"Il segreto delle arti è quello di correggere la natura", scriveva Voltaire. E se invece fosse quello di rappresentarla nei minimi dettagli? Difficile rispondere così, su due piedi. In alcune opere, infatti, il confine tra riproduzione oggettiva e libera interpretazione della realtà appare talmente sottile da rendere vana qualsiasi classificazione scientifica. D’altra parte, sembra che i dipinti e gli affreschi più fedeli -o presunti tali- possano fornire ai ricercatori informazioni estremamente preziose circa l’evoluzione botanica delle specie vegetali. Lo dimostra Art Genetycs, un metodo sperimentale messo a punto dagli studiosi belgi David Vergauwen (docente di storia dell’arte ad Amarant) e Ive de Smet (genetista presso il Centro di biologia dei sistemi vegetali VIB-UGent di Gan), con l’intento di analizzare il profilo morfologico della frutta e della verdura raffigurate nei quadri antichi.
Opere d’arte per ricostruire l’evoluzione delle specie vegetali
Tutto è iniziato dall’analisi di Fruit Stall, un dipinto di Frans Snyders che i ricercatori -due grandi amici uniti da una passione viscerale per l’arte- avevano ammirato durante la loro prima visita all’Hermitage di San Pietroburgo tre anni fa. In quel frangente, notando alcuni ortaggi di difficile identificazione nel mercato raffigurato dal celebre autore fiammingo, lo storico e il genetista erano giunti alla conclusione che il loro aspetto fosse dovuto non tanto all’imprecisione della tecnica pittorica (al contrario, particolarmente accurata) quanto alla differenza tra le specie odierne e quelle antiche. Una constatazione solo apparentemente banale, da cui ha preso origine il progetto Art Genetycs, basato sull’esame visivo delle opere a tema vegetale e sul confronto diretto con campioni botanici già esistenti. L’interazione fra arte e scienza, del resto, non è una novità assoluta: “Lo dimostrano gli studi condotti sui dipinti tombali di angurie nell’Antico Egitto che, insieme al DNA estratto dalle foglie del frutto fossilizzate, fanno risalire le prime tracce di coltivazione al 2000 a.C.”, ha dichiarato Vergauwen alla Cnn.
Arte e scienza: i limiti di Art Genetycs
Come si può facilmente intuire, il metodo adottato dai ricercatori belgi -passato al setaccio da una recente pubblicazione sulla rivista Trends in Plant Science- presenta tutta una serie di inconvenienti difficili da aggirare. Se da un lato, infatti, "consente di supplire alle lacune genetiche dovute alla cattiva conservazione dei campioni vegetali", come afferma de Smet, dall'altro si scontra con la scarsa accessibilità delle tele custodite nei musei (per appurare l’aspetto degli ortaggi antichi, in effetti, bisognerebbe mettere a confronto le rappresentazioni grafiche di autori e periodi storici diversi tra loro) e con i dubbi sull'attendibilità delle testimonianze analizzate (poiché gli artisti, spesso, alterano volutamente le caratteristiche dei soggetti ritratti). Insomma, l'arte fornisce degli spunti utilissimi per comprendere il passato, ma è pur sempre un prodotto della creatività umana e non va considerata come un sostituto delle ricerche condotte sul DNA delle specie botaniche. Vergauwen e de Smet, comunque, hanno creato un network globale basato sullo scambio reciproco di immagini delle opere: tutti sono invitati a partecipare. Un ottimo modo per coinvolgere nel progetto tanti altri appassionati e studiosi.
Arte e botanica: gli affreschi di Villa Farnesina a Roma
Simile a livello teorico, ma decisamente più concreta sul piano operativo, la campagna di analisi svolta sugli affreschi della Loggia di Amore e Psiche, progettati e parzialmente eseguiti da Raffaello nelle sale di Villa Farnesina a Roma. Qui il team di ricerca capitanato da Antonio Sgamellotti (professore emerito di Chimica inorganica presso l'Università di Perugia) e Giulia Caneva (professoressa di Botanica ambientale ed applicata dell'Università degli Studi di Roma Tre) si è focalizzato sui motivi naturalistici dei festoni che incorniciano le scene del ciclo pittorico, realizzati magistralmente da Giovanni da Udine -fra i migliori allievi del grande artista urbinate- nel 1517; queste meravigliose decorazioni, infatti, ospitano ben 170 specie diverse di erbe aromatiche, frutta e verdura riprodotte a imitazione del maestoso giardino del proprietario, il banchiere senese Agostino Chigi. “Che, per far sfoggio del suo potere, aveva importato un numero incredibile di piante da ogni angolo del globo”, osserva la professoressa Caneva.
“L’esempio più calzante è quello del mais, giunto a Roma per la prima volta a soli 20 anni dalla scoperta dell’America! Analizzando il numero di cariossidi sulle pannocchie raffigurate, abbiamo potuto constatare che prima della sua introduzione in Europa gli Ameringhi ne avevano già selezionato alcune varietà principali. Insomma, il mais attualmente diffuso vanta origini antichissime”. Ma ogni prodotto riserva sorprese, dalle zucche gialle messicane all’aloe degli Emirati Arabi, fino alle arance cinesi e i melograni persiani, “e siamo riusciti a catalogarli tutti. Un grande traguardo a livello storico e scientifico”. Quindi, l’arte può davvero aiutarci a tracciare l’evoluzione genetica di frutta e verdura?
Frutta e verdura nei quadri: un aiuto per la scienza
"È fuor di dubbio che l'analisi botanica delle opere presenti dei margini di incertezza maggiori rispetto all'identificazione di un campione vero", puntualizza la professoressa Caneva. "Il motivo è presto detto: negli affreschi di questo tipo, solitamente, mancano molti elementi della sistematica vegetale necessari ad accertare la natura della pianta, dalla morfologia generale ai fiori. Ma la Loggia di Amore e Psiche rappresenta un'eccezione. Giovanni da Udine, infatti, era talmente fedele alla realtà da riprodurre persino i frutti marcescenti”. Il suo escamotage preferito? Passare uno strato di carbone sull’intonaco fresco per simulare le ammaccature. Inoltre, pare che avesse creato delle combinazioni di colore inedite per rendere l’idea della piena maturazione dei meloni, mescolando antimonio, stagno e piombo in proporzioni simili a quelle comunemente usate per la pittura su ceramica.
Ma come sono riusciti a scoprirlo, i ricercatori? “Ci siamo avvalsi della fluorescenza a raggi X per mappare tutta la superficie del festone. In questo modo abbiamo potuto analizzare da vicino, su delle impalcature, i vari elementi chimici delle tonalità utilizzate. E poi, per effettuare il lavoro di classificazione, abbiamo consultato diverse banche dati varietali e cataloghi di immagini". Certo, durante le ricerche le difficoltà non sono mancate: “Le cultivar antiche delle radici come scorzonera, carota e pastinaca ci hanno dato del filo da torcere, perché oggi presentano un colore molto diverso rispetto a quello che avevano cinquecento anni fa. Ormai, però, lo abbiamo capito: l’arte non smette mai di stupire”.
a cura di Lucia Facchini