Viaggio in Armenia, popolo lontano eppure vicino come non si crederebbe. Dove la cultura del vino e della vite hanno ripreso a stimolare idee e passioni animando un movimento che guarda ben oltre le cantine e le vigne. Nel mensile di novembre del Gambero Rosso abbiamo intrapreso un viaggio sorprendente tra sapori e calici inaspettati grazie a un agricoltore iraniano e un enologo italiano che ci hanno indicato la via. Qui un’anticipazione.
LโArmenia non รจ certo vicina: dista dallโItalia quasi tremila chilometri in linea dโaria, quattromila via terra. Ai piedi del Caucaso cโรจ oggi questo piccolo stato di circa tre milioni di persone, culla e rifugio di un popolo glorioso e industrioso, che un tempo dominava tra Mar Nero e Mar Caspio, e che arrivava a toccare le sponde del Mediterraneo. Siamo al confine tra Asia ed Europa, poco lontano dal Monte Ararat, simbolo del paese, (che perรฒ oggi รจ in territorio turco), dove la leggenda vuole che approdasse lโArca di Noรจ dopo il diluvio.
Fu proprio un nipote di Noรจ, Haik, che secondo le antiche saghe si stabilรฌ ai piedi del Monte, sconfisse in battaglia il re assiro Nimrod e diede inizio allโavventura di questo popolo. Hayastan, la terra di Haik, รจ oggi il nome del paese in lingua armena. Lontano, dicevamo, ma a noi vicino culturalmente. Fu il primo stato a divenire cristiano, nel 301, e con lโoccidente lโArmenia e gli armeni hanno sempre avuto legami forti e complessi. Per arrivare a Yerevan, oggi dallโItalia si passa dallโaeroporto di Mosca per atterrare un paio dโore dopo nella capitale di questo giovane stato nato nel 1991 dalla frammentazione dellโimpero sovietico.
Il tipico lavash, un pane sottile che si arrotola come fosse stoffa
Il nostro รจ un viaggio sulle tracce della viticoltura, che qui ha la sua culla. Il primo impatto, perรฒ, รจ con la cucina locale: il sapore della melanzana, lโintensitร di un agnello, le paste ripiene di carne come il manti (una sorta di tortellino, diffuso anche in Turchia), i formaggi di capra. Nei piatti gli ingredienti sono centrali, di grande intensitร , le pietanze sono presentate senza fronzoli. A occhi chiusi pensi di essere a tavola nel nostro Sud anche se non riesci bene a capire dove. In effetti cโรจ un poโ di Armenia dovunque, in Occidente e in Italia, e cโรจ Occidente in Armenia.
Per rendersene conto basta andare a Venezia, che dal XII secolo รจ stata uno dei grandi centri di diffusione della cultura armena, e dove unโisola della laguna, San Lazzaro, รจ gestita da secoli dai monaci mechitaristi ed รจ unโimportantissima istituzione culturale di questo popolo. Roma, Napoli e tante altre cittร vantano chiese e comunitร armene, ma lo stesso si puรฒ dire per gli altri paesi europei, per gli Stati Uniti, la Russiaโฆ E non cโรจ campo artistico, dalla musica al cinema alle arti figurative che questo straordinario popolo non abbia esplorato con eccellenti risultati: un nome su tutti Charles Aznavour (sarebbe Aznavourian), straordinario musicista: attore, diplomatico, ma soprattutto attivista della causa armena, che oltre ad aver scritto piรน di 1000 canzoni, si esibiva in ben sette lingue, italiano compreso. Eh sรฌ, la causa armena.
Un bel banco ricco di frutta secca all’interno del Gumi Shuka, il food market di Yerevan
Una delle tappe obbligate della visita a Yerevan – cittร che troviamo giovane e vivacissima, costellata di opere dโarte, caffรจ, ristoranti e architetture moderne che sโinnestano su quelle inizio Novecento di stampo sovietico – รจ il mausoleo del genocidio. In pochi mesi, tra il 1915 e il 1916, oltre un milione e mezzo di armeni furono deportati e sterminati dal regime turco nella prima grande operazione di pulizia etnica del Novecento. Dopo la visita, per lโintera giornata non siamo riusciti a proferire parola. La Turchia non ha mai riconosciuto la strage, il Genocidio Negato. Questo spiega perchรฉ se in Armenia la popolazione non supera i tre milioni, oltre otto sono i milioni di armeni nel mondo. Una comunitร internazionale che in ogni paese si ritrova nelle sue chiese, ha mantenuto cultura, alfabeto, musica, simboleggiata dallo strumento nazionale, il duduk, una sorta di clarinetto recentemente entrato nel patrimonio dei beni immateriali dellโumanitร tutelati. dallโUnesco.
