Madrid gastronomica
Per anni subalterna allo strapotere e all’immaginario foodie di Barcellona, Madrid sta trovando negli ultimi tempi il suo ruolo nel mosaico gastronomico che, dalla Catalogna ai Paesi Baschi, compone l’offerta gourmet spagnola. La capitale castigliana, in realtà, non è mai stata una meta per gourmet e ha sempre subito la concorrenza di altre aree del paese. Anche i grandi chef stellati che ne hanno calcato i palcoscenici (Ramon Freixa, Paco Roncero…) sono rimasti fenomeni limitati alla Spagna e solo recentemente la città è riuscita a portare un grande cuoco – ovviamente parliamo di David Muñoz - alla ribalta planetaria.
Ma ciò che di nuovo e di avvincente si può trovare a Madrid in questi mesi non riguarda (anzi lo riguarda, ma indirettamente) il giovane chef tristellato da poco trasferitosi negli spazi dell’hotel Eurobuilding. E non riguarda neppure il fenomeno dei mercati gastronomici che ebbe un interessantissimo boom pre-Lehman e che oggi appare ripiegato – basta fare un giro al Mercato di San Miguel – su format iper turistici sempre più lontani parenti di qualità e ricerca.
Il ruolo di David Muñoz
La frontiera madrilena del 2015 è una sorta di malinteso fusion. Una cucina che rielabora le pesantezze e le asperità dei gelidi altipiani castigliani (e anche di altre cucine spagnole) con suggestioni orientali in senso allargato. Non solo giapponesi, non solo cinesi, non solo coreane, non solo di Singapore. Tutto. Muñoz c’entra, dicevamo, in senso indiretto perché è indubbio che molti giovani chef e ristoratori guardino al suo modo di inserire contenuti orientali nelle sue degustazioni sia al DiverXO che – in modo ancor più smaccato e palese - da SteetXO, il format di street food che il 35enne chef madrileno ha portato sul tetto del centro commerciale El Corte Inglés. Muñoz c’entra perché prima di esplodere a Madrid, nella seconda metà degli anni Zero, andrò a Londra a vedere come girava il mondo della ristorazione e per vederlo frequentò posti come Hakkasan, Nahm e Nobu. Insomma i templi della cucina orientale nella capitale britannica. I risultati di queste commistioni e la considerazione del fatto che lo chef di maggior successo oggi in Spagna è quello che più di ogni altro ha saputo inserire nella cucina iberica elementi esotici, hanno portato a una escalation di proposte che per semplificare definiremo fusion (ma niente a che spartire con le forzature proprie di questa tendenza una quindicina d’anni fa) e che caratterizzano le energie più interessanti dell’offerta ristorativa della capitale. Rendendola, forse per la prima volta, autenticamente internazionale.
Chuka Ramen Bar
Partiamo il nostro percorso da Chuka Ramen Bar. I propositi sono esplicitati dal nome stesso. I presupposti invece vengono da New York visto che questa divertente tavola, aperta nel novembre 2014 in pieno centro, è stata fondata da tre ragazzi di cui uno, John Husby (gli altri due sono Lorena Mauri e Rodrigo Garcia Fonseca) ha a lungo collaborato con David Chang al Momofuku. Ebbene, dire che alcuni piatti del Chuka sono all’altezza di quelli dell’insegna newyorkese è una responsabilità che ci prendiamo senza grandi preoccupazioni. Ramen davvero notevoli (ne abbiamo assaggiato uno freddo con salsiccia piccante, anacardi caramellati e, naturalmente, uovo sodo) così come i gyoza (ravioli) e i bun (panini di pane bianco cotto al vapore). Un pezzo di East Village nel pieno del Barrio de las Letras: da New York a Madrid passando per Shanghai, Tokyo e Seoul.
Soy Kitchen
Se Chuka è sorprendente, ma ha una formula conosciuta. Soy Kitchen fa davvero storia a se. La parte bassa del locale non è altro che un fetido bar di quartiere (uno sgradevole quartiere, sebbene centralissimo) dove non entreresti neppure dietro pagamento. Salendo al primo piano però, come fosse un ristorante clandestino, ecco il regno inaspettato di Jongping Zhang, giovanissimo chef originario di Pechino e con un bello e strano curriculum, che tutti chiamano Julio.
Il luogo dove si può mangiare la miglior alta cucina asiatica ammesso e non concesso di trovare libero uno dei sei tavoli disponibili visto che da quando El Pais (ad aprile 2014) ha parlato di ristorante “portentoso”, non c’è stato un giorno senza il tutto esaurito. Non c’è menu, ma l’estremismo della carta bianca: neppure si sa quante portate saranno (potenzialmente infinite), scordatevi di avere informazioni da Twitter e Facebook perché del ristorante non c’è traccia da nessuna parte, lo chef chiede semplicemente le intolleranze e poi parte con una degustazione tagliata su misura sul cliente in base all’inventiva e al mercato. Lo chef non si ferma finché il commensale non lo ferma. Molti piatti vengono finiti direttamente al tavolo dalle giovani cameriere che li raccontano con cura così come fa lo chef quelle volte che esce dai quattro metri quadrati della sua cucina. Una tavola, insomma, che è difficile da raccontare, da classificare, da inquadrare.
