Nessuna tradizione familiare o storia centenaria per questa torrefazione. Un passato nel settore della birra artigianale e un futuro prossimo nell'ambito dei distillati. Ma per il presente Lorenzo Bottoni e il suo team hanno le idee molto chiare in fatto di caffè e un progetto interessante che sarà realizzato a breve.
Come nasce l'attività?
La nostra torrefazione è molto giovane, abbiamo aperto all'inizio del 2015. Ho sempre avuto un forte interesse per il caffè e un giorno, mentre ero a Bruxelles con mio figlio, mi sono imbattuto in una piccola torrefazione di cui mi sono innamorato. Da lì è nata l'idea e ho trovato delle persone che hanno creduto insieme a me nel progetto.
Che tipo di prodotti avete?
Abbiamo sia miscele – che io ritengo essere la scelta migliore per l'espresso se realizzate a dovere – che monorigine. Le miscele 100% Arabica sono due: il Giambellino, costituita dalla varietà etiope Hunda Oli e Finca La Cascada del Nicaragua, e il Vigorelli, composto per il 50% da Fazenda Ouro Verde del Brasile, 30% Ther'I AB del Kenya e 20% Finca La Cascada del Nicaragua. Questi blend sono entrambi dedicati a Milano, città che amo e che ho sempre trovato straordinaria. Abbiamo poi una terza miscela, la Ligera, che prevede un 30% di Robusta, varietà molto sottovalutata.
Qual è la sua visione riguardo l'utilizzo della Robusta?
È da tempo ormai che viene considerata una varietà meno pregiata. La verità è che l'Arabica, decantata da molti esperti del settore, non è così adatta per il gusto italiano. Le tostature di Arabica devono necessariamente rimanere chiare mentre con la Robusta si possono realizzare tostature scure, che rendono il caffè più intenso. Come sempre, vale il discorso della qualità e della provenienza. Noi utilizziamo un'ottima Robusta dell'India, l'Indian Cherry e, con una buona tostatura, si ottengono delle miscele notevoli.
Che tipologia di monorigine avete?
In questi giorni stiamo iniziando gli assaggi della nuova stagione. Comunque, nell'anno passato ho utilizzato il Kenya Ther'I AB e El Salvador, con cui mi sono trovato molto bene. Naturalmente abbiamo anche caffè etiopi e brasiliani.
Avete anche il decaffeinato?
No, non lo lavoriamo e non lo vendiamo, se non sporadicamente su richiesta di qualche cliente. In quei casi ne prendiamo uno già decaffeinizzato con il metodo naturale, quindi lavato ad acqua.
Perché questa scelta?
Perché non è un prodotto che amo e preferisco mantenere un'offerta ristretta ma fatta con criterio. Se si lavora un prodotto senza passione e interesse, il risultato sarà sempre scadente. Il lavoro porta via tanto tempo e non voglio perderne altro solo per motivi commerciali. Mi piace il caffè classico e amo tostarlo, non credo che riuscirei a lavorare con la stessa precisione anche il decaffeinato.
Che macchine utilizzate per tostare?
Ne abbiamo una a legna, con cui tostiamo quasi esclusivamente la Robusta, e una a torcia. La Vittoria a torcia è una macchina del 1957 ed è alimentata da un sistema a gas; con questa possiamo lavorare fino a 5 kg di caffè, mentre con l'altra arriviamo fino a 12 kg. È una produzione piccola e vogliamo che rimanga tale in modo da poter soddisfare le diverse esigenze dei clienti, realizzando su richiesta delle miscele particolari.
Esportate il vostro caffè anche all'estero?
Proprio in questi giorni è in ballo un contratto con un esportatore giapponese. Per il resto, siamo molto interessati al mercato inglese e quello statunitense.
Come stanno lavorando all'estero?
All'estero stanno lavorando benissimo, il problema è qui in Italia!
Qual è il panorama attuale delle torrefazioni italiane?