Il memoriale del genocidio sulle colline della capitale
LโArmenia di oggi, dicevamo, รจ un paese giovane, vitale, dinamico, sostenuto dagli armeni di tutto il mondo, che contribuiscono al 20% del PIL. Il clima che si respira nella capitale รจ contagioso, cโรจ entusiasmo, voglia di fare e costruire, cโรจ una rinnovata fiducia. Sono gli effetti della Rivoluzione di Velluto, portata a termine senza alcun spargimento di sangue nellโaprile del 2018. Le lunghe proteste dei giovani portano alle dimissioni del controverso governo guidato da Serz Sargsyan. Il nuovo corso condotto da Nikol Pashinyan sta portando il paese verso una lunga serie di riforme, a partire dalla lotta alla corruzione, piano di rilancio economico e nuova politica estera. Il paese confina con lโIran, la Georgia, lโAzerbaijan e la Turchia ma i confini sono aperti solo con i primi due.
Quello che raccogliamo a Yerevan รจ lo spirito di chi ha voglia di ripartire, come dimostrano i tanti nuovi ristoranti e wine bar, targhe appena appese e un fermento vero. Siamo qui per il vino, ma ci innamoriamo subito di una terra e di una cultura. Se non avete letto โLa Masseria delle Allodoleโ di Antonia Arslan, fatelo. Un libro bellissimo, ma anche la vera storia di un popolo vicinissimo culturalmente a noi. Come la sua cucina, elemento unificante e identitario, che accomuna gli armeni della diaspora ovunque essi siano. Come ci racconta Sonya Orfalian, nel mensile di novembre del Gambero Rosso, la memoria e lโidentitร di un popolo si possono preservare anche tramandando una ricetta, soprattutto se il popolo รจ in perenne movimento e parla una lingua che non assomiglia a nessunโaltra, viaggiatori e commercianti da sempre.
Ci sintonizziamo sulle montagne di frutta secca del coloratissimo mercato di Gurmi Shuka, tra una varietร incredibile di sottaceti, retaggio russo, dolci di tradizione turca come i baklava, trionfo di datteri e melegrane giganti, tante varianti di dolma, tipici involtini ripieni nelle foglie di vite.
Quindi, usciamo dalla capitale e mettiamo in fila una serie di paesaggi bellissimi, aspri, incontaminati. Le strade si fanno dissestate, circolano deliziosi modelli russi che sembrano usciti da un museo. ร un viaggio vero. La vetta dellโArarat ci accompagna per una buona ora di guida, mentre attraversiamo opere edilizie che confermano lโinconciliabilitร tra i concetti di Unione Sovietica ed estetica.
Anfore interrate nella cantina di Zorik Gharibian
La natura diventa ancora piรน estrema, la luce รจ fortissima, arriviamo nella provincia di Vayots Dzor, non lontano il confine con i poco amichevoli cugini azeri. โTutto il mondo รจ armeno, quelli pigri sono rimasti quiโ, sorride Zorik Gharibian, fondatore della cantina Zorah, mentre poggia in tavola un generoso piatto di formaggi di capra locali, hummus, basturma (la risposta armena alla bresaola) e lโimmancabile lavash, il tipico pane armeno senza lievito. Di strada anche Zorik ne ha fatta tanta. Nato a Teheran, si รจ formato al collegio dei monaci mechitaristi a Venezia, per poi raggiungere Milano, dove ha fatto fortune nel settore della moda. Nel 1998 il primo viaggio in Armenia. โSi beveva solo vodka, eppure in ogni monastero cโera il vino, le canzoni popolari cantavano il vino. Lo bevevano solo gli armeni della diaspora e la qualitร era quella che eraโ. Ma il richiamo รจ fortissimo.
Zorik Gharibian
In pochi mesi sposta la produzione delle sue aziende in Armenia e incomincia a sondare il terreno per lโattivitร vitivinicola. Le sue attenzioni cadono sul patrimonio di varietร autoctone armene dimenticate, cosรฌ come sullโutilizzo delle anfore.
Il nostro viaggio in Armenia continua nel mensile di novembre del Gambero Rosso.
a cura di Lorenzo Ruggeri e Marco Sabellico
QUESTO ร NULLA…
Nel mensile di novembre del Gambero Rosso trovate l’intero racconto con la testimonianza completa del fondatore della cantina Zorah, che racconta il nuovo progetto di formazione incentrato sulle anfore e il futuro museo per raccontare la viticoltura armena. Un servizio di 15 pagine che include anche una timeline con tutte le tappe fondamentali della storia dell’Armenia, gli indirizzi con wine bar, ristoranti, cantine e mercati da non perdere, i contributi dell’archeologo Boris Gasparyan e dell’enologo Alberto Antonini, 15 etichette a confronto e gli otto piatti tipici da provare assolutamente.
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