Un hamburger 100% vegetale, l’Impossibile Burger
Non sono alimenti per vegetariani, ma per tutti: l’hanno spiegato già diverse volte Patrick Brown e Josh Tetrick, i due ideatori di Impossible Food, l’azienda di Redwood City, California, che vuole “eliminare una colossale inefficienza”: quella della carne ottenuta da animali che hanno mangiato piante. E passare, così, “direttamente dalle piante alla carne”, bypassando l’allevamento.
In un articolo apparso sul Venerdì di Repubblica l’inviato Riccardo Staglianò sperimenta in prima persona l’assaggio, raccontando il processo che ha portato a ideare l’Impossible Burger. Pat Brown e Josh Tetrick spiegano: “Non vogliamo fare proselitismo per il veganesimo, ma dare a tutti la possibilità di mangiare carne prodotta in laboratorio, con tutte le caratteristiche della carne vera, ma con un notevole taglio all’inquinamento e allo spreco di risorse”. Il primo è un 60enne biologo di Standford, fondatore della start up; il secondo è un 35enne ex borsista Fullbright, proprietario della Hampton Creek, azienda con cui ha prodotto in laboratorio il “neouovo”, creato con preparati prodotti a partire da proteine del pisello giallo canadese e da una varietà statunitense di sorgo: un esperimento che ha attirato diverse critiche in passato.
Non sono certo i primi a intraprendere questa strada: l’idea di produrre cibo a impatto ridotto annovera diversi esempi, fra cui Modern Meadow, che stampa in 3D le bistecche sintetiche, Beyond Meat, Bright Farms, Unreal Candy, Nu-teck Salt. Una prospettiva, quella di ricreare in laboratorio sapori, consistenze e aromi, perseguita anche dalla cucina Note by note, che però al momento, si limita al campo degli aromi.
Gli ingredienti dell’Impossible Burger
Ma com’è fatto esattamente l’Impossible Burger? Il primo ingrediente fondamentale per riprodurre la consistenza di un hamburger sono le proteine che vengono estratte dal grano e dalle patate, mentre per riprodurre sapore e, in particolare la parte di emoglobina che contiene ferro, si usa l’eme: dà al burger il colore rosso e il tipico sapore metallico derivato dal sangue dell’animale. Proprio questo uno degli aspetti più criticati: l’eme, infatti, viene estratto da batteri che vivono in simbiosi con alcune piante - il giornalista del Venerdì fa l’esempio degli agretti - ed è modificato in laboratorio a livello genetico per aumentare la concentrazione e modificarne la consistenza.
L'impossible burger
Nell’elenco degli ingredienti base compaiono ancora emulsionanti come xantano e konjac, per ricreare la compattezza delle fibre, e infine i grassi, quelli che fanno “sfrigolare l’hamburger durante la cottura”, riprodotti a partire da cocco e soia. E Staglianò non si fa mancare la degustazione: al primo assaggio non percepisce differenze, al secondo però qualcosa nell’armonia del prodotto si incrina, tanto da spingere il giornalista a descriverne il sapore come “stonato”, senza riuscire però a spiegare bene perché (“l’unica cosa che mi ricorda è il dado per il brodo, ma è un’approssimazione”, racconta sul Venerdì).
I proprietari della startup promettono che riusciranno a scardinare i “vecchi sistemi” per produrre carne, ma sono diverse le critiche piovute in questi anni su progetti simili: troppo enfatici rispetto ai risultati, troppo distanti dalle esigenze di alimentazione quotidiana, di difficile realizzazione a livello economico.
Ed è proprio qui che si apre la voragine del dubbio: mettendo da parte le caratteristiche organolettiche - sicuramente migliorabili - e il discorso etico che vede la cucina come deposito di un patrimonio inestimabile - si pensi alle ricette antiche, alle pratiche rurali di macellazione, ai legami e alle relazioni che la cultura della carne ha creato - la cosa evidente è la sproporzione fra intenti dichiarati dagli ideatori e realtà effettiva. Lo scopo dichiarato della startup, infatti, è cambiare le abitudini della gente, “impiegando il 95% di terra e il 75% di acqua in meno” per produrre carne, e farlo con due elementi decisivi: “quello del sapore e quello del costo”. E dato che, attualmente, l’hamburger viene venduto alla modica cifra di 18 dollari, ci sembra che i risultati raggiunti fin ora siano ben lontani dagli obiettivi prefissati.
Un’ultima considerazione: siamo davvero sicuri che creare carne per una popolazione mondiale in costante crescita a partire dalle piante sia davvero così sostenibile, in un’ottica di equilibrio globale delle risorse prodotte sul pianeta?
a cura di Francesca Fiore