«Avete rotto il ca…o con ‘sto patriarcato». Ce lo hanno scritto diversi uomini su Facebook, sotto il post che condannava le frasi sessiste pronunciate dal cuoco Sergio Barzetti nella trasmissione del 19 dicembre È sempre Mezzogiorno. Lo chef ha detto che un goccio di vino può aiutare «per stordire la preda»: parole imperdonabili, proprio come quelle scritte sui social da molti utenti che hanno letto il nostro articolo.
"Pasturare" una donna non si dice
Partiamo da ciò che ci compete, la scrittura. Fa sorridere che, tra i vari appunti, ce ne sia anche uno di grammatica, a cui dedicheremo una piccola manciata di parole, ché il vero problema qui è di ben altra natura (e distogliere l’attenzione dal contenuto è un trucchetto fin troppo vecchio). Tra le frasi incriminate di Barzetti, il racconto del primo incontro con la moglie «quando pasturavo Laura eravamo a un corso di cucina»: alcuni utenti ci tengono a specificare che il verbo non significa – come scritto nel nostro articolo - «condurre al pascolo» ma «gettare ai pesci la pastura». Sono veri entrambi i significati, ma nessuno dei due sembrerebbe molto lusinghiero… siamo sicuri di voler sapere quale delle due (volgari) espressioni intendesse lo chef, quando avrebbe potuto dire – semplicemente - «corteggiare»?
Il sessismo non fa ridere
Veniamo al punto, però. Abbiamo perso il conto degli inviti a «farci una risata» riportati sotto il post. Molti fanno appello alla buona fede di Barzetti, ricordandoci che «questo non è progresso o emancipazione, è solo demenza delirante». Per altri abbiamo fondato una «pretestuosa polemica sul nulla cosmico». Peccato che quello che l'utente in questione definisce «nulla» porta con sé un retaggio culturale patriarcale di enorme portata. C'è un lettore, poi, particolarmente agguerrito, che ci spiega che è solo questione di «sensibilità» perché le frasi del cuoco sono sì «volgari» ma non paragonabili a «ben altre violenze». Conclude con stile: «Una vera Donna, ascoltando quelle frasi, si farebbe una risata. Ma ormai il mondo è pieno di femmine, che poi sono l’altra faccia dei maschi».
La denuncia non è violenza
Ringraziando il signore per spiegarci cosa significhi essere una donna, e soprattutto come dovremmo sentirci quando una di noi, per l’ennesima volta, viene trattata come un oggetto – da stordire o pasturare – una preda, qualcosa e non qualcuno, approfittiamo per porgli una domanda circa un altro commento fatto qualche riga prima: in che modo si sente «violentato leggendo articoli come questo»? Dov’è la violenza in un pezzo che denuncia un linguaggio sessista e discriminatorio andato in onda in televisione?
C’è addirittura chi arriva a parlare di arte, teatro, cinema, che potrebbero non esserci più se si va avanti di questo passo (il «passo» sarebbe la parità di genere). E conclude così, con una domanda a cui sentiamo l’obbligo morale di rispondere: «Una persona che ha pulsioni malate farà quello che vuole a prescindere da quello che viene detto in tv, lo volete capire o no?». No, non vogliamo, non dobbiamo, non possiamo ammetterlo. Chi stupra, chi uccide, chi esercita violenza su una donna non è una persona «con pulsioni malate»: come abbiamo cantato in piazza lo scorso 25 novembre (Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne), «l’assassino non è malato, è figlio sano del patriarcato». E il patriarcato, con cui tanto abbiamo «rotto», passa anche attraverso commenti del genere. A chi ci fa notare che parlare di stupro è eccessivo, infine, ricordiamo che con la definizione cultura dello stupro si intende tutto questo, qualsiasi comportamento, linguaggio, atteggiamento che normalizzi la violenza, l’abuso, la discriminazione.
E se mai ce ne fosse bisogno, commenti come questi - che (forse) sarebbero capitati a chiunque avesse scritto l’articolo, ma che ancora una volta sono toccati a una donna - dimostrano quanta strada ancora ci sia da fare in questo campo, quanto sia necessario, anzi urgente, parlarne ogni volta possibile. Un utente ci ha ricordato che «abbiamo perso l’occasione per stare zitti…». Ma noi abbiamo una voce, e la possibilità di farla sentire attraverso un giornale di settore. E, finché la questione ci riguarderà, il silenzio per noi non sarà mai un'opzione.