Dire “cucina giapponese” è come dire “cucina italiana”. Ormai sappiamo tutti che non esiste una cucina italiana, ma che di fatto esistono infinite cucine locali dalle quali derivano altrettanti piatti tipici. Così abbiamo fatto due chiacchiere con lo chef Hirohiko Shodaper comprendere meglio la cucina giapponese, ne è emerso un quadro interessante fatto di stereotipi, di piatti poco conosciuti in Italia ma che, invece, in Giappone godono di grande fortuna, di ingredienti pressoché introvabili qui da noi o di errori comuni che un occidentale fa quando approccia alla gastronomia giapponese.
La cucina giapponese non è solo pesce crudo
Domanda numero uno: qual è il peggior stereotipo che noi italiani abbiamo nei confronti della cucina giapponese? “Uno stereotipo che ancora oggi sento spesso e che fa anche un po’ sorridere, è la convinzione che i giapponesi mangino solo pesce crudo. Questo dipende dal fatto che il sushi è divenuto molto popolare in Europa e che molti ristoranti cosiddetti “giapponesi” propongono soltanto questo tipo di piatto. In realtà la cucina giapponese, patrimonio Unesco mondiale, è peculiare proprio per la varietà dei suoi piatti, dei suoi ingredienti e delle tecniche di cottura utilizzate anche per cucinare un unico pasto, dal crudo, al fritto, stufato, a vapore, marinato, in brodo; dalla carne, al pesce, alle verdure di stagione, alle uova; dal dolce, al salato, acido, fino al cosiddetto quinto gusto, l’umami, quella sensazione “di buono” che è propria di molti ingredienti, combinati ad arte nella cucina giapponese”. Proprio per tentare di offrire uno strumento di conoscenza a chi desidera approfondire, chef Hiro ha scritto ben due libri, il primo, edito Gambero Rosso, “Ciao, sono Hiro” dove mostra le ricette a cottura zero e il secondo, edito Giunti, “Washoku, l’arte della cucina giapponese”, che raccoglie tutte le ricette tradizionali autentiche, ma anche tecniche, informazioni e curiosità sulla cucina e sulla cultura giapponese.
Non parlate di cucina asiatica
Una cultura che spesso noi occidentali conosciamo a malapena, tant'è che spesso incorriamo al classico errore di accumunare più culture in una: “Un errore ricorrente è generalizzare con il termine “asiatico” un tipo di gusto o di cultura, senza tener conto che l’Asia è un continente enorme con paesi totalmente differenti l’uno dall’altro per tipo di cucina, di società, di religione, di stile di vita. Aggiungere un goccino di salsa di soia non significa cucinare all’orientale, è davvero molto riduttivo, ma è comunque un primo tentativo di apertura che trovo positivo”. Un'altra tendenza comune è volere sostituire gli ingredienti specifici giapponesi con ingredienti simili occidentali, non necessariamente perché non reperibili, ma soltanto per cautela, per timore di uscire troppo dalla propria comfort zone. “È come chiedere a un italiano con cosa si può sostituire l’olio extravergine di oliva o il pomodoro, non esiste un sostituto, ogni cucina e ogni ingrediente vanno rispettati nella loro autenticità, chi vuole approcciarsi ad un’altra cucina deve avere la curiosità e il piacere di esplorare, condurre un minimo di ricerca e godersi 'il nuovo' come opportunità, non come pericolo, come quando si fa un bel viaggio”.
Qualche ingrediente rimane introvabile
Tutto giusto, però ci sarà qualche ingrediente non reperibile qui in Italia che invece è molto utilizzato in Giappone? “Oggi in Europa si riesce a trovare quasi tutto abbastanza facilmente online o nei numerosi negozi orientali, ovviamente è più difficile reperire prodotti e ingredienti freschi, come la radice di wasabi, totalmente diversa da quel composto comunemente commercializzato in polvere o in tubetto. Ho soprattutto nostalgia dei prodotti artigianali locali, delle materie prime tipiche delle varie Prefetture che ovviamente non vengono distribuite all’estero, un po’ come molti prodotti tipici regionali in Italia”.
I piatti giapponesi poco conosciuti in Italia
Oltre agli ingredienti (a dire il vero pochi) introvabili in Italia, ci sono anche dei piatti difficilmente presenti nei menu dei numerosi ristoranti giapponesi, che per assurdo sono invece molto popolari in Giappone. “Da noi è molto popolare il nabemono, il cibo della condivisione, cotto in un’unica pentola, appunto detta nabe, da porre al centro della tavola. L’origine è quella dell’antico focolare collocato al centro delle tradizionali case giapponesi, fonte di luce e calore, dove la famiglia si radunava per mangiare insieme e anche per riscaldarsi. Uno dei più popolari nabemono è lo shabu shabu, a base di fettine sottili di wagyu, il pregiato manzo giapponese, e verdure, immerse in una specifica pentola dalla forma conica, scottate nel liquido di cottura bollente e gustate. Poi l’oden, uno stufato di polpette di pesce e ingredienti di stagione cotti nel dashi, il tradizionale brodo giapponese. Infine, lo yose nabe, dal termine ‘yose’ che significa unire, in particolare il chanko nabe, il cibo consumato quotidianamente dai lottatori di sumo, bilanciato e ricco di energia”.
La ricetta delle korokke
Durante il lockdown lo chef ha pubblicato nei suoi social parecchi video in cui presenta una cucina giapponese accessibile a tutti, “occorre soltanto un po’ di curiosità e di voglia di aprirsi al mondo, soprattutto in questi tempi di chiusura obbligata. Tra queste video ricette hanno ottenuto un enorme successo le korokke, polpette tipiche dello street food giapponese, a base di patate e carne, impanate nel panko, il pane grattugiato giapponese, gustose e croccantissime”.