Rischiavano di perdere il legame con la realtà, allora si sono rimboccati le maniche e, a partire dalle esigenze di quella che loro definiscono “la strada, la piazza”, hanno affrontato il mercato: l'economia, si sa, è la scienza della scarsità. Per dirla con le parole di Robbins. “È la scienza che studia il comportamento umano come relazione tra fini e mezzi scarsi”. E loro, i tre amici della storia, si sono messi in gioco sfidando le leggi di mercato. Così nasce un progetto di ristorazione articolato: Officina biologica. Cibi bio e, ove possibile, a Km 0, spesa intorno ai 10 euro (al Laboratorio, take away gourmet) o qualcosa di più (da Spazio).
La loro prima creatura è, appunto, il Laboratorio dell'Officina biologica, aperto ad aprile 2012, 60 metri quadri a Borgo Pio, due passi da San Pietro, tavola calda gourmet con prezzi invitanti.
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Chef il giovane Fabio Bianchi, subentrato a Federico Valicenti, cavallo di battaglia la rivisitazione di Davide Autovino dello sfincione, poi capresina, stracciatella pugliese di Michele Schiavone e pomodorini, zuppa di patate con pistilli di zafferano e crostini di pane o crema di carote con olio bio di Bruno Palmarini aromatizzato al rosmarino e timo. Niente servizio al tavolo, ma in compenso c'è una fontanella dalla quale attingere quante volte si vuole.
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Il secondo frutto di questo progetto nasce un mese fa: Spazio.
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Occupa a tutta altezza un'intera palazzina liberty poco distante dal Laboratorio, a Borgo Angelico, e si propone come luogo di incontro, oltre che come spazio dedicato al cibo.
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Al piano terra c'è la pizzeria, al secondo e terzo il ristorante e al quarto le cucine. Con la bella stagione la terrazza ospiterà un cocktail bar sotto le stelle. Un luogo suggestivo, per spazi e dimensioni.
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È un locale che ripropone nell'architettura la morfologia della strada. “Nella strada si creano dinamiche di confronto e discussione. Abbiamo voluto ricreare proprio queste dinamiche partendo dal cibo che diventa così un veicolo per affrontare altri temi e fare cultura”. Ecco allora il lampione a illuminare la sala e la vetrina che crea continuità tra l'interno e l'esterno. I tavolini progettati dall’amico-architetto Daniele Presutti con ‘teglie’ di ferro battuto e maioliche di recupero, alcune del ‘700. Le panche di un vecchio treno siciliano richiamano mobilità e dinamismo.
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Il fatto che all'origine di tutto ci siano tre artisti non è casuale. Hanno percepito prima di altri la necessità di fare sistema, di coinvolgere altre persone in questa operazione “politica” volta a mettere a disposizione le risorse, a cominciare da quelle umane.
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Tartare di scottona Shorthorn bio
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Tartare di pesce con scorzette di limone
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Nel menù emerge la filosofia di Federico Valicenti, figura mitica della ristorazione lucana che dal Laboratorio è passato alla palazzina di Spazio, basata sull'esaltazione della materia prima; tra i piatti una tartare di scottona Shorthorn bio e una tartare di pesce con scorzette di limone. Goloso il polpo verace rosticciato con pane tinto e peperone crusco; e il filetto di maiale cotto con sale integrale su sapori di bosco in salsa verde.
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Polpo verace rosticciato con pane tinto e peperone crusco
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Filetto di maiale cotto con sale integrale su sapori di bosco in salsa verde
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Tutto questo è il risultato di un percorso legato alla cucina biologica e basata sulla stagionalità dei prodotti, intrapreso da Federico Valicenti insieme ai giovani cuochi Davide Autovino, Elpidio Della Rossa e Andrea Della Rossa.
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In carta anche prodotti tipici, formaggi e salumi, Fiocco della Tuscia, stracchino di capra, conciato di San Vittore, lardo di San Nicola, salsiccia di Monte San Biagio. Inoltre pane e pizze fatti con farina ‘Senatore Cappelli’ macinata a pietra da un molino ad acqua di Rieti.
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Federico Valicenti, dopo la breve avventura al ristorante dell’Auditorium di Roma, si è lanciato in questo progetto con entusiasmo. Personaggio creativo e originale, scrittore oltre che chef, è stato scelto proprio per la sua sensibilità e la preparazione, per la sua cucina semplice e non banale, che implica un legame strettissimo con i produttori: “Noi senza di loro non esisteremmo”.
Per quel che riguarda il vino? Abbiamo parlato con la sommelier Chiara Bianchi: “Il vino che mi coinvolge di più è quello artigianale, preferisco chiamarlo così piuttosto che biologico o biodinamico. Perché artigianale? Perché è un prodotto che esprime saperi veri, concreti come la coltivazione. Narra il rapporto tra uomo e natura. I vini artigianali nulla hanno a che fare con le ideologie, siamo noi critici che creiamo delle sovrastrutture”. Un contributo ad un dibattito in corso in questi giorni. Uno dei tanti dibattiti che si potrà intavolare tra i cinque piani di Officina Biologica.Â
a cura di Annalisa Zordan
Foto di Jacopo Brogioni
26/02/2013