E pensare che questa storia avremmo anche potuto non raccontarla affatto. Perché nel percorso di un giovane cuoco che ha successo all’estero e poi decide di tornare in Italia subentra anche quel tot di depressione che quasi ti fa passare la voglia, quasi ti fa pensare che non ne valga la pena, quasi ti convince a cambiare mestiere. Ma è solo l’Italia ed è solo quella caratteristica atroce e crudele di disarmare i talenti e di mortificare la qualità: stringendo i denti si supera e Matteo Lorenzini, Ilaria di Marzio, Tommaso Verni hanno gettato il cuore oltre agli ostacoli, per la gioia di chi oggi può andare ad assaggiare i loro piatti a Le Tre Lune, novità degli ultimi mesi nelle colline di Calenzano, fuori Firenze.
Stiamo parlando – rischiamo a ragion veduta di sbilanciarci – di una delle aperture dell’anno e di un posto del quale, se le cose andranno come devono andare e come sembrano andare, sentiremo parlare nelle prossime stagioni. Ma per capire come è nato questo progetto dobbiamo riavvolgere il nastro.
Matteo Lorenzini, nato a Siena nel 1985, Istituto Alberghiero al Buontalenti di Firenze; a 19 anni, appena finita la scuola, subito un anno e mezzo da Arnolfo a Colle Val D’Elsa da Gaetano Trovato. Segue stage da Perbellini a Verona e poi, siamo nel 2007/2008, la Francia. “Non sapevo una sola parola di francese e forse era meglio così, il mio curriculum, che non mi sembrava affatto male, una volta arrivato a Montecarlo appariva poca cosa: chef Trovato mi trovò un contatto con il Louis XV di Alain Ducasse, ma di rimbalzo mi mandarono a farmi le ossa a La Mas de Pierre Relais&Chateau di Saint Paul de Vence dove cucinava Frederic Garnier che era allievo di Franck Cerutti, grande capo dei fornelli di tutto l’Hotel de Paris, Louis XV compreso” ci racconta Lorenzini. Dopo un anno però le cucine del Louis XV si aprono definitivamente. Sono tempi di gavetta durissima (“i ritmi e la pressione sono più che militari, moltissime le persone che arrivano e non reggono, andandosene dopo pochi giorni”) e profondi sacrifici come però di grandi soddisfazioni professionali. Nelle cucine di Alain Ducasse a Montecarlo lavorano almeno 30 persone, ma solo 7 cucinano davvero, Matteo cucina eccome: “molti chef dicono di aver lavorato in quel ristorante, ma in realtà ci sono stati non più di sei mesi, e lì in sei mesi non arrivi neppure a capire a che gioco stai giocando. In più di due anni ho girato tutte le postazioni fino ad arrivare a chef di partita”.
Stop. Passiamo ad un altro tassello fondamentale del progetto Tre Lune: Ilaria di Marzio, compagna di lavoro e di vita di Matteo, classe di ferro 1985 anche lei. Pasticcera di gran mano, si forma da Mannori a Prato, segue il fidanzato a La Mas de Pierre, non trova dapprima gli spazi che trova lui da Ducasse e dunque, scusate se è poco, opta con successo per Robuchon, sempre a Monacò, per poi raggiungere Matteo e piazzare il record di prima donna italiana ad aver mai lavorato nelle cucine del Louis XV. Arriva anche lei, come il compagno, nel giro di pochi mesi ai vertici della carriera ducassiana quando, d’un colpo, i due decidono di mollare.
“Lo chef Pascal Bardet nel 2011 se ne andava, decidemmo di cambiare pure noi, come ho detto l’ambiente è militare: se va via il generale, è quasi naturale che tutto il suo staff si ritrovi senza punti di riferimento con il nuovo leader. Se Bardet fosse rimasto al Louis XV avrei continuato ancora un poco” spiega Matteo Lorenzini “viceversa abbiamo deciso con Ilaria di cambiare”. Nell’avventura delle Tre Lune, della quale parleremo tra poco, si parla spesso dei due ragazzi come portatori in Italia di idee di cucina vicine ad Alain Ducasse, in realtà è forse l’esperienza successiva, quella che ha pesato maggiormente nell’attuale impostazione nel ristorante di Calenzano: dopo Montecarlo Matteo e Ilaria puntano verso nord e approdano alla corte di Philippe Mille, uno dei cuochi più più in carriera di Francia in questi ultimi anni, e nelle cucine de Le Crayères lui fa il capopartita alle salse, lei ai dolci. Altissimo livello interrotto da un noioso incidente all’occhio per lui. Tante operazioni e un anno di convalescenza dopo il quale viene l’idea di ritentare il ritorno a casa. Tanti curricula e, incredibilmente, poche risposte. Una mezza idea a cambiare mestiere, come si diceva all’inizio, poi un po’ di prove per risintonizzarsi nel bene e nel male con l’Italia (un ristorante iper-tradizionale nel Chianti, una esperienza deludente a Bologna). Poi l’incontro con Tommaso Verni, uscito da un’esperienza a La Leggenda dei Frati dei fratelli Saporito, e la voglia di metter su un ristorante di ripicca. Un posto per reagire ad una professione che correva come un treno e che si era avvitata. Soprattutto un posto dove andare avanti con la propria identità.
