di produzione, la qualità dei suoli e il loro livello di tossicità e l’uso in quanto risorsa scarsa, l’utilizzo di acqua e di biosfera”.
Menu for Change
Per far fronte a questa problematica, nel cuore del festival, la scorsa domenica Slow Food ha presentato la campagna Menu for Change, progetto di raccoltafondi internazionale presentato da Petrini. “A chi si domanda perché un’associazione che si occupa di cultura alimentare dovrebbe promuovere una campagna sulle questioni del cambiamento climatico, posso rispondere questo: è incosciente chi si bea della qualità alimentare di un prodotto senza chiedersi se a monte c’è distruzione dell’ambiente e sfruttamento del lavoro”. Ogni consumatore, dunque, deve acquisire maggiore consapevolezza, autonomia, senso di responsabilità. Punti focali per i quali Slow Food si batte da anni. “Il più grande terreno da coltivare è la lotta allo spreco. Tutte le istituzioni internazionali ripetono che siccome nel 2050 saremo 9 miliardi e mezzo bisogna produrre più cibo, ma già oggi abbiamo cibo per 12 miliardi di viventi. Significa che un’ampia parte di quello che viene raccolto, trasformato e venduto finisce nella pattumiera”. Parole autentiche, cariche di gravità. Un grido d'allarme che vuole arrivare a tutti, nessuno escluso. “Siamo tutti chiamati in causa, le piccole azioni moltiplicate per milioni di persone possono cambiare il mondo”.
Le Dop. Crisi o opportunità?
Una triste verità, quella del cambiamento climatico. Una ferma convinzione, quella di doverci porre rimedio. Fra certezze e sicurezze, un interrogativo. “Il futuro delle Dop è nelle mani dei giganti?” è il titolo della conferenza dedicata alla certificazione messa in discussione a partire dal libro-inchiesta di Véronique Richez-Lerouge, giornalista e presidente dell’Association Fromages de Terroirs, che rivela che ben due terzi dei formaggi francesi protetti dalla Aop sono gestiti e controllati dalle grandi industrie. Un dettaglio che ha molto poco a che fare con il concetto di terroir e legame con la terra d'origine che la certificazione dovrebbe garantire. All'incontro di sabato 16 settembre, è stata l'autrice in persona a fare luce sull'argomento. “Prendiamo ad esempio il Camembert. Oggi il 50% della sua produzione è in mano a una sola grande azienda”. Il risultato? “I formaggi a latte crudo cadono vittime della stessa standardizzazione che vogliono evitare”.
La risposta dei produttori
A confermarlo, Joe Schneider del Presidio dello Stichelton, celebre formaggio blu inglese, nato in seguito a una disputa con il marchio di tutela europea. Nel Regno Unito, infatti, esiste una Dop per lo Stilton, storico formaggio vaccino che però non può essere prodotto con il latte crudo. “Paradossalmente, se nello Stilton ci mettiamo un ananas, per la Dop quello rimarrà sempre Stilton. Ma se usiamo latte crudo no”. Proprio per questo, i produttori più appassionati hanno avviato un progetto per riportare in auge un prodotto antico realizzato secondo tradizione, “quella vera”. Ma la Commissione Europea sembra non essere favorevole, “per questo abbiamo cambiato nome al nostro formaggio che da Stilton è diventato Stichelton”.
Le Dop in Italia
Un problema non solo estero, ma anche nazionale: “In Italia abbiamo tantissime Dop non rivendicate dai produttori”, spiega Carlo Hausmann, assessore all'Agricoltura della Regione Lazio. Il motivo? “Quelle certificazioni non riconoscono un valore aggiunto alla categoria, né ai produttori né al mercato intero”, che va invece preservato con cura, “come ci insegna l'esempio dei Presìdi Slow Food”. Perché l'Italia vanta un paradigma agricolo ampio e ricco, una biodiversità unica, e prodotti di nicchia straordinari, che non dobbiamo dimenticare. Meglio, piuttosto, sfoltire il numero di Dop, “concentrandoci su quelle che avvalorano la nostra biodiversità e che creano ricchezza”.
Cheese 2017 | Bra (CN) | dal 14 al 18 settembre 2017 | cheese.slowfood.it/
a cura di Michela Becchi