Professione Pizzaiolo: imparare i segreti della pizza, con Ciro Salvo

24 Giu 2013, 11:56 | a cura di
“Ci sono solo 4 elementi, acqua, farina, sale e lievito. Idratazione e maturazione. Nessun segreto”. Così Ciro Salvo racconta la pizza. Non un contenitore, né un piatto da portata, ma la protagonista delle tavole. Salvo sarà alla Città del gusto del Gambero Rosso a Roma per 9 incontri sulla pizza. A partire da Ottobre.

È uno dei maestri della vera pizza napoletana. È il docente dei corsi Professione Pizzaiolo delle Scuole del Gambero Rosso. Ciro Salvo è legato alla tradizione e allo stesso tempo ha i radar giusti per intercettare modelli e tendenze nuove che si muovono nel vasto mondo dell’enogastronomia.

Il primo dogma di Ciro è semplice: “La pizza non è un contenitore, non è un piatto da portata: la pizza è pizza, è impasto, è la pasta stessa. È lei la protagonista. Il resto è accompagnamento che deve esaltare ed esaltarsi con l’impasto”.

Dunque - parlando di condimenti - cosa può andare insieme a un grande impasto?
Intanto, sulla pizza io uso prodotti di eccellenza e non solo campani, ma di tutta Italia. Certo, i pomodori San Marzano sono dop e l’olio extravergine di oliva viene dal Cilento; il fiordilatte è di Agerola e la mozzarella è di bufala campana dop. Ma adoro anche il capocollo di Martina Franca e la ‘nduja artigianale di Spilinga; amo il prosciutto cotto di San Giovanni da suini italiani lavorati senza nessun additivo: anche una pizza stupida come quella con prosciutto cotto può diventare un’esperienza gourmet. Poi, utilizzo il Conciato Romano di Manuel Lombardi e il lardo di Colonnata.

Tanta roba, per un tradizionalista…
Mah, guarda: io punto ad abbinamenti semplici. Il condimento non può prevaricare l’impasto. Sono un pizzaiolo e credo che il pizzaiolo bravo sia quello che fa un impasto digeribile, morbido, soffice e che lo sa cuocere. Fondamentale è la lavorazione e la lunga lievitazione che porta a sviluppare elementi aromatici importanti. I condimenti non devono essere troppi: se voglio dare spazio alla ‘nduja, non metto più tante altre cose. Se mi serve il pomodoro, io cerco il migliore; idem per la mozzarella… Provo e testo una grande quantità di prodotti, non mi fermo mai al primo assaggio.

Parliamo delle pizze, allora…
Devo dire che le pizze che più apprezzano i miei ospiti sono la margherita, la marinara e il calzone ripieno fritto o al forno: i classici. Poi, fuori dalla tradizione, c’è la pizza dell’Alleanza, che ho realizzato con i presidi Slow Food: Conciato Romano, cipolla ramata di Montoro, dolcissima, e lardo di Colonnata. Anche se mi piace molto usare anche il lardo di pata negra. Un’altra pizza particolare, in cui esalto ingredienti di eccellenza, sono quella con ricotta di bufala campana e capocollo di Martina Franca o la Margherita con la ’nduja di Spilinga. Quando trovo il prodotto giusto che mi stimola, a quel punto cerco i giusti contrasti e gli ingredienti che possono accompagnarlo ed esaltarlo senza nasconderlo… Non voglio mai creare troppi miscugli, troppe confusioni.

Parliamo di impasti. C’è il mito del lievito madre, ormai sembra quasi diventato un vero e proprio comandamento foodie… Ma ha tutta questa importanza per davvero?
Io uso spesso, molto spesso, il lievito di birra. In alcune pizze metto anche il lievito madre: ma o l’uno o l’altro, non mi piace per nulla mischiarli. Il mio obiettivo è fare un certo tipo di pizza e per ottenere quel risultato io scelgo quale farina e quale lievito utilizzare.

Ma allora, quali sono i segreti di una buona pizza?
In primis, una lunga maturazione dell’impasto che assicura digeribilità; poi una buona idratazione. Nella pizza napoletana, la farina non deve essere forte: la pizza napoletana non vuole farine troppo proteiche, né l’utilizzo del frigo: basta una lievitazione di una ventina di ore a temperatura ambiente. Non uso manitoba o farine rinforzate: non è importante quante ore di lievitazione si fanno, ma come lievita l’impasto. Non c’è il segreto: ci sono solo 4 elementi, acqua, farina, sale e lievito da gestire bene. Certo, quando si lavora a temperature ambiente, le variabili sono molte. Se lavoro a 4°C, col frigo, si può standardizzare molto di più il prodotto. A temperatura ambiente è fondamentale l’esperienza del pizzaiolo: le temperature sono variabili, serve un’esperienza più tecnica. Spesso questa cosa viene sottovalutata, ma è fondamentale. E la maturazione dell’impasto avviene prima rispetto all’uso di basse temperature.

La pizza napoletana è un’antica tradizione, ormai così radicata nella cultura popolare da essere un simbolo stesso di Napoli. Come si fa a stare al passo con i tempi che cambiano, senza rinnegare il passato?
Da qualche anno la realtà sta cambiando, anche grazie a diversi colleghi che hanno la testa e le esperienze giuste per far crescere la cultura della pizza e di stare al passo con le tendenze mondiali della cucina. Ci sono, qui, interpreti di alto rango. Negli ultimi anni anche qui c’è stata una grossa svolta, sia sui prodotti utilizzati che sull’impasto.

Ultima domanda per Ciro. Birra o vino?
I miei ospiti scelgono quasi sempre birra. Io credo che per la pizza ci vogliano birre non troppo forti e alcoliche. E sono un teorico della spillatura a regola d’arte: una birra spillata o versata male, può rovinare l’intera serata riempiendo lo stomaco di anidride carbonica. Mentre l’esperienza della pizza a Napoli è fatta di leggerezza e digeribilità. E spero che presto, magari in un locale tutto mio, io possa andare più su vini che mi piacciono e le etichette di birra che scelgo io.

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Professione Pizzaiolo
Scuole della Città del gusto Roma
dal 14 ottobre | 9 incontri con Ciro Salvo |
da lunedì a giovedì ore 10-16 | con certificazione HACCP | [email protected]

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Nel numero del Gambero Rosso in edicola lo Speciale Pizza

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a cura di Stefano Polacchi

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