"Dobbiamo allargare la Doc Etna verso l’alto, a quota mille". La proposta di Benjamin Franchetti, figlio del fondatore di Contrade

23 Mag 2024, 17:28 | a cura di
Intervista all'erede del fondatore di Contrade dell'Etna: "Lasciare il marchio al Consorzio? Mio padre era un anticonformista. Adesso che la manifestazione non è più una preview, si vedrà". Il futuro della denominazione, invece, passa dai suoi cru e da una maggiore pulizia degli stili

Andrea Franchetti è stato uno dei personaggi più anticonformisti del vino italiano. Già pioniere in Val d’Orcia con Tenuta di Trinoro, dove ha piantato con successo varietà bordolesi a dispetto di ogni consiglio, ha svolto un ruolo centrale nel rinascimento dell’Etna vitivinicola nei primi due decenni del Duemila con l’azienda Passopisciaro. Grazie alla sua spinta, i vini del vulcano sono diventanti un fenomeno mondiale. Ed è da un suo sogno che 15 anni fa nacque la manifestazione Contrade dell’Etna, poi affidata all’agenzia privata Crew. Il testimone dell’azienda, invece, alla sua morte avvenuta nel 2021, è passato al figlio Benjamin, 37 anni, PhD in ingegneria e fondatore di Agricola Moderna, leader mondiale dell’ingegneria agricola, coadiuvato dall’enologo appena trentenne Lorenzo Fornaini.

Andrea Franchetti è stato un pioniere che ha dato un contributo fondamentale al rinascimento dei primi anni Duemila. Qual è adesso lo stato dell’Etna?

Siamo in un momento di stabilizzazione. Oggi da consumatore trovi l’Etna ovunque: è difficile che non ci sia nelle grandi carte dei vini. Per me è diventato il quarto o quinto tra i cinque territori vitivinicoli top italiani. Il territorio sta entrando nella fase dell’ordine e della pulizia. La prima edizione di Contrade dell’Etna è stata fatta proprio qui, nella nostra cantina a Passopisciaro. Eravamo all’inizio ed era l’occasione per mettere insieme per la prima volta degli amici che facevano il vino. Era anche il momento in cui si presentavano le nuove annate in anteprima: un’occasione di confronto tra gli stessi produttori. All’inizio però si parlava di contrade in modo ancora generico. Con il tempo le contrade sono diventate dei veri e propri cru: adesso chi le cita si trova veramente lì.

Ce n’è voluto di tempo…

Sì, è stato un processo lento. All’inizio c’era molta confusione. Basti pensare che è dovuta venire una giornalista da Taiwan, Xiaowen Huang, per tracciare la prima mappa dei diversi versanti e delle contrade dell’Etna, una mappa che risale appena al 2020. Ecco perché parlo di pulizia. Siamo passati pian piano dal desiderio del produttore di esibire i cru a un maggiore ordine. All’inizio c’era più disordine, le contrade erano buttate un po’ lì.

Ora c’è meno confusione nelle mappe ma resta una grande varietà di stili…

Bisogna trovare l’espressione dell’Etna. C’è una grande varietà di Nerelli e troppa variazione dal top a quelli di bassa qualità. L’Etna si presta anche a fare vini naturali, termine che considero problematico. Questo è ancora un po’ un wild west e puoi sperimentare: è una cosa bella. L’importante è fare le cose bene. Ci sono vini naturali buonissimi. Il problema è quando non sono precisi: il difetto non può essere celebrato a prescindere dall’espressione del territorio etneo.

Qual è la ricetta per fare il vino sull'Etna?

Mio padre diceva: bisogna provare a portare l’uva "verso il blu". Lo chiamava così. Un po’ come quando il sole al tramonto arriva al suo massimo di espressione e c’è quella fase perfetta in cui esiste la giusta luce. Non bisogna cercare scorciatoie con vendemmie anticipate, il chicco d’uva deve raggiungere la maturazione ottimale, poi il nostro lavoro è renderlo bevibile. Alcuni tagliano la testa al toro e vendemmiano prima, ma il rischio è che poi i vini siano tutti troppo simili. L’Etna è affascinante perché offre variazioni dai 500 metri ai mille metri: nella nostra azienda vai dalla contrada Chiappemacine dove stai in maglietta su fino a Rampante dove nel frattempo nevica. Così c’è una diversità di clima e di terreno molto importante: il Nerello così si trasforma molto.

Andrea-Franchetti

Vista la diversità di terroir del vulcano, dopo venti anni di esperienza è arrivato il momento di allargare la doc?

Assolutamente sì. Avrebbe senso allargare i confini della denominazione: le zone più in alto, intorno a quota mille, meritano. Anche il cambio climatico può diventare in futuro uno stimolo in questa direzione. Sciaranuova e Rampante, per esempio, sono tra le mie contrade preferite ma non rientrano nella denominazione.

Parliamo di un’altra idea di Franchetti: il festival Contrade dell’Etna. Secondo lei avrebbe dovuto cederlo al Consorzio della Doc piuttosto che a un’agenzia privata? E quale sarà il futuro?

Contrade dell’Etna nasce come una iniziativa di mio padre. Per lui era anche divertimento. Di fronte a tutto ciò che era regola, lui faceva l’opposto. Era sempre contrario all’omologazione. Così si spiega la sua scelta. Quello che deve succedere adesso non lo so. Dovrebbero organizzarsi tra loro. Contrade era nata proprio come preview: oggi non è più così. Abbiamo solo l’imbottigliato per venderlo ai ristoratori. D’altra parte, finora il Consorzio ha lavorato bene: adesso la zona dell’Etna al Vinitaly esiste ed è molto ben fatta. Come ho detto: l’Etna è solido, adesso siamo alla ricerca della ‘pulizia’.

A livello aziendale, invece, il passaggio di consegne è ormai completo?

Ho preso totalmente in mano l’azienda, dove sono attivo già dal 2016. A Tenuta di Trinoro sono più operativo, mentre a Passopisciaro conto sull’apporto di Vincenzo Lo Mauro, il direttore generale che è qui dal primo giorno, da più di vent’anni, e che aveva un rapporto fortissimo con mio padre con il quale ha condiviso tutto: nessuno meglio di lui può continuare la visione di Andrea Franchetti. Cresciamo quindi su fondamenta solide e crediamo nella continuità con la stessa squadra che ha seguito mio padre nel suo percorso: io farò da regista. Il suo obiettivo era mettere davanti il nome delle aziende, non il suo. La sua presenza era molto forte ma sapeva ascoltare e dava molto spazio ai giovani. Adesso stiamo investendo due milioni di euro per il completamento della cantina in contrada Guardiola e per aggiornare le macchine.

Trinoro e Passopisciaro - da sx Calogero Portannese, Benjamin Franchetti, Lorenzo Fornaini, Vincenzo Lo Mauro

E sul piano enologico?

Passobianco, il nostro Chardonnay sarà sempre più espressione del territorio, specie con l’ultima annata. All’inizio mio padre lo aveva pensato come uno Chardonnay fatto sull’Etna. Ora il mio obiettivo è quello di estrarre il più possibile ciò che si può dal territorio, farlo diventare un vino dell’Etna. L’annata 2022 di Passobianco è molto vibrante, vulcanica, scorrevole: andremo sempre più in quella direzione. Sarà espressione del territorio più di quanto avesse in mente mio padre.

Ultimi numeri
iscriviti alla newsletter
linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram