Per chi come noi si occupa di vino, affrontare la questione dei naturali implica avere una piena consapevolezza del terreno impervio e sdrucciolevole sul quale ci si avventura. Se ne parla tanto e se ne scrive ancora di più, ma è come la diffusione di una cultura orale che, pur ricca di saggezza, fa fatica a mettere giù dati e fonti.
Ben venga dunque un’operazione editoriale come quella di Servabo, Il vino “naturale”. I numeri, gli intenti e altri racconti edito da Versanti. Un censimento – non definitivo, ovvio – del mondo dei cosiddetti vini naturali: chi sono, quanti sono, dove operano i produttori che hanno scelto questa via, qual è il loro rapporto con le certificazioni? E la loro presenza alle fiere?
La prima parte è scritta dal gruppo Servabo, della Cooperativa Editoriale Versanti (Simona Centi, Gianpaolo Di Gangi, Alessandro Franceschini e Maurizio Paolillo). La seconda è curata da contributi di giornalisti/degustatori che, pur con un approccio laico, spiegano il perché del loro interesse a questo mondo. Non mancano le voci dirette di alcuni produttori che in totale sono 771, per quasi 11 mila ettari e una produzione di circa 320 mila ettolitri, ovvero lo 0.74 % della produzione italiana. La grande famiglia dei produttori naturali vede al suo interno quelli certificati biologici e quelli che hanno scelto la via dell’agricoltura biodinamica. Molto interessanti le pagine dedicate alle tabelle che offrono un quadro geografico del fenomeno. È il Centro a essere, sia per superficie che per produzione, la macroarea più naturale, mentre il Nord Italia è la zona dove le pratiche alternative sono più radicate e dove una certa artigianalità della lavorazione non sembra aver bisogno di certificazione.
Nella parte centrale del libro una quindicina di pagine sono dedicate alle normative europee e ai suoi regolamenti, fino al più recente, datato 2012. Per la definizione di naturale poi i valorosi autori di Versanti si sono cimentati nello screening dei manifesti delle associazioni e dei loro proclami. Qui la navigazione a vista – come loro stessi riconoscono – si fa più evidente: assenza di riferimenti a protocolli di produzione, regole e standard qualitativi che vincolino gli aderenti. Ciò denoterebbe anche un rapporto con il consumatore basato solo sulla fiducia. Tutto frutto del fatto che, come dicono gli autori: “si è sottovalutato il nodo cruciale della questione: il termine “naturale” è di per sé indeterminato”. Piuttosto esilarante – se non fosse argomento serio – è l’analisi di molti passaggi presenti nei manifesti delle associazioni cosiddette naturali: leggendoli tutti assieme, l’impressione di una confusione di idee e argomentazioni è palese.
La terza e ultima parte è dedicata a chi il vino naturale lo fa e a chi lo degusta, per scelta e/o lavoro. Scrivono giornalisti, ristoratori, produttori che, al di là delle differenze personali e professionali, sembrano chiedere pazienza verso questi prodotti, chiedono un impegno culturale, un approccio pensato. Schierarsi non significa essere o diventare dogmatici. Questo non è un libro facile, ma è anche comprensibile che non lo sia. Ha in sé il germe della sperimentazione, proprio come succede al mondo dei vini naturali che hanno tanto futuro davanti a sé, ma ancora poco passato alle spalle per tirare una linea. È un libro zero, l’inizio di qualcosa che con numeri e dati sempre più dettagliati, promette di seguire la strada del vino “naturale”, almeno fin a quando non si troverà un aggettivo che accontenti davvero tutti.
Il vino “naturale”. I numeri, gli intenti e altri racconti | Servabo | Versanti | www.servabo.it | pagg. 240 | euro 18
a cura di Francesca Ciancio