«Non è vero che non si può chiamare vino, sappiatelo. Lo dice il regolamento comunitario del 2021 e su questo non si discute». Parte da qui l’intervento del segretario generale di Unione italiana vini Paolo Castelletti alla tavola rotonda Dealcolati & Co - Le nuove frontiere del vino, realizzata in collaborazione con Vinitaly. Un intervento in cui non ha usato mezzi termini, in contrapposizione alle parole del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida che, nell’intervista esclusiva rilasciata al Gambero Rosso, ha ribadito che i dealcolati non sono vini. «I no e low alcol – ha continuato Castelletti – si potrebbero fare già dal 2021 per l’Europa, ma in Italia abbiamo un Governo che ha un approccio ideologico su questo tema e non sembra voler ascoltare le richieste del mondo produttivo. Perfino i francesi che sono più tradizionalisti di noi stanno aprendo ad una minore gradazione alcolica anche per le Ig, mentre l’Italia perde quote di mercato e opportunità.
Negli Usa i Nolo valgono un miliardo di dollari
Come il Gambero Rosso aveva intuito, quello dei dealcolati è diventato uno degli argomenti più dibattuti di questo Vinitaly, tant’è che anche l’amministratore di Veronafiere Maurizio Danese sta pensando di aprire alla tipologia per i prossimi appuntamenti fieristici, così come ha già fatto Prowein. D’altronde i numeri parlano chiaro.
«In Italia il 36% dei consumatori è interessato a consumare bevande dealcolate; negli Stati Uniti, incubatore di tendenze specie tra i giovani, il mercato Nolo vale già un miliardo di dollari», ha ricordato Castelletti. Ad oggi, però, il prodotto non si fare in Italia, ma può circolare. Non sono pochi, quindi, coloro che lo producono negli stabilimenti fuori dai confini nazionali per poi riportarlo in Italia o inviarlo nel resto del mondo.
Potenziale di un milione di nuovi bevitori
Se all’estero è un prodotto già abbastanza sdoganato, anche in Italia inizia a fare sempre più adepti. «Questi prodotti – ha detto l’analista Swg, Riccardo Grassi – interessano prima di tutto un potenziale di 1 milione di non bevitori di alcolici, oltre a una platea di consumatori di vino o altre bevande (14 milioni) che li ritiene una alternativa di consumo in situazioni specifiche, come mettersi alla guida”.
Secondo Swg, la quota di attenzione verso i vini dealcolati (21%) è più alta nelle fasce più giovani (28% da 18 a 34 anni), il target a maggior contrazione dei consumi di vino che nel 79% dei casi dichiara “importante” se non “molto importante” o “fondamentale” poter ridurre i problemi legati all'abuso di alcol mettendo a disposizione dei consumatori prodotti a zero o bassa gradazione.
Dagli Usa i vini no alcol e no sugar
L’Osservatorio Uiv rivela anche la crescita negli States dei cosiddetti vini low sugar «Sono vini che intercettano un trend salutistico e che hanno registrato crescite astronomiche nel giro di un quinquennio: da 10 milioni di dollari del 2019 ai 270 dell’anno appena chiuso» sottolinea il responsabile dell’Osservatorio Carlo Flamini. A questi si aggiungono i low alcol che negli Usa valgono circa 1 miliardo di dollari e i no alcol: ancora una nicchia (62 milioni di dollari), ma con un valore cresciuto di sette volte negli ultimi quattro anni. Oltretutto sono proprio i no alcol prodotti in Italia (ma con altro nome) che hanno sovraperformato il mercato nel 2023, sia a volume (+33% contro +8%), sia a valore (+39% contro +24%). «Il prezzo medio – conclude Flamini - è leggermente superiore a quello di un vino tradizionale: 12,46 dollari al litro contro 11,96 nel 2023».
L’alternativa agli espianti
Conclusione del segretario generale Uiv Castelletti: «Sentiamo sempre più spesso parlare di espianti finanziati (perfino Lollobrigida, nell’intervista esclusiva al Gambero Rosso ha ammesso che un piano di espianti c’è), ma le imprese, che negli ultimi anni hanno ristrutturato metà del proprio vigneto (310 mila ettari) con erogazioni pubbliche pari a 2,6 miliardi di euro, vogliono continuare a svolgere il proprio lavoro, magari riducendo le rese, puntando ancora di più sulla qualità e – perché no – potendo contare su un nuovo asset di mercato come quello dei Nolo che interesserebbe aree produttive più in difficoltà».