Abbinamenti. Risotto al radicchio contro tutti

14 Gen 2015, 10:34 | a cura di
Grande classico della cucina veneta, una forte aromaticità e un carattere amaro, con una vena dolce e una sfumatura tostata che con il calice fa saltare tutti gli schemi dell’abbinamento

Chi è amico di tutti non è amico di nessuno. È così nella vita, ma anche in cucina. Mandare tutto all’aria e creare nuove assonanze enogastronomiche è quello che ci piace di più e quello che ancora una volta ci siamo ritrovati a fare, divertendoci e sorprendendoci. Una tavolata spesso in disaccordo, con tanti punti di vista, desideri di piaceri diversi: chi lo vuole morbido e chi acido, chi lo preferisce bianco e chi rosso. Tutti a contendersi il privilegio di accompagnare il risotto al radicchio, un piatto esigente e complesso, con un’infinità di sfumature.

IL PIATTO
Un classico del freddo, realizzato con ingredienti assolutamente di altissimo livello: riso Acquerello, Carnaroli prodotto da Piero e Rinaldo Rondolino, e radicchio di Verona Igp di Geofur nelle tipologie tardivo e precoce. Sì, parliamo di risotto al radicchio in cui abbiamo aggiunto solo un filo di olio per tostare i chicchi e appassire lo scalogno, un filo di burro e una manciata di Parmigiano Reggiano al momento di mantecare e un mix di prosciutto crudo e speck che desse un minimo di sapidità e una leggera affumicatura per ravvivare i profumi del riso e le note vegetali e amaricanti del radicchio. Abbiamo unito insieme sia il radicchio di Verona Igp tardivo che il tardivo: questo per avere un equilibrio maggiore degli aromi vegetali e delle sensazioni amare. Così come siamo partiti dall’olio extravergine di oliva per la tostatura (potevamo anche non usare nulla, ma abbiamo voluto seguire la tradizione classica) e un po’ di burro solo a crudo, nella mantecatura finale.

LE BOLLICINE
La prima scrematura è per le bollicine, che il più delle volte amplificano la nota metallica: il Cartizze Vigna La Rivetta Villa Sandi ha la giusta rotondità zuccherina ma non regge la struttura del piatto, l'Alta Langa Brut Rosè 2010 Enrico Serafino fa uscire, sul finale, l’amido del riso mentre con il Franciacorta Collezione Grandi Cru 2008 Cavalleri il vino si perde nel piatto. Un’unione aggressiva a causa dell’acidità che sgrassa ma che non riesce a rimanere equilibrata, con una nota amara che resta gradevole solo inizialmente. Arriva il Valle d’Aosta Petite Arvine 2012 Elio Ottin e il tavolo comincia a scaldarsi. Qualcuno trova note comuni tra piatto e calice, conquistato dalla vena amara ed elegante, e una pennellata tannica che rende lungo l’abbinamento, altri sottolineano la struttura monocorde dell’insieme. Indiscutibile però la freschezza generale con una punta di amaro sul finale che movimenta la situazione.

I BIANCHI
Grande morbidezza con il Pecorino 2013 di Tenuta I Fauri  che entra in modo piacevole ma poi fatica a tenere il passo dello speck mentre risulta troppo legnoso il blend di Collio Chardonnay Gmajne 2011 di Primosic. Per stare insieme bisogna prendersi delle responsabilità, andare nel profondo non è cosa da tutti e a volte l’apparenza può ingannare. Ecco un matrimonio politico, quello con il Soave Classico Le Bine de Costiola 2011 di Tamellini, dove l’arte della diplomazia fa il suo mestiere anche se alla fine l’abbinamento non infiamma: la complessità gustativa che appare comunque evidente si perde nel palato. Ma forse ci voleva l’esperienza di questi calici per poter capire ed apprezzare l’Ograde 2012 di Skerk, e saltano tutti gli schemi. Meraviglioso blend di vitovska, malvasia, sauvignon e pinot grigio, una certezza del Carso Triestino. Note amare che si avviluppano con una dolcezza nuova e avvolgente, con sorsi di frutta potenziati dallo scheletro salino e sorretti da un’acidità che porta il sorso lontano: c’è tutto in questa unione, carnale e romantica, che unisce passionalità e dolcezza, in grado di rendere armoniose anche le sfumature più dure del piatto. L’amore maturo, l’amore della vita che ti fa battere il cuore, l’anima e il corpo anche con le rughe che segnano il volto.

I ROSSI
La Schiava A.A. Lago di Caldaro Cl. Sup. Leuchtenburg 2012 di Erste+Neue paga lo scotto di venire ‘dopo’. L’entrata in bocca è fantastica ma a metà palato escono note mature che sgranano l’unione; nel finale non riesce a contenere la nota leggermente amara del radicchio. Curiose alchimie si consumano con il Vino di Anna, Jeudi 15 Vino rosso 2011 è un Nerello Mascalese che riesce a creare una bellissima e inaspettata dinamica: di certo non un abbinamento classico, che stupisce per il suo apporto sulfureo e la noce moscata con cui sembra spolverare il palato. Le note affumicate fanno da collanti per l’abbinamento con il Montello e Colli Asolani Venegazzù Superiore Capo di Stato 2009 Conte Loredan Gasparini, ma è un fuoco di paglia. Abbiamo provato, ma fuori dalla degustazione collettiva, un altro rosso con il risotto: In Primis 2010 della cantina toscana Piandaccoli (sangiovese unito agli autoctoni pugnitello e foglia tonda), ed è stata una splendida prova, probabilmente per gli stessi motivi – ma in rosso – che han decretato il successo di Ograde.

LA BIRRA
Chiudiamo in bellezza con una scelta brassicola di tutto rispetto, a cui spetta il premio ‘outsider’: una India Pale Ale artigianale non filtrata di Theresianer, il cui carattere agrumato fa la differenza, creando un ponte tra i due caratteri amari, da una parte il luppolo e l’altro il radicchio. Il risultato è sì uniforme ma estremamente morbido e avvolgente, elegante e gustoso. Un viaggio affascinante, stimolante, ma una cosa è certa: con il risotto al radicchio ci vuole carattere.

a cura di Giulia Sampognaro

Articolo uscito sul numero di Gennaio 2015 del Gambero Rosso. Per abbonarti clicca qui

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