“L'arte della ristorazione e dell'accoglienza è simile all'arte circense: è stampata nel corredo genetico”. Non ha dubbi Massimo D'Addezio, uno dei più grandi barman italiani: il suo destino era segnato sin dall'inizio. Nonni e genitori nel mondo della ristorazione, prima in Italia e poi in Canada, dove Massimo è nato. Qualche anno a far teatro di strada finché, quasi per caso, ha messo il naso nel bicchiere: da allora non ha mai smesso di degustare, viaggiare e studiare. Whisky, vino, birra e distillati di ogni tipo. Poi il '99, l'anno della svolta, con la proposta dell'apertura di un nuovo albergo, di avviarne bar e cocktail bar. Dal 2002 al 2013 è al capo dello Stravinskij, l'American Bar dell'Hotel De Russie in Roma, e il bravo barman ha centrato l'obiettivo: creare uno dei primi bar cosmopoliti della Capitale. Ma non poteva fermarsi, così nel dicembre 2013 apre a Roma nel quartiere Pigneto, Co.So. un nuovo cocktail bar d’eccellenza. D'Addezio non ha mai smesso di viaggiare, di aggiornarsi ed è riuscito a creare nel suo bar innovativoun ambiente internazionale interamente dedicato al bere miscelato. È riuscito a regalare quel quid in più. E la voglia di sperimentare la si avverte subito: basta ascoltare Massimo per qualche istante e sentirlo parlare del Twist On Classic, per esempio, o di uno dei cocktail a cui il bar manager tiene di più, il Camillo's Ghost. “Ho pensato al Negroni, ma uso il Biancosarti, un vermuth bianco di produzione artigianale della famiglia Martelletti e l’italianissimo Dry Gin dell’Abbazia di Vallombrosa, anche se va bene qualunque tipo di gin di alta qualità” racconta “il colore rosso scompare e arrivano le trasparenze. Da qui il nome Camillo’s Ghost, in onore del Conte Camillo Negroni e di quello che era il suo solito”. Un creativo, un degustatore esperto, un viaggiatore instancabile, un abile interprete, un professionista consapevole: un saggio giramondo chiamato barman. E sarà proprio Massimo D'Addezio ad accompagnarci in questo piccolo viaggio alla ricerca del cocktail perfetto, da realizzare anche in casa.
“Si deve partire da una domanda che mi viene sempre fatta. Qual è il rum più buono? Il vino più buono? E la vodka più buona? È quella che si ha casa, rispondo io, perché vuol dire che l'abbiamo scelta”. Un modo tutto personale di Massimo per far capire che tutti gli ingredienti, a cominciare dai vini e dai liquori, devono essere testati e devono piacere prima di tutto a chi li utilizza. Aprire e testare tutte le bottiglie che useranno: è questo che il bar manager insegna ai suoi allievi durante i corsi professionali. È necessario conoscere esattamente tutti i gusti e le sfumature degli ingredienti, proprio come in cucina. È proprio la conoscenza a determinare dosi e proporzioni di una ricetta equilibrata.
La seconda regola da tenere a mente è quella di non esagerare. Il cocktail più semplice è anche il più equilibrato. Un bravo miscelatore deve rendere decifrabile al suo ospite il mix di ingredienti nel bicchiere. L'ideale, secondo Massimo, sarebbe non andare oltre i 5 elementi, tre alcolici e due di frutti (interi o pestati).
La buona riuscita di un cocktail, poi, non può prescindere dagli strumenti giusti, a cominciare dal vestito che si indossa, per finire con il tipo di bicchiere impiegato. “Un bravo barman”, racconta D'Addezio, “deve indossare sempre l'abito giusto, che metta a proprio agio il cliente e che sia in perfetta sintonia con l'ambiente in cui opera. Chi prepara un cocktail a bordo piscina avrà un abbigliamento diverso da chi miscela al bancone di un bar di alto livello”. Sulla scelta del bicchiere giusto, poi, Massimo non transige: sbagliare la forma, lo spessore del vetro, il gambo, vuol dire rovinare il cocktail. Il prodotto deve arrivare alla bocca al massimo alla temperatura di 2-3°. Se all'interno del bicchiere c'è del ghiaccio si può utilizzare un bicchiere privo di gambo; in caso contrario, il gambo è necessario per non riscaldare la bevanda con le mani. Saper individuare il bicchiere giusto e della corretta grandezza è importante anche per dosi e quantità: un barman non deve mai dimenticare il benessere del cliente; con una preparazione troppo intensa rischierebbe di rovinargli il pre o il dopo cena.
