Siamo fritti, diciamocelo, e anche un po' bolliti. Pensiamo di essere noi i protagonisti del gigantesco banchetto gastronomico che ogni giorno viene imbandito nelle tavole italiane, ma spesso siamo la pietanza principale. Siamo le uova strapazzate, la fettina impanata sbattuta in padella, stracotta, ustionata, siamo il grasso che cola. Ci facciamo prendere in giro da ristoratori e comunicatori perché non sappiamo nulla. Assumiamoci le nostre responsabilità, ammettiamolo: siamo ignoranti, analfabeti. Capre, siamo capre. Non siamo in grado di riconoscere una pasta precotta da una espressa, il profumo di un tartufo bianco da un olio chimico tartufato, compriamo friggitrici ad aria che sono fornetti (cosa vuoi friggere senza grassi?) e pure libroni di ricette sulla stessa aria fritta. Saliamo le nostre patate con la ruggine venduta come sale rosa dell'Himalaya. Ci facciamo gabbare dalle finte nonne sfogline in vetrina che torturano la stessa pasta per ore.
Abbindolati dalla tradizione
Ci facciamo abbindolare da questa ridicola storia della tradizione, che è una truffa in bianco e nero, una scusa per rifilarci roba vecchia e fatta male. Come se un medico usasse uno stetoscopio degli anni '20, un bisturi arrugginito del nonno. Ci spaventiamo della carne coltivata frankenstein e poi ingurgitiamo allegramente gigantesche bistecche di animali malati, che grondano antibiotici. Ci lamentiamo per dieci centesimi in più del caffè e poi beviamo ciofeche bruciacchiate low cost. Non sappiamo distinguere una bistecca di zebra da una di manzo, e ci servono le lene per accorgercene. Non sappiamo riconoscere un san Crispino in brik o un Monfortino invecchiato ma poi imbruttiamo al cameriere se non mette nel decanter un pinot nero di due anni fa (ma cosa vuoi decantare, disgraziato?).
L'ode dell'analfabetismo
Conoscere per delibare, direbbe un Einaudi del cibo. Ma quest'analfabetismo che ci rovina la cena è vezzeggiato, coccolato, alimentato da una classe dirigente che sa di poterci comprare con qualche sparata populista, nazionalsovranista, fake tradizionalista. Una classe politica più ignorante e becera di noi, che si riempie la bocca di «eccellenza», «qualità», «sicurezza alimentare».
Mangiamo quel che siamo
Siamo quel che mangiamo, diceva quel tale, ma forse è vero il contrario: mangiamo quel che siamo. Sbobbe ben impiattate, bufale patriottiche, supercazzole stellate. Spendiamo troppo poco, in osterie da Nas, o troppo in lounge da deficienti, dove «il travertino duetta con la boiserie in ebano» e dove c'è «una nuova concezione dell'ospitality». Ce le meritiamo tutte le bugie e le stupidaggini che ci propinano, perché non ci siamo attrezzati a difenderci, a smascherarle. Perché siamo vittime di quel misto di superbia e di ignoranza che ci rende dei perfetti polli da spennare.