Qualche esempio di piatto per quanto possano essere significativi? Tempura di carote, pesce secco, gamberi e crema di pomodoro colombiano; Spaghetti di riso, fiore di loto, salsa di uova di pesce, seppia e crema di arachidi; Gyoza, maiale e triglia. Una golosissima Entrecote al miele con germogli di bambù o una folle Noce di cocco congelata con all’interno una zuppetta di cannolicchi di mare e latte di cocco. Sembrano intrugli con fin troppi ingredienti e fin troppi riferimenti dal Vietnam alla Malaysia? In realtà sono nella schiacciante maggioranza piatti assai convincenti, realizzati all’impronta, a sensazione, al volo, in grande velocità e in condizioni estreme. Personalità e coraggio senza paure. Ciononostante il tutto è presentato senza foga, con professionalità, con convinzione e con eleganza in un contesto tenuto in piedi da giovanissimi, in una vera e propria bettola. Dovete solo stare attenti a fermare Julio in tempo perché altrimenti il conto può anche salire oltre le aspettative più pessimistiche. In alternativa non salite al piano superiore e state giù, al bar, a provare la cucina dello chef in versione tapas. Perché ancora non incrociamo Jongping Zhang nei più grandi congressi di cucina del mondo? Sarà, credeteci, solo questione di tempo.
Yakitoro
Tanto Jongping Zhang sta nascosto nel suo piccolo fortilizio del Soy Kitchen, quanto Alberto Chicote è plateale, visibile e aperto, anche grazie al suo nuovo Yakitoro. Chicote è uno degli chef televisivi più famosi di Spagna e Yakitoro è il suo contributo al boom fusion-asiatico della capitale iberica. In realtà Chicote non è nuovo a proposte fusion che ha sperimentato, in alcuni suoi ristoranti, fin dagli anni Novanta. Arrivata la nuova wave asiatica, non se lo è fatto dire due volte e ha inaugurato un grande locale che scimmiotta, a modo suo, lo stile delle trattorie giapponesi storiche (gli yakitori, appunto) dove il cibo viene cucinato direttamente sui carboni o sul fuoco, di fronte al commensale. Yakitoro è disseminato di barbecue e braci con giovani cucinieri indiavolati e accaldati. La sala è amplissima e luminosa, non c’è distinzione tra i servizi e si può andare a mangiare a qualsiasi ora: un quasi-fast food della nuova onda del fusion madrileno. Alla fine, però, abbiamo mangiato non bene, ma benissimo anche qui. E anche qui spendendo il giusto. Riso bianco ai sapori d’oriente (ormai un must della casa), il bun di pancetta iberica con esplicita dedica a David Chang (che ritorna, confermandosi autentico guru della nouvelle vague orientaleggiante di Madrid) e infine il midollo di manzo asado e caramellato con tonno essicato on top.
Nakeima
Dopo Chuka, Soy Kitchen e Yakitoro, la quarta tappa del tour fusion di Madrid è andata buca a causa della formula ancor più estrema dell’obbiettivo. Il target rispondeva al nome di Nakeima (foto in apertura) e secondo alcuni è il bancone (aperto da alcuni giovanotti con fior di esperienze da Muñoz o dai fratelli Roca) che ha rivoluzionato la cucina della città. Non lo possiamo confermare – ma lo possiamo intuire – visto che ottenere un tavolo non è stato possibile. Nakeima non accetta prenotazioni, fa un turno solo, ha 20 posti solo al bancone. Come fare per assicurarsene uno? Bisogna mettersi in fila (verso le 19.30, per avere qualche speranza, ma il record è stata una fila partita alle 17.30), sperare di essere tra i primi 20, assicurarsi il proprio sgabello e poi tornare alle 21 per cenare. E a quel punto inizia lo spettacolo con gli chef a lavoro dietro alla barra (l’ispirazione qui è StreetXO): ssam di wagyu, bao, nigiri di gamberi, nigiri iberico di pancetta, dim sum de cerdo e ancora dumpling, chirashi, wonton, tataki e via via asiaticheggiando. Peccato che non abbiamo potuto assaggiare nulla: ottima scusa per tornare a Madrid a testare le evoluzioni della cucina fusion nella capitale spagnola che, aprendosi al mondo, sta trovando la sua identità gastronomica contemporanea.
Chuka Ramen Bar | Spagna | Madrid | Calle Echegaray, 9| tel. +34.91.640651346 | www.chukaramenbar.com
Soy Kitchen | Spagna | Madrid | plaza Mostenses, 4 | +34.91.5488879
Yakitoro | Spagna | Madrid | calle Reina, 41 | tel. +34.91.7371441 | www.yakitoro.com
Nakeima | Spagna | Madrid | calle de Meléndez Valdés, 54 | www.facebook.com/pages/Nakeima/470438943012019?sk=info&tab=overview
StreetXO -| Spagna | Madrid | Nuevo Espacio Gourmet, Planta 7 | Serrano 52 | www.streetxo.com
a cura di Massimiliano Tonelli