“Il cibo a domicilio è sempre più territorio di innovazione”. Parola di Sonia Massari che nel numero di luglio del mensile del Gambero Rosso, in uno speciale dedicato alle startup, individua quattro generazioni del food delivery.
Le quattro generazioni del food delivery
“È interessante notare come le quattro generazioni del food delivery, in Italia siano state condensate in poco più di cinque anni”. Spiega Sonia Massari, Direttore di Gustolab International - Food Systems and Sustainability e docente del corso “Sustainability Design” presso l'Università di Roma Tre oltre che responsabile delle pagine di design sul nostro mensile cartaceo. “Negli Stati uniti il food delivery esiste da circa vent'anni e in tutto questo tempo si è fisiologicamente evoluto per gradi. Prima il pizzaiolo cucinava e si occupava di portare la pizza direttamente a casa, poi sono nate società che attraverso speciali algoritmi si sono occupate di organizzare prenotazioni e vendite via app e piattaforme online, successivamente queste società hanno iniziato a fare selezione dei ristoranti e dei prodotti, per fornire servizi ancora più settoriali e oltre alla prenotazione-vendita hanno iniziato a gestire anche la consegna e infine, l’ultima era del delivery, è contraddistinta dalla scomparsa dei ristoranti in favore di laboratori di produzione ad hoc”.
Le quattro fasi in Italia
“In Italia queste quattro fasi si sono susseguite nel giro degli ultimi cinque anni, con una attenzione maggiore nei confronti dell'algoritmo, per servizi più efficienti e prodotti più di nicchia e di qualità. La quarta generazione delle startup italiane, infatti, non vede tanto la scomparsa dei ristoranti, ma piuttosto la creazione di offerte specializzate (pasto da assemblare, prodotti e ricette regionali, pasti di fine dining, soluzioni gluten free o vegan) e fanno a gara tra chi ha l'algoritmo più preciso”. Ma c'è un ma: “Purtroppo la maggior parte di queste startup sembra quasi non tenere conto che la progettazione deve essere sistemica, il che implica un'attenzione nei confronti della sicurezza sul lavoro e della sicurezza alimentare. Pochissimo, infatti, è stato fatto in termini di progettazione di un packaging avanzato, smart e tracciabile, autopulente, in grado di mantenere le temperature e preservare il cibo. Ancor meno per quanto riguarda i contenitori studiati per il cibo che viene trasportato (come per esempio la pizza con la mozzarella o le salse, che a detta degli addetti ai lavori sono il vero incubo di ogni biker). In poche parole l'obiettivo finale (la customers satisfaction) ha offuscato tutti gli altri step intermedi”.

Il team di Hotbox
Hotbox Food
È per questo che la notizia di una realtà che ha progettato uno speciale bauletto per mantenere caldo e fragrante il cibo, è piuttosto interessante. Parliamo di Beyond Engineering, una startup di Maranello che attualmente fa parte del programma di incubazione dell’acceleratore internazionale Startupbootcamp FoodTech con sede a Roma. Dietro ci sono le menti (e le braccia) di quattro ragazzi con alle spalle studi di ingegneria meccanica e del veicolo: Claudio Giovini, che tra l'altro ha passato oltre dieci anni nella pizzeria di famiglia, Domenico Palladino, Anthony Prada e Marco Caputo. Ma come funziona esattamente il bauletto Hotbox Food? “Il rendimento energetico di uno scooter è circa del 20%; la restante parte dell’energia viene dispersa in calore sia nel sistema di raffreddamento che nell’espulsione dei gas di scarico dal tubo di scappamento. L’innovazione di Hotbox è quella di riutilizzare questo calore, che altrimenti viene sprecato, per conservare il cibo a 85 °C garantendo pietanze calde ai clienti”. Marco ci spiega esattamente come: “Il calore proveniente dalla marmitta viene convogliato in una serpentina di acciaio inox miniflex a tenuta stagna che riscalda la camera contenente il cibo. E una volta utilizzata tutta l’energia necessaria, il calore rimanente viene espulso all’esterno del dispositivo attraverso la serpentina stessa. Così la camera di trasporto del cibo mantiene una temperatura costante di 85 °C dopo soli 15 minuti di utilizzo del mezzo in strada”. Se vi state domandando se il gas vada a contatto con il cibo, ovviamente non è così dato che il compartimento del cibo e quello che ospita la serpentina sono completamente isolati. Insomma, niente pizze o pastasciutte all’aroma di smog.
Il ricircolo d'aria
I quattro ragazzi, però, non si sono fermati a questo. “Siamo sul mercato da circa sei mesi, ma prima abbiamo passato un anno e mezzo a fare dei test con la pizzeria di famiglia di Claudio (Pepa l'Arepa di Modena), allargandoci poi ad altre regioni. Inizialmente il problema era trovare la temperatura ideale di conservazione, che parlando con Barilla si è dimostrata essere tra i 75 e gli 85 gradi, e soprattutto il dover eliminare l'umidità. Claudio, lavorando in pizzeria, sapeva bene che il problema principale nel trasportare le pizze sta tutto nell'umidità”. E così la seconda fase di funzionamento del bauletto si basa proprio sullo stesso principio di un forno ventilato, che grazie al ricircolo d’aria permette di eliminare il vapore che si crea nei contenitori durante il trasporto dei cibi. “Per noi ingegneri è stato un gioco da ragazzi: è bastato inserire una ventola che aiuti a togliere il vapore per consentire il ricircolo d’aria, che a sua volta sfrutta la convezione forzata per aumentare notevolmente ed equilibrare la temperatura interna di Hotbox, rendendo più efficiente il sistema di deumidificazione”. Ed eccoci alla terza fase di funzionamento di Hotbox Food, che consiste in un deumidificatore.
La deumidificazione
“I sistemi di consegna tradizionali riescono a mantenere per breve tempo il calore, ma trattengono al loro interno l’umidità e soprattutto non riescono a eliminarla. Hotbox, invece, la elimina grazie a un radiatore che è in comunicazione con l’ambiente esterno: il vapore acqueo viene in contatto con il radiatore e subisce uno sbalzo termico che lo trasforma in goccioline espulse tramite un’apposita canalina. Questo sistema garantisce la fragranza delle pietanze fino a casa dei clienti”. L'idea, tanto innovativa quanto intuitiva, è piaciuta ai ragazzi di Moovenda - food deliverer capitolino che vuole posizionarsi sulla fascia qualitativamente alta del mercato - che la stanno testando con la complicità di un pizzaiolo del calibro di Pier Daniele Seu Tre Spicchi sulla nostra Guida Pizzerie, e a UberEATS, e ha convinto anche Deliveroo in Inghilterra e alcune grandi catene (leggi: Domino Pizza e Papa John's pizza) in Israele. D'altra parte utilizzare questo speciale bauletto per trasportare il cibo significa anche risparmiare in termini di tempo e benzina perché con questo sistema possono essere smaltiti più ordini con la stessa consegna, mantenendoli sempre caldi e a temperatura costante. Concludiamo sempre con le parole (e una speranza) di Sonia Massari: “ben venga un food delivery sempre più automatizzato, sempre più personalizzato e sostenibile, con la speranza che inizi a pensare anche a soluzioni per salvaguardare la parte umana, preservandola e agevolandola nel suo ruolo di problem solver nei diversi scenari”. Buona cena a domicilio.
a cura di Annalisa Zordan