Sullo shaker, poi, D'Addezio potrebbe dilungarsi ore. Deve essere di grande qualità. Lui ne ha trovato addirittura uno che non produce condensa sulla superficie esterna e lo utilizza nel suo Ramos Gin Fizz a base di zucchero, succo di limone, tuorlo e acqua di fiori d'arancio. Per far montare il tuorlo è necessario shekerare per 6-7 minuti, e con la condensa lo shaker rischia di scivolare. I movimenti devono essere ben precisi e mirati. Per un cocktail molto secco, come il Martini per esempio, Massimo consiglia di utilizzare uno shaker piccolo, in cui il ghiaccio e gli ingredienti stiano ben serrati: in questo modo si ottiene un efficace raffreddamento del liquido senza alcuna perdita di scaglie di ghiaccio. Nel Daiquiri, invece qualche scaglietta di ghiaccio può ammorbidire l'effetto dell'alcol sulla lingua. Più il cocktail che si intende realizzare è morbido, più lo shaker da utilizzare deve essere grande. Il resto, poi, dipende dalla velocità e dalla forza dei movimenti: shaker, cucchiaino, stirrer devono essere mossi velocemente. Un altro aspetto da non trascurare è la preparazione dell'ambiente in cui si opera: deve essere freddo, il ghiaccio non deve mancare mai e anche i bicchieri e tutti gli strumenti devono essere freddi e pronti per l'utilizzo. Si deve creare una sorta di catena del freddo: il miscelatore deve poter preparare la sua ricetta in pochi secondi. Il Manhattan e l'Old Fashion, che prevedono l'impiego del whisky, richiedono almeno 2 minuti di miscelatura, ma in ogni caso devono arrivare al cliente/ospite a bassa temperatura.
E gli abbinamenti? D'Addezio su questo è categorico: a un buon cocktail non si può abbinare nulla. Si può giocare con gli abbinamenti all'interno della preparazione stessa, si può aggiungere della frutta fresca o adattare la ricetta al momento in cui deve essere consumata, per aperitivo o dopocena. Abbinare per ottenere il cocktail perfetto: è questo il segreto. Per D'Addezio, per esempio, il cocktail più equilibrato e adatto all'aperitivo è proprio l'Americano a base di Bitter Campari e Vermouth rosso: è amaricante, lo splash di soda favorisce la dilatazione allo stomaco, perfetto per l'apertura, prima di cena.
La frutta è un ingrediente prezioso per un barman, ma bisogna saperla scegliere. Alcuni frutti rendono meglio per il succo, altri per la polpa e un bravo miscelatore sa sempre cosa utilizzare e quando.“Ultimamente gioco molto con l'açaì, una bacca originaria della foresta amazzonica che cresce su una palma” spiega Massimo. “Ha uno splendido colore viola purpureo ed è ricco di antiossidanti. Lo utilizzo in un cocktail analcolico con banana e chicchi d'uva o in una mia versione della caipiroska con cachaça e lime”. Grazie al saggio impiego di frutta, secca e fresca, il bravo miscelatore romano è riuscito a rompere uno dei più antichi tabù del bere miscelato: la grappa nei cocktail. Mai provato uno con mele, pere, fichi secchi, prugne essiccate e grappa?
Quanto alla guarnizione, il barman di Co.So ha le idee chiare: “Niente sculture monolitiche sul bicchiere”. Il motto deve essere cocktail semplici per guarnizioni semplici. Bastano dei frutti di bosco ben lavati e asciugati. Eleganti, freschi, colorati e carichi di sapore, proprio come un buon cocktail.
Co.So. Cocktail&Social | Roma | via Braccio da Montone, 80 | tel. 06.45435428
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