A Le Tre Lune non trovi il menu suddiviso in antipasti, primi e secondi, la scansione è simile a quella francese: verdure, carne, pescato. Il ristorante sta in una antica villa patrizia, appartenuta alla famiglia Strozzi, lo staff abita nell’appartamento di sopra, stupendi gli spazi all’aperto, nella piccola cucina Matteo Lorenzini sta al pass e fa il jolly, Tommaso Verni è il secondo ma sta ai fornelli (“senza di lui non ci sarebbero le Tre Lune, è quello che dà il tocco mediterraneo mitigando la mia impronta francesizzante”), Ilaria di Marzio ovviamente si occupa della pasticceria ma in questa fase di start up (sebbene i dolci siano di livello assoluto) è molto impegnata a seguire la sala (“la interpretiamo come uno di noi di là” continua Matteo “ma devo dire che è oggettivamente sacrificata in questa fase”).
Il risultato è clamoroso per sapori, rapporto qualità\prezzo, originalità: “in Italia si tende molto all’omologazione ultimamente, noi siamo stati addirittura criticati perché non ci siamo allineati e continuiamo con la nostra impostazione senz’altro molto debitrice alla Francia, ma è la nostra personalità” dice ancora Lorenzini. La sensazione è di essersi seduti a una tavola matura, rodata, impeccabile. Non di certo a un ristorante aperto giusto ad aprile da tre giovanotti under trenta. Cucina di mercato nel vero senso della parola: ovvero ogni notte si parte e si va ai mercati generali di Firenze dove un’accurata selezione dei produttori permette di maneggiare materie prime anche pregiate mantenendo un livello di prezzi incredibilmente contenuto. “L’astice? Tutti lo pagano 22 euro dai distributori, io me lo vado a cercare da solo e lo riesco a pagare la metà. La materia prima, se usi il cervello, non è vero che è costosissima. La notte al mercato i finferli li pago 6 euro, il coniglio lo trovo di grande qualità e a prezzi umani da piccoli produttori locali. O si fa così” sentenzia Matteo “o si chiude. Certo bisogna alzarsi la mattina o, neanche tanto di rado, non andare neppure a letto”. Ecco perché riesci a mangiare come in una grand table francese e hai il menu degustazione a 35 euro…
Tutto questo si sintetizza, seduti a tavola, in: Terrina di foie, pistacchio, gelé di ciliegie, ciliegie marinate e biscotto (sensuale benvenuto dalla cucina), Finferli al vin santo, alette di pollo e polvere di porcino (consistenze, temperature, golosità), Ravioli freddi di panzanella in brodo di minestrone (unico piatto autenticamente estivo in una cucina che fatica a abbandonare la sontuosità di certe preparazioni che a queste latitudini definiamo invernali), Granchio, zucchine e zenzero (con l’emulsione setosa a riempire il carapace e le consistenze della verdura e del crostaceo a duettare al centro), Astice, pesca saturnina, tortellini freddi alla coda di astice (capolavoro di equilibrismi di contemporaneità), Gnocchi, santoreggia, trito di porcini e animelle (e pazienza se è estate se il livello di ghiottoneria arriva a queste vette). Si chiude con un Lingotto di nocciola e cioccolato che è l’omaggio perfetto di Ilaria Di Marzio ad Alain Ducasse e che conferma la netta sensazione di aver scovato una nuova cucina di livello da aggiungere, con entusiasmo, alla cartografia italiana del talento.
Ristorante Le Tre Lune | Calenzano (Fi) |Villa di Travalle, 1/a | tel. 055.8873156 | www.letrelune.com
A cura di Massimilano Tonelli