La situazione non è delle più rosee. Purtroppo il lavoro del barista è cambiato profondamente negli anni; molti hanno aperto locali per fare fortuna e senza delle vere conoscenze. Fino a una ventina di anni fa, il barista era un professionista, ma anche un confessore laico, parte integrante del tessuto sociale di una comunità. Quello che intendo dire con questa espressione è che era un punto di riferimento per il paese. Al barista si raccontavano le proprie pene e quello del caffè diventava un vero e proprio rito sociale. Ora ci sono locali molto mediocri o altri di lusso in cui si paga tanto ma la qualità è comunque nella media. Questo accade perché cerchiamo di imitare (male) il modello estero. All'estero le caffetterie sono più accoglienti, più curate e il prodotto è buono; qui in Italia a volte ci sforziamo di dare un'immagine di ricchezza che poi non corrisponde alla qualità del servizio.
Come si deve comunicare il caffè di qualità?
In Italia, da un punto di vista della comunicazione siamo ancora all'anno zero. Al momento vengono effettuate due tipologie di comunicazione: c'è quella dei grandi marchi industriali, che mentono consapevolmente al consumatore raccontando una qualità che non esiste, e quella dei torrefattori che hanno abbracciato i valori degli Specialty Coffee. Questi ultimi insistono sulla storia nei campi di caffè, sulla lavorazione che avviene nelle piantagioni ma la maggior parte di loro comprano i prodotti da un importatore. La comunicazione che fanno è giusta ma non è una storia raccontata in prima persona. I miei prodotti parlano di me, dei miei principi e di quello in cui credo.
In che modo il caffè racconta la storia di una persona?
L'espressione che io utilizzo sempre per definire i miei caffè è “storie liquide”. Penso che il caffè, come ogni altro prodotto alimentare, sia in grado di comunicare un'emozione. Il caffè deve affascinare, deve intrigare il consumatore. La storia che racconta, poi, varia da persona a persona ma il torrefattore deve essere in grado di trasmettere il messaggio di quell'espresso. Il torrefattore bravo è quello che sa consigliare il cliente, capire i suoi gusti e ciò di cui ha bisogno, proprio come un libraio riesce a consigliare il giusto racconto ai lettori.
Cosa ne pensa della comunicazione effettuata ad Expo2015?
Tasto dolente. Il cluster del caffè è stato un po’ sminuente per l'intero settore ma anche per Illy stesso, che è un colosso del mondo del caffè. Illy sa fare il caffè e sa fare comunicazione; il cluster non ha reso giustizia né al prodotto né all'azienda.
A questo punto non possiamo non chiederle cosa pensa di Illy?
Il discorso è più ampio. Illy sa realizzare un buon espresso e, soprattutto, ha delle conoscenze notevoli in fatto di caffè, il problema risiede nelle scelte di mercato. È un'ottima azienda, ma seleziona tipologie di prodotti per la vendita che non la valorizzano. Ho assaggiato dei caffè straordinari a marchio Illy, ma sempre in occasioni speciali come fiere e incontri, sono prodotti che non si trovano in vendita.
Vendete anche capsule e cialde, oltre ai grani?
Assolutamente no. Vendo esclusivamente caffè in grani e una piccola parte macinato. Faccio un'unica eccezione per il decaffeinato e il caffè d'orzo che, come ho spiegato prima, vendo solo su richiesta di alcuni clienti. Per questi utilizzo le cialde, ma sono prodotti che raramente si trovano da me e di cui non amo occuparmi.
Perché la scelta di non adeguarsi alla richiesta sempre più forte di cialde e capsule?
Perché significherebbe aver perso in partenza. Molti dei miei colleghi si sono adattati alla realtà contemporanea e non li critico per questo. Però per me il caffè di qualità si acquista in grani o al massimo macinato fresco e non voglio andare contro i miei valori.
Progetti futuri?
In generale, ci occuperemo presto di distillati. Per quanto riguarda il caffè, amplieremo l'offerta con una miscela cold brew – caffè estratto a freddo – 100% Arabica. È un prodotto primaverile, fresco, quasi estivo, per cui ancora non siamo pronti a lanciarlo. Per il resto, c'è un'altra grande novità che annunceremo a breve, di cui ancora non ho parlato.
Qualche anticipazione?
Si tratta di un caffè barricato da 6 mesi. A breve, la notizia sul mio blog con i dettagli.
Micro Torrefazione | Gallarate (VA) | via Riva, 10 | tel. 0331 02 01 93 | microtorrefazione.com/
Per leggere il blog, clicca qui microtorrefazione.com/blog/
a cura di Michela Becchi
Nel prossimo articolo, intervista a Pierre Cafè di Gravina in Puglia
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