โร un periodo strano per fare uscire un libroโ dice Fabio Parasecoli. Docente di Studi sull’alimentazione presso il Dipartimento di Nutrizione e Studi alimentari della New York University, Parasecoli ha all’attivo diversi titoli che indagano il rapporto del cibo con altri aspetti del sapere umano, della cultura โ popolare e non solo โ la societร , la politica, il design. Non fa eccezione neanche questa volta, puntando, se possibile, ancora con piรน decisione sulle connessioni che l’alimentazione intreccia con le dinamiche individuali e collettive. Si chiama Gastronativism: Food, Identity, Politics il volume edito dalla Columbia University che riunisce il frutto delle ultime ricerche di Parasecoli. L’obiettivo, perรฒ, non รจ rivolgersi ai soli addetti ai lavori, ma mettere a disposizione di tutti i risultati dei suoi studi grazie a โuno stile crossoverโ – come lo chiama – che dร ai contenuti una forma piรน possibile accessibile. Parola chiave: divulgazione. La stessa che sottende ad altre iniziative, sempre firmate Parasecoli.
Le mostre, per esempio: Gusto! Gli italiani a tavola. 1970-2050 all’M9 di Venezia, e Bigger than the plate inaugurata nel 2019 al Victoria and Albert Museum di Londra che a settembre approda al Museum of Food and Drink di New York, ย dove Parasecoli รจ co-curatore insieme a una figura interna al museo, in un lavoro di concerto con designer, artisti, architetti. โAnche questoโ commenta โรจ un modo per far riflettere il pubblico su alcuni aspetti che riguardano il cibo, per esempio le difficoltร di approvvigionamento o la crisi dell’industria agricolaโ, quei meccanismi – insomma โ che sottostanno a quel che mangiamo e a cui di solito non si presta attenzione. Ne riparleremo. Nel frattempo Parasecoli, ormai stabilmente residente negli Stati Uniti, ha osservato da lรฌ il diffondersi della pandemia e l’insorgere del conflitto russo ucraino, ma anche l’assalto a Capitol Hill: proprio l’attacco del 6 gennaio 2021 lo ha convinto della necessitร di dare un’accezione politica al libro che aveva in serbo. โNon รจ la prima volta che rifletto su cibo e politicaโ commenta. Del resto, oggi come in passato, il cibo รจ usato dai governi per controllare la popolazione o racimolare consenso elettorale, e allo stesso modo puรฒ essere veicolo di integrazione e conquista di diritti. Gli esempi sono molti.
La lasagna halal del Papa, la Nutella e le nocciole turche di Salvini, e poi le molte questioni trattate al Parlamento europeo: il cibo รจ strumento ideologico. In Italia soprattutto: โperchรฉ รจ molto importante nella nostra identitร , sia come individui che come comunitร โ. Non solo: โรจ immediato, non ha bisogno di spiegazioni, quindi attraverso di esso certi contenuti appaiono quasi naturaliโ. La famosa lasagna di Bergoglio, dunque, percorre la strada del multiculturalismo con semplicitร . In piรน il cibo รจ performativo, quindi adatto a essere mediatizzato, โe di questi tempi se non sei mediatico non esistiโ.
โNel libro esploro il fenomeno dell’uso ideologico del cibo in tutto il mondo e in vari aspettiโ spiega Parasecoli, che fa un’analisi puntuale di episodi passati o presenti. Per esempio in India, dove il governo spinge per un induismo piรน conservatore e radicale, โil consumo di carne รจ un criterio per additare le altre comunitร religiose, musulmane o cristiane, e le classi sociali piรน basse, perchรฉ storicamente gli intoccabili mangiavano bovini, frattaglie: un obbrobrio per un induista braminico agiatoโ. O in Giappone, con lo scandalo dei gyoza contaminati, che arrivavano congelati dritti dalla Cina. C’รจ poi il caso degli Stati Uniti, con Biden e l’affair โbbq del 4 luglioโ, dove la tradizionale grigliata di carne dell’Independence day รจ entrata nella controversia politica legata alle posizioni sul cambiamento climatico. โCome รจ possibile tanta assurditร ? Perchรฉ il cibo fa parte della quotidianitร e a esso si legano delle emozioni fortiโ. Che possono facilmente essere strumentalizzate. Avere consapevolezza di queste dinamiche consente di evitarlo o addirittura diventare noi stessi attori di un cambiamento positivo nella nostra societร . Per farlo, non basta mangiare, occorre anche farsi delle domande.
