Il pane in Italia. La nuova era

11 Set 2018, 09:39 | a cura di

Un tempo il pane era legato alla terra, al bisogno familiare, senza troppa consapevolezza. Tanto che l’antica tradizione agricola è naufragata nello standard di un’industria anonima. Ma oggi un gruppo di professionisti - che abbiamo interpellato nel numero di settembre del mensile del Gambero Rosso - sta costruendo la nuova identità del pane italiano. Con uno sguardo al territorio, ai grani antichi, alla tradizione e con un occhio verso le migliori tendenze internazionali. E anche la Gdo scimmiotta (o segue) questa tendenza.

 

Il pane, un tempo al centro della tavola, alimento quotidiano con consumi dieci volte più alti di quelli di oggi, supera la crisi degli ultimi anni. Si alza l'asticella della qualità e sale con vigore la scala dei valori culturali ed economici. Il pane è tornato finalmente al centro di dibattiti, discussioni, sperimentazioni tecniche e agricole. Abbiamo cercato di scardinare certezze e falsi miti, mode e inutili complicazioni, dando la parola ai più straordinari panificatori d’Italia. Abbiamo poi cercato anche di spaziare sia a livello cronologico (il concetto di “antico” è sempre più legato al mondo dell'arte bianca) sia a livello geografico, andando a vedere come lo scenario della panificazione di ricerca italiana si collochi in un contesto globale quanto mai vivido di novità e sfide.

Mani che impastano il pane. Foto di Francesco Vignali

Il pane come il vino

Mi piace paragonare il pane al vino - esordisce Davide LongoniIl vino nel Dopoguerra era vissuto come alimento, poi, lo scandalo del metanolo ha costretto tutto il mondo enologico italiano a entrare nell'età adulta. Così, il vino, è diventato oggetto di un consumo consapevole, edonistico e culturale; si è creato valore aggiunto”. Stesso sentiero sta battendo il pane: “Una volta si mangiava 1 kg pro capite di pane al giorno, ora se ne mangiano meno di 100 grammi (la gente spende, quotidianamente, più per il caffè), quindi l'unica via per sopravvivere, parlo da fornaio, è quella di creare valore aggiunto”. Ma riavvolgiamo il nastro. Cos'è cambiato nel corso degli anni, quali sono le cause di questo drastico crollo dei consumi di pane? “Nel mio paesino, in Brianza, negli anni Ottanta c'erano dodici panifici, poi è arrivata la grande distribuzione a mettere in crisi il sistema, con un appiattimento verso farine raffinate e pani morbidi”. A questo si è aggiunto un crollo dei consumi, lo spiega bene Gabriele Bonci: “Oggi il pane non ha più il significato che aveva in passato. Un tempo era considerato bene primario, simbolo di aggregazione familiare, al centro della tavola. Quando si andava a comprarlo, si usciva sempre dal forno con la pagnotta da due chili”. Rincara la dose Longoni: “Le famiglie un tempo erano numerose, compravano sempre il pane per la settimana; il boom economico ha ristretto i nuclei familiari, le persone hanno cominciato a mangiare sempre più spesso fuori casa e ci si sono messi pure i surrogati del pane, come cracker e grissini. E se prima il mestiere lo si trasmetteva di padre in figlio, in quel periodo i genitori sconsigliavano vivamente di intraprendere la loro strada”. Lo dice con un velo di nostalgia Longoni, erede di una solida famiglia di fornai, ma panificatore per scelta.Insomma, hanno chiuso moltissimi forni...”.

Pagnotte di Bonci. Foto di Francesco Vignali

La new wave del pane

Ancora parallelismo pane-vino: Fortunatamente, questo ha fatto sì che si ripensasse il prodotto. E grazie a una grande rete di fornai si sono gettate le basi per una nuova era del pane, considerato, sì, come alimento, ma anche come nutriente e portatore di un valore culturale importante. Si è dato spazio alla segale, al farro monococco, si è iniziato a recuperare grani in disuso e pasta madre”. La “madre” di Longoni è con lui fin dall'inizio, “ha 15 anni, ma ogni giorno la rinfresco e la rigenero”Di come siano cambiati i tempi anche Piergiorgio Giorilli ha un’idea lucida: lui ha cominciato a panificare a 14 anni, nel forno di famiglia. Era il 1959:“Sono passati molti decenni, ho contribuito sul campo all’evoluzione del mestiere. Credo che il nostro compito sia anche quello di intuire i desideri del mercato. Quand’ero con mio padre i clienti entravano al forno alle 8 del mattino, prima di andare a lavorare in campagna. Oggi è più facile che arrivino dopo una giornata di lavoro, nel tardo pomeriggio: e vogliono trovare pane fresco”. Come fare? “L’evoluzione tecnologica, in questo senso, ci è venuta incontro: non c’è più necessità di panificare due volte al giorno. Possiamo farlo la mattina, poi mantenere le forme a temperature di 15-16 gradi, pronte da infornare nel pomeriggio. Anche questo è un modo per rispondere alla comodità della grande distribuzione, che punta sul pane precotto disponibile a ogni ora del giorno”.

Gli va dietro uno dei suoi allievi, Stefano Priolo del panificio Casa Priolo a Bojano. Rappresentante di quinta generazione di una famiglia di panettieri. Stefano, che di anni ne ha solo 24, ribadisce che oggi bisogna assecondare le richieste del mercato: “Mio nonno mi ha raccontato di pagnotte da 5 chili, oggi impensabili: se si vuole campare bisogna diversificare l'offerta. Noi facciamo di tutto, dai grissini ai biscotti, ai cracker, ai taralli, perché sul pane non c'è molto margine. Dopo un corso da Raffaele Rega e Carlo Di Cristomi sto divertendo a creare un pane con farina e acqua fermentata aromatizzata alla frutta. Il risultato? Una maggiore conservabilità e un sapore particolare”.

Le alveolature del pane di Bonci. Foto di Francesco Vignali

Diversificare

Parola d'ordine, dunque, diversificare. Che nella new wave del pane va a braccetto con standardizzare. Lo spiega bene Luca Scarcella: “Ho cominciato a lavorare nel forno di mio zio quando avevo solo diciassette anni, considerando che oggi ne ho 44 potete immaginare tutti i cambiamenti che ho vissuto. Il cliente di oggi è molto esigente e di conseguenza il panettiere non può più essere come quello di una volta, c'è bisogno di stare su Facebook, bisogna proporre più prodotti e si deve sfornare il pane caldo durante tutto il giorno”. Come? Standardizzando il processo attraverso una cella di fermalievitazione grazie alla quale si può fare il pane il giorno prima, per poi infornarlo il giorno seguente.“La maggiore difficoltà del panettiere è avere a che fare con una pasta viva soggetta a variazioni di temperatura e umidità, ma se si riesce a mantenere le due variabili costanti, anche l'addetto alla vendita è in grado di infornare il pane, così non c'è bisogno della presenza costante del panificatore, che magari può aprire anche un secondo punto vendita”. Viene meno il romanticismo? Probabile, ma non ne risente in alcun modo la qualità del pane, che anzi, oggi, ha raggiunto livelli eccellenti anche grazie alla presa di coscienza dei panettieri e dei consumatori.

Il servizio completo, dove si parla anche di valore economico, di mode e di formazione, lo trovate nel numero di settembre del mensile del Gambero Rosso.

 

a cura di Livia Montagnoli e Annalisa Zordan

foto di Francesco Vignali

 

QUESTO È NULLA...

Articolo sul pane del mensile di settembre

Nel numero di settembre del Gambero Rosso, un'edizione rinnovata in questi giorni in edicola, trovate l'articolo completo con gli interventi di Eugenio PolAdriano Del Mastro, i ragazzi di Brisa, Aurora Zancanaro, Franco Palermo e Nicolò Grazioli. Un servizio di 16 pagine che include anche la storia di Francesco Vitale, chef e panettiere che da Blumenthal è arrivato a Cagliari, quella di Forno Collettivo a Milano e del pane “sciocco” toscano. Non solo, nel mensile trovate anche un utile glossarietto, le biografie dei protagonisti dell'articolo, i 10 punti più rappresentativi della filosofia del pane nuovo, i consigli per riconoscere il pane buono e quelli per farlo a casa. In più le mappe dei panifici di ricerca in Italia e nel mondo, con un focus, a firma di Laura Lazzaroni, sul fermento globale che sta vivendo questo settore.

 

Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store

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