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Tappa in Maremma

La rivoluzione gentile di Lucio Corsi passa dalla cucina di nonna Milena: la nostra visita

Cronaca di un pranzo in Maremma dove a sorpresa, tra un piatto di tortelli e un tegame di acquacotta, abbiamo incontrato il cantautore toscano di ritorno dal concerto di Rock in Roma

  • 24 Giugno, 2025

L’insegna con su la scritta Ristorante Macchiascandona è di quelle grandi, che sembrano dover attrarre l’attenzione di chi passa per quella strada. Una strada di confine: se arrivi da Grosseto trovi il cartello di benvenuto a Castiglione della Pescaia. Se vieni dal mare, invece, l’insegna è sbarrata. Qui, in questa terra di mezzo, dove tutto inizia o tutto finisce, la sosta ha un sapore d’altri tempi. Sotto al portico, con le sedie da vecchio bar di paese, c’è anche un orologio arrugginito che segna sempre le sette meno dieci, come se il tempo si fosse fermato. E in qualche modo è così.

Un’atmosfera da grande famiglia

All’interno la sensazione è di ritrovarsi dentro ad una vecchia locanda con la sala ristorante al piano terra e le stanze di sopra. Ad accoglierti c’è una signora con uno sguardo familiare. Una bambina le chiede: «È lei la mamma?». Annuisce timidamente. Il sorriso le si apre quando due commensali le fanno i complimenti per come ha cresciuto il figlio. È come se tutti conoscessero tutti.

Il rifugio di Lucio Corsi

Poi improvvisamente una ragazza urla: “C’è Lucio”, indicando l’entrata. Ed è allora che la sala gremita si svuota e tutti gli avventori, pure i più anziani, si riversano nella verandina. «Lo sapevo che sarebbe venuto», esclama qualcuno con la maglietta di Topo Gigio, mentre un signore fischietta “Vivere la vita è un gioco da ragazzi”.
Sulla porta, a dispensare sorrisi e autografi, c’è questo ragazzo, capelli lunghi e cappello da cowboy in testa, che dallo scorso Sanremo tutti hanno imparato a conoscere: non ha la faccia da duro, ma la corazza sì. È appena tornato dal concerto più importante del tour – all’Ippodromo delle Capannelle di Roma – e non vede l’ora di abbracciare casa sua. «Faccio sempre tappa qui tra un concerto e l’altro», confessa.


Intanto, dal ristorante fa capolino nonna Milena che, lasciata la cucina, con la cuffia in testa, lo rimprovera per non averla ancora salutata. L’abbraccio è già poesia. E, poi, via, si va tutti a tavola, band compresa. «Prendete i tortelli», ci consiglia Lucio Corsi che racconta anche come nel ristorante di famiglia ci sia cresciuto, quasi fosse una seconda casa: «Mi ha aiutato a tenere i piedi per terra». Tanto che a Milano, la città in cui adesso vive, si è trovato un altro luogo del cuore dove andare per trovare ristoro e ispirazione: l’Antica Trattoria Ambrosiana.

I piatti da non perdere

Ma torniamo al nostro pranzo. A tavola le star incontrastate sono proprio loro, i tortelli tirati a mano da nonna Milena, con ripieno di ricotta e spinaci. Per il condimento si può scegliere tra pomodoro semplice, ragù o burro e salvia. L’ingrediente segreto è la noce moscata. Già alla vista si può presagire un morso morbido ma allo stesso tempo carnoso, di quelli che lasciano la bocca appagata. Per chi non volesse seguire il consiglio, ci sono anche gnocchi o tagliatini al cinghiale, ma anche l’acquacotta, la zuppa tipica della maremma grossetana, pensata per dare energia ai butteri nei periodi trascorsi dietro alle mandrie al pascolo. La ricetta è quella classica: uovo, pomodoro, pane raffermo, sedano e cipolle.
Anche i secondi parlano toscano, tra cinghiale alla cacciatora, trippa in umido, faraona in bianco o coniglio. Tutto presentato in maniera semplice e genuina. Una cucina che sa di buono e di casa. Quella cucina che non ti stanca mai.

Chiusura delicata

I dolci sono lì a tentarti nel carrellino all’ingresso. Delicatissima la crostata di crema di latte e cannella, sontuosa la meringa morbida, invitante il crumble di pesche. Si può anche richiedere il miele dentro al suo favo in abbinamento ai formaggi. Il pairing è con i vini di zona: l’atmosfera suggerirebbe il buon quartino della casa, ma la carta propone anche delle ottime referenze locali.

Una storia di famiglia

A rendere l’atmosfera trasognata ci pensano i tanti quadri appesi alle pareti: molti riguardano proprio il ristorante, come la donna (nonna Milena?) che prepara i tortelli. Hanno quel tratto fiabesco che si ritrova nelle canzoni del cantautore toscano: «Li faccio io – ci rivela la mamma di Lucio, Nicoletta Rabiti che ha gli stessi occhi sognanti del figlio – ma ormai mi sono un po’ fermata. Alcuni soggetti sono stati utilizzati da Lucio nei suoi dischi».
E già ce lo immaginiamo questo minuto cantafiabe maremmano, mentre da bambino, con i piedi sotto al tavolo e la testa tra gli alberi, sognava di firmare autografi davanti al ristorante di famiglia o semplicemente, come tutti noi, lanciava nel vento la domanda delle domande: “Cosa faremo da grandi”?

Una rivoluzione gentile

Quando finiamo di pranzare, Lucio è in cucina, dalla nonna. Le mostra le immagini del servizio del Tg1 che parla del concerto di Roma della sera prima. E all’improvviso ci sono solo una nonna orgogliosa, col nipote orgoglioso di renderla orgogliosa. Poco importa se il telegiornale ha anche parlato dei bombardamenti statunitensi in Iran: per oggi ci facciamo travolgere dalla rivoluzione gentile che, in un mondo di duri, è l’unica ad avere ancora qualcosa da dire. Nella musica, come in cucina.
In macchina la radio fa il resto: «Sono nato a mezzogiorno, tra le braccia di mia madre. Con lo stesso nome di mio nonno che non mi ha visto cantare. Poi nell’arco di un secondo mi legavo già le scarpe. Sembrava facile cambiare il mondo seduto in fondo alla classe».

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