Forse è uno dei segnali che indica la crisi dell’editoria, della carta stampa e, quindi, di chi la vende. O forse è semplicemente un modo intelligente di usare una fitta rete già esistente e perfettamente inserita nel tessuto urbano. Oppure è solo lo strascico di una liberalizzazione buona nei propositi ma attuata in una maniera che, come dice Gianfranco Contini, vicepresidente FIPE Confcommercio Roma, “nasconde un cannibalismo della distribuzione commerciale”. Eppure, quando le cose si mettono male, c’è un settore che può facilmente affiancarsi a quello in pericolo e fungere da volano. L’alimentare, appunto.
Ed ecco spuntare la proposta di Luca Giansanti, capogruppo della lista civica Marino, che permette agli edicolanti di ampliare l’offerta vendendo anche snack e bibite. E se quello che nel resto d’Europa è normalità già da anni, a Roma può essere considerata una vera innovazione. Tutto, o quasi, è regolamentato nel dettaglio: i giornalai potranno vendere prodotti alimentari ma solo se non richiedono particolari conservazioni, che siano confezionati separatamente e non venduti sfusi. Acqua sì, purché in bottigliette biodegradabili (come a Torino) in non più di tre mesi. Un niet categorico su latte e alcolici. Perché il concetto della proposta del capogruppo è rendere l’edicola ancora più funzionale per il suo territorio, senza trasformarla in un bar. Roma ha già i suoi chioschi, con i loro spazi, i loro orari e le loro regolamentazioni. L’edicola sarà semplicemente un po’ più smart, diverrà un punto di riferimento per il turista che ha bisogno del biglietto per i mezzi pubblici, di una mappa di Roma e, perché no, anche di uno stuzzichino che lo accompagni durante le lunghe passeggiate tra chiese e monumenti. Quello che non è ben chiaro riguarda le modalità della somministrazione. I prodotti ad atmosfera controllata, come pani e tramezzini, sono inclusi nel pacchetto? E soprattutto, come ci si regolerà per la formazione? bar e chioschi sono vincolati da aggiornamenti professionali e regole Hccp. Ma le edicole? La proposta, si legge nel testo, ha l’intento di soddisfare due macro esigenze. “Da un lato quelle di una categoria storica per questa città e per il nostro paese: la rete delle edicole, patrimonio da tutelare ed autentico presidio di democrazia per non mettere a rischio oltre ai molti posti di lavoro la libertà e la pluralità dell’informazione; dall’altro lato le esigenze dei cittadini romani e dei turisti. Sui giornalai pesa non solo la riduzione della vendita di copie - processo inarrestabile sia per l’evoluzione verso il digitale e le nuove tecnologie – ma anche la moltiplicazione, autorizzata da provvedimenti normativi nazionali, di punti nuovi vendita (bar, tabaccherie, supermercati, distributori di carburante, strillonaggio non del tutto autorizzato e in diversi casi abusivo)”. Il presidente della FIPE Fabio Spada, dalle pagine di Repubblica, sostiene che così si disorienta il consumatore, mentre il vicepresidente Contini, in una nota, teme che “di questo passo si arriverà al tutti possono vendere tutto”. E conclude “la liberalizzazione, fino ad oggi, è avvenuta in forma anarchica e non ragionata. Ebbene, è arrivato il momento di invertire questo schema: prima di prendere iniziative, è dovere dei nostri amministratori valutare con uno sguardo d'insieme tutte le possibili conseguenze e ragionare sulle pari opportunità da offrire alle varie categorie del commercio”.
a cura di Saverio De Luca