La guida Michelin non ama il rischio. Psicopatologia del conservatorismo "rosso"

16 Nov 2023, 18:10 | a cura di
L’edizione appena rivelata conferma l’approccio della guida francese: premiati i locali affidabili, gli chef già stellati, la comfort zone. Per l’avanguardia meglio guardare alla 50 Best

La Guida Michelin non ama le avventure. Non ama il rischio, il disagio, la scomodità, i pensieri controversi. No. Proprio no. Ama le autostrade in cui puoi servirti del «cruise control», non i sentieri di campagna accidentati. Sapevatelo.

È la linea che emerge negli ultimi anni e che ha trovato conferma nella presentazione della sessantanovesima edizione al Tetatro Grande di Brescia, il 14 novembre (ecco tutte le stelle 2024). I curatori della Michelin sdegnano gli adulteri, le scappatelle, diffidano dei flirt. La passione è sopravvalutata. Esigono corteggiamenti lunghi, fiori, affidabilità, lettere d’amore sì ma scritte su fogli excel, rapporti a lungo termine. Un matrimonio è per sempre. O quasi. L’avanguardia passa per altre strade, non per le pagine compassate della "rossa", come peraltro ha confermato sul palco bresciano lo stesso Marco Do, direttore comunicazione e relazioni esterne di Michelin Italia e confindustriale convinto, con tutto quello che ciò si porta dietro. «Noi siamo una guida per i viaggiatori, non facciamo critica gastronomica».

Guida Michelin 2024, la critica esiste?

Ohibò, nell’epoca in cui tutti, solo perché vanno alla trattoria dietro l’angolo, si sentono Veronelli, la più grande istituzione gastronomica mondiale ammette che no, non c’è un atteggiamento critico nei confronti dei ristoranti visitati, qui si fa solo servizio. E noi che stiamo ancora qui a sacramentare sulle loro scelte, a computare le stelle date o non date, tolte o non tolte. Ci troviamo davanti a un grande abbaglio collettivo.

I criteri di giudizio sono questi: gli avanguardisti no pasaràn, anzi saranno guardati di sottecchi, con accigliata diffidenza. Del resto basta rileggere i criteri attraverso i quali sono valutati i locali visitati dagli ispettori (che, ricordiamo, caso unico almeno in Italia sono oscuri dipendenti a libro paga, quindi soggetti all’aziendalismo più osservante): qualità del prodotto, padronanza delle tecniche, rapporto qualità/prezzo, costanza nel tempo, personalità dello chef. Il talento? Sopravvalutato. La provocazione? Uhm, dopotutto meglio di no. Il pensiero laterale? E’ laterale, appunto, e quindi si faccia da parte.

C’eravamo tanto amati

Basta osservare le scelte fatte nell’edizione appena rilasciata e rese note martedì nella "splendida location" bresciana: Norbert Niederkofler ha perso le tre stelle del St Hubertus a San Cassiano, che ha dato il foglio di via al barbuto cuoco di Luttach, ha prontamente riaperto a inizio estate l’Atelier Moessmer e tàc, tre stelle di colpo, filo riannodato con un colpo di uncinetto malgrado il cambio di insegna, di località, di proprietà. Usato sicuro, ancorché di altissima qualità.

Andrea Aprea ci ha messo un anno in più a ritrovare il suo status bistellato che gli apparteneva dai tempi del VUN del Park Hyatt a Milano. Ha riaperto alla fondazione Rovati, in corso Venezia, sempre nella città meneghina, nel luglio 2022, e tutti dicevano, l’anno scorso, “ma dài, troppo poco tempo per una stella”. E invece subito una, e l’anno dopo due. L’aria che si respirava a Brescia al momento dell’annuncio era come quando senti che la Juventus ha battuto la Pro Vercelli cinque a zero: sorpresa zero. E Aurora Mazzucchelli? Qualche anno fa ha abbandonato il fine dining di Marconi a Sasso Marconi, dove riposava nella comfort zone della stella, per trasformare tutto, col fratello Massimo, in Casa Mazzucchelli. Stella persa, naturalmente. Inizialmente il suo lavoro sulle pizze, pur interessante, non ha stuzzicato i gommisti francesi, che la pizza non la mangiano, si sa, ma appena è tornata sui suoi passi riproponendo una cucina «da piatto», ha riacquistato la stella, come una moglie fedifraga che torna all’ovile.

Scomodità? No, grazie

Dall’altro lato ci sono personalità tormentate, inseguite dai fantasmi da loro stessi ipernutriti, scomode, conflittuali, concettuali, talora obiettivamente inintelligibili. Adorate da un pubblico di groupie punk, onestamente stimolantissime, eppure destinate a una perenne damnatio memoriae michelinesca. Ci viene in mente Eugenio Boer, che la stella l’aveva presa da Essenza nel 2017 ma che poi lascio subito quel locale e alla fine non è stato più sostenuto nel suo percorso di crescita dalla Michelin perché evidentemente classificato come "inaffidabile".

Ci viene in mente Riccardo Camanini, troppo spirituale (è laureato in filosofia, del resto) per entusiasmare i travet della Michelin, che infatti gli attribuiscono un solo macaron mentre la 50 Best, il circo acquatico della cucina innovativa, piazza addirittura il suo Lido 84 di Gardone Riviera al settimo posto al mondo, e dovevate vedere come i foodies avanguardisti di tutto il pianeta se lo mangiavano con gli occhi a giugno a Valencia, in occasione del disvelamento.

Anti-Michelin

Ecco, proprio la 50 Best rappresenta ormai l’anti-Michelin, con quel gusto dell’estroso, dell’esotico, del mondialista, del capello colorato, della mise trasgressiva che nella borghesissima, quasi gozzaniana, scena micheliniana è caldamente sconsigliata. Abbiamo visto a Brescia un solo outfit non in linea, il capello tinto di Mario Capitaneo di Verso, il fatto che il suo locale in piazza del Duomo abbia preso in un colpo due stelle malgrado uno dei due chef assomigli a un writer è l’unica scelta in controtendenza. Magari la telefonata l’avranno fatta a Remo, l’altro fratello, certo più rassicurante.

Non date scandalo

Insomma, cari chef. Se volete la stella, se proprio decidete che per voi è fondamentale, abbassate la cresta. Rimettete nella credenza lo Sturm e il Drang, pensate al sapore, al benessere del commensale, comprate molte consonanti e molte vocali e rendetevi comprensibili. Non cercate lo scandalo, non fate troppo notizia, restate sempre gli stessi, se possibile. Del resto si sa: almeno in Europa vince il conservatorismo, i progressisti sono fuori moda. Anche in cucina.

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