Il termine gastronativismo origina nell’America di metร ‘800, e nelle reazioni dei bianchi protestanti contro i nuovi arrivati non anglosassoni, olandesi o tedeschi. Nel dettaglio, il nativismo – la politica che mira a preservare una cultura indigena e, nelle sue derive reazionarie, gli interessi dei nativi contro quelli degli immigrati – emerge soprattutto dove c’รจ molta immigrazione, dove il confine tra noi e gli altri viene definito dal luogo di nascita. Negli anni ’90, poi, c’รจ stato un cambiamento epocale, quando รจ arrivato un modello di globalizzazione diverso da quello preesistente, โche provoca grosse diseguaglianze, accentuate dalle crisi, da quella del 2008, al Covid, alla guerra in Ucrainaโ. La forbice tra chi ha e chi non ha, chi ha saputo cogliere le opportunitร date dalla globalizzazione e chi no, aumenta; e con essa anche questi fenomeni di ideologizzazione del cibo. L’ostilitร nei confronti dell’Unione europea, che molti vivono come una forzatura che rappresenta le elite globaliste e lascia indietro molte persone, ne รจ un esempio evidente.
Questa strumentazione ideologica si declina in due diverse direzioni: โesclusionario e non esclusionarioโ. Il primo cavalca un disagio che si esprime sulle persone piรน deboli o marginali, un malessere figlio della globalizzazione neoliberale (che ha anche trasformato i sistemi alimentari) in cui ci sono vincitori e perdenti, quelle fasce delle comunitร che ne subiscono le conseguenze e che reagiscono aggrappandosi ancora di piรน alla propria identitร , anche alimentare, prendendo le distanze dagli altri. Si tratta di dinamiche che possono fare il gioco di populismi e sovranismi usando il cibo per foraggiare il disprezzo verso gli altri. E l’altro? Il โgastronativismo non esclusionario รจ quello dei movimenti che identificano un nemico – per esempio gli ogm, o la globalizzazione neoliberale di cui sopra โ e cercano di riunire un numero piรน ampio possibile di persone che si possano unire a loroโ.
Ci sono dei cibi che piรน di altri esprimono questo fenomeno? โQuelli simbolici di identitร culturali: la polenta per la Lega Nord, la socca in Provenza โ sorta di farinata diventata emblema di differenziazione contro immigrati arabi – la carne negli Stati Uniti e in India, i ravioli in Giapponeโ. Pietanze quotidiane, comprensibili, di cui tutti hanno esperienza: non il caviale, per intenderci, ma la lasagna.
Per comprendere meglio questi fenomeni, รจ fondamentale cambiare prospettiva, in termini di spazio e di tempo, quindi se da una parte il libro obbliga ad aprire gli orizzonti, trovando affinitร e differenze con quanto accade altrove, dall’altra impone una lettura storica. Secondo delle traiettorie che Parasecoli ha indagato nel suo percorso professionale, come giornalista – di politica internazionale prima, di gastronomia dopo โ e studioso del cibo, con una visione che fa sue analisi culturali, antropologiche, economiche, del commercio, e anche storiche. โLo soโ ammette โรจ un libro complesso, perchรฉ richiede al lettore di guardare al di lร delle proprie frontiere. Maโ continua โspesso guardiamo gli alberi e non vediamo la foresta. Stavolta ho deciso di guardare la forestaโ.
Gastronativism. Food, Identity, Politics – Fabio Parasecoli – Columbia University Press – 248 pp. – $25.00, $100 l’edizione con la copertina rigida โ in inglese – https://fabioparasecoli.com
a cura di Antonella De Santis
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