Digiunare con le arancine. Storia del sacrificio penitenziale secondo i palermitani

14 Dic 2023, 18:02 | a cura di
A Palermo il 13 dicembre non si mangiano pasta e pane, ma arancine e cuccia per celebrare Santa Lucia

Il 13 dicembre si festeggia Santa Lucia, celebrata in numerose città d'Italia e d’Europa. In diverse città del nord Italia, anticipa il Natale portando dolci e doni ai bambini sul suo asinello. È la patrona di Siracusa, dove i festeggiamenti in suo onore proseguono diversi giorni.

Il digiuno di cibi a base di farina e la cuccìa

A Palermo, in occasione di questa ricorrenza, la tradizione popolare impone che per devozione non vengano consumati né pane né pasta o farinacei in generale, per tutta la giornata, addirittura i panifici in passato avevano l’obbligo di restare chiusi. Secondo la tradizione, infatti proprio il 13 dicembre del 1646 dopo una lunga carestia al porto arrivò una nave carica di grano, che i palermitani in prede alla fame per poterlo consumare immediatamente non lo macinarono, ma lo bollirono, lo condirono con un po’ d’olio e lo mangiarono. Fu così che è nata la cuccìa, il cui nome deriva da “coccio” cioè chicco.

La parola agli esperti

Lo storico Gaetano Basile nel suo libro ‘Il cibo è festa" scrive: “Per Santa Lucia noi siciliani facciamo il grande sacrificio della rinuncia penitenziale. Il precetto cristiano prescrive la rinuncia alla carne. Ma noi dovevamo escogitare qualcos’altro, visto che della carne ignoravamo perfino il concetto, giacché non esiste neppure la parola nel nostro dialetto, dove con carni si intendono quelle umane. Insegna però la Chiesa che le carni non sono proibite in quante cattive, ma perché il loro consumo genera lussuria. I nostri nonni sempre poveracci avrebbero ceduto volentieri alle gioie della carne, alimento, qualora avessero avuto i mezzi per acquistarla. Di conseguenza si lasciarono indurre in tentazione dall'altra carne e tutti quanti furono di carne debole, visto il bel numero di figli che riuscirono a mettere al mondo. L'unica cosa che tentammo di non farci mancare fu quel pane quotidiano e non sempre quotidiano fu… Tendenzialmente dunque solo per quel giorno rinunciamo a pane e pasta".

Riprendendo le parole del famoso studioso di tradizioni popolari Giuseppe Pitrè: “Santa Lucia pani vurria, pani nu nn’hauiu, accussì mi staiu (Santa Lucia vorrei del pane, ma pane non ho, digiuno mi sto)", a voler indicare la scelta di questa privazione da parte dei palermitani, continua: "In principio fu la cuccìa di grano o farro bollito… si condiva all'epoca con un filo d'olio d'oliva e solo più tardi finì con crema di ricotta o latte, recentemente ci aggiungiamo pure i canditi che non c’entrano nulla. Poi ci furono le panelle di ceci… e poi ci la faccenda dell'arancina o arancinu…”

L'arancina palermitana

Ph Claudia Magistro

L’alternativa a pane e paste in questo giorno di privazione quindi oltre alla cuccìa sono verdure, legumi, panelle, una sorta di frittelle fatte con farina di ceci, il classico gateaux di patate e riso, da cui, in Sicilia, secondo la tradizione, durante la dominazione araba, dal IX al XI secolo, dall’usanza degli Arabi che erano soliti appallottolare i chicchi di riso allo zafferano e poi condirli con la carne di agnello, fu inventato l’arancino, che a Palermo e zone limitrofe è di forma sferica ed è chiamata arancina perché è femmina, mentre nella Sicilia orientale è di forma conica ed è denominato al maschile, arancino. Questa denominazione è stata da sempre motivo di disputa tra le due zone…

Ph Claudia Magistro

Le arancine tipiche palermitane erano quelle alla carne, chiamate dai palermitani ‘accarne’ a base di carne trita, e quelle al burro, dette ‘abburro’, a base di mozzarella, besciamella e dadini di prosciutto. Negli anni naturalmente nei banconi non si trova solo la formula classica, infatti sono state realizzate numerose versioni a base di tanti altri ingredienti, come spinaci, melanzane, pistacchio e altri ancora. In città la ricorrenza è molto sentita, per rendere onore alla santa protettrice friggitorie, bar, gastronomie sono prese d’assalto, ma c’è anche chi preferisce prepararle a casa.

Anche la cuccìa nel corso degli anni è stata modificata, da cibo povero condito con olio e sale che servì per sfamare i palermitani affamati oggi la ricetta è del tutto rivisitata e arricchita e resa molto più gustosa, e oltre alla versione salata c’è anche quella dolce, condita con ricotta o crema di latte bianca, a cui si aggiungono si aggiungono zuccata, cannella, pezzetti di cioccolato e scorza di arancia grattugiata o con il cioccolato.
Una storia simile datata 1763 è ambientata nel porto di Siracusa che attribuisce a questa città la paternità della ricetta della cuccia.

Il fine spirituale della festa, ossia il digiuno e l’astensione dal consumo di pane e pasta per ringraziare Santa lucia per aver compiuto il miracolo della fine della carestia, si è persa, come spesso accade sacro e profano si mescolano insieme per dare vita a tradizioni e usanze gastronomiche popolari che scandiscono i nostri giorni.

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