La storia dell’invenzione della pizza Margherita è ormai di dominio comune, ma la riassumiamo: durante il soggiorno della corte sabauda alla reggia di Capodimonte di Napoli nel 1889, la Regina Margherita di Savoia convocò il pizzaiolo Raffaele Esposito per assaggiare la famosa pizza napoletana (qui trovate la storia e la ricetta originaria). Per l’occasione il cuoco ne preparò tre versioni, una delle quali con pomodoro, mozzarella e basilico che venne prontamente battezzata “Pizza Margherita” come omaggio alla Regina.
La pizza Margherita: tra realtà e leggenda
Dell’avvenimento si trovano ancora una lettera di ringraziamento inviata al pizzaiolo dal capo dei servizi di tavola della Real Casa Camillo Galli e una targa apposta all’esterno della pizzeria Brandi - questo il nome attuale del locale - in cui si ricorda la paternità della famosa specialità partenopea. Questa storia sospesa tra leggenda e realtà divide ancora oggi chi sostiene che l’invenzione della pizza Margherita sia da attribuire a Raffaele Esposito e chi, invece, afferma che questo modo di guarnire la pizza esistesse già e il suo merito fu solo quello di averla ribattezzata per l’occasione.
La pizza tra Napoli e Torino
A parte il dibattito sul condimento a base di pomodoro, mozzarella e basilico e chi l’avesse fatto per primo, di questa pizza si sa davvero poco. Al pari di tutte le pizze napoletane più antiche non si conosce il diametro, lo spessore, il tipo di pasta impiegato, il grado e il procedimento di cottura, insomma tutte quelle cose che oggi riteniamo basilari. Pensare che tutte le pizze napoletane fossero di un solo tipo e assomigliassero a quelle odierne potrebbe essere fuorviante rispetto alla realtà storica, probabilmente molto più complessa di come la immaginiamo. Forse non scopriremo mai come fosse veramente la pizza gustata dalla Regina Margherita, ma di certo sappiamo come era quella che mangiava suo figlio Vittorio Emanuele III. Quando il Re torinese aveva voglia di pizza si rivolgeva a una sola persona: il cuoco di Sua Altezza Reale Amedeo Pettini.
Il cuoco di Sua Maestà Amedeo Pettini
Amedeo Pettini, di soli 4 anni più anziano di Vittorio Emanuele III, era entrato nelle cucine reali a sedici anni e, durante la sua lunga carriera, ne ha scalato la gerarchia fino a diventare Capocuoco del Re. Le notizie sulla vita di Pettini sono scarne ed è solo grazie alle ricerche di Domenico Musci (“Il cuoco del re. Vita e ricette di Amedeo Pettini”, Torino, 2013) si riesce a sapere dei suoi servizi a Napoli e Posillipo a seguito del principe, luoghi in cui Pettini è venuto sicuramente in contatto con la cucina locale e, ovviamente, con la pizza. Verso la fine della sua carriera era diventato uno dei cuochi più famosi e influenti d’Italia: corteggiato dai grandi marchi dell’epoca si può considerare una delle prime chef star nostrane. I suoi meriti erano rappresentati dal grado che aveva raggiunto all’interno delle cucine sabaude, ma anche dall’indiscussa conoscenza dell’alta cucina che il cuoco aveva riversato in due celebri ricettari: il “Manuale di cucina e pasticceria” del 1914 e le “Cento ricette del cuoco del re” del 1933. Proprio in quest’ultimo libro, Amedeo Pettini riporta una delle più articolate e interessanti spiegazioni sul metodo per ottenere una pizza perfetta.
La pizza “Vittorio Emanuele III”
Dall’alto della sua esperienza, ma anche per la grande superbia per cui era noto, Pettini ci tiene a sottolineare che “né le pizze dei dongennaristi (i pizzaioli di scuola napoletana, ndr), né quelle descritte nei vari manuali di cucina raggiungono la finezza ottenuta dalla tecnica che a me piace indicarvi”. Come potete vedere nella ricetta che abbiamo realizzato, l’impasto contiene una certa quantità di latte e burro e viene sottoposto a una doppia lievitazione. La pizza, con dimensioni molto ridotte, viene stesa a uno spessore di mezzo centimetro e sistemata su una teglia con abbondante burro e olio (mentre i napoletani, secondo Pettini, usano lo strutto). La prima fase la cottura viene fatta su un fornello e solo dopo viene passata in forno.
Sia per consistenza che per dimensioni ricorda molto da vicino la tradizionale pizza al padellino torinese (qui trovate gli indirizzi dove mangiare pizza al padellino a Torino, oggi) e non si sa se la ricetta di Pettini sia stata influenzata da questa preparazione, oppure ne sia addirittura l’antesignana. Certo è che, secondo il parere dell’illustre cuoco, questa pizza aveva dei forti legami con quella napoletana a cui viene accostata e ciò potrebbe aprire interessanti spiragli riguardo ai metodi utilizzati dai pizzaioli napoletani all