Il Sassicaia rende più di Hermés. Ecco perché l’alta moda vuole bersi il vino

30 Lug 2023, 13:58 | a cura di
Le parole di Renzo Rosso sull’esigenza per le cantine di seguire l’esempio delle case di moda hanno acceso il dibattito. Eppure, la marginalità delle bottiglie di alta gamma è già superiore a quella delle grandi griffe del lusso

Vinitaly come una sfilata? Il vino che tende al lusso? Argomenti difficili da accettare per i “puristi” in materia enoica. Infatti, come è emerso nella discussione avviata sul nostro forum, in molti non hanno accolto particolarmente bene né l'idea del ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida, il quale ha proposto di portare l'alta moda al Vinitaly, né le convinzioni peraltro già note di una new entry di questo mondo come Renzo Rosso, fondatore con la moglie Arianna Alessi della holding Brave Wine, che ha commentato durante l'Assemblea annuale di Unione Italiana Vini: “Il vino deve tendere al mondo del lusso perché è lì che si fa più margine”. Quel che forse sfugge, a Rosso come ai commentatori che lo hanno attaccato, è un fatto accertato dai dati di bilancio: una parte del vino è già super-lusso e con marginalità che fanno impallidire quelle di aziende che fanno borse in pelle pregiata, gioielli e orologi.

sassicaia

Il caso Sassicaia

Un esempio? Riguarda l'Italia e si chiama Sassicaia. Tenuta San Guido, società che produce il celeberrimo Supertuscan, ha chiuso il bilancio 2021 (ultimo esercizio disponibile) con un rapporto ebitda/fatturato di oltre il 62 percento. Per capirci, quello di Hermès, il produttore di borse come la Kelly che ha tempi di attesa di due-tre anni dal momento dell'ordine alla consegna (per non parlare dei prezzi...), è del 45,72% e rappresenta il valore più alto in assoluto.

Sempre nel 2021, secondo l'analisi annuale della giornalista di economia Anna Di Martino, la società dei marchesi Incisa della Rocchetta svettava davanti ad Antinori, che comunque ha un rapporto ebitda/fatturato di oltre il 45% e quindi anch'esso superiore a quello di Hermès. Al terzo posto troviamo Planeta, con quasi il 38%, e a seguire c'è Frescobaldi con oltre il 36% ma che, se scorporasse la divisione fine wine (Ornellaia e Masseto), potrebbe vantare marginalità simili a quelle di San Guido. In Prada, per citare un caso italiano, la quota 2022 di ebitda/fatturato gira attorno al 20% e in Brunello Cucinelli è lievemente inferiore.

Le griffe della moda si lanciano nel vino

Anche se i valori in campo sono decisamente diversi, perché il lusso muove fatturati ben più alti e le marginalità misurate in ebitda sono una quota del giro d'affari, non si può dire che il comparto dei cosiddetti fine wine non faccia già parte del mondo del lusso. Se così non fosse, Lvmh, leader mondiale dei luxury goods con quasi 80 miliardi di ricavi nel 2022, non avrebbe costituito una sua divisione wine&spirits di cui fanno parte alcuni dei più prestigiosi Champagne (Dom Pérignon, Ruinart, Moët & Chandon, Veuve Clicquot...), distillati come Hennessy, vini fermi.

E non è certo l'unico caso di investimento nel vino da parte delle holding del lusso. Restando in Francia, la famiglia Pinault (che controlla Kering, gruppo a cui fanno capo tra gli altri Gucci, Saint Laurent e Balenciaga) ha stretto lo scorso anno un'alleanza con Henriot che ha dato vita a un vero e proprio gigante dei vini di fascia top. I fratelli Alain e Gérard Wertheimer, proprietari di Chanel, hanno proprietà sia a Bordeaux sia in Provenza.  In Italia, oltre a Rosso e allo stesso Cucinelli hanno investito nel vino diversi imprenditori della moda, da Veronesi (Calzedonia) a Ferragamo, da Cavalli a Moretti Cuseri. E la lista, andando in ambiti specifici come quelli della calzatura o della concia delle pelli, è ancora più nutrita.

Per le aziende vitivinicole valutazioni aziendali stratosferiche

Aggiungiamo un particolare importante, che chi segue i processi di m&a ben conosce: la valutazione dell'azienda, quando si procede verso un'acquisizione, viene fatta sulla base dell'ebitda e non del fatturato. In genere – ma dipende dal settore di appartenenza, e poi ci sono le questioni legate alla valutazione del marchio aziendale e della proprietà fondiaria (che nel caso del vino è fondamentale) – si parla di 10k ovvero dieci volte l'ebitda.

Ciò significa che, in un ipotetico calcolo del valore di Tenuta San Guido, si parte da 24,6 milioni (ebitda 2021) moltiplicato per dieci, ovvero 246 milioni. Ai quali andrebbero poi aggiunti il valore del marchio e quello dei terreni, degli immobili e delle altre proprietà. Ovviamente si tratta di un esercizio puramente matematico, perché non risulta che la tenuta sia in vendita. 

 L'articolo completo è stato pubblicato sul Settimanale Tre Bicchieri del 27 luglio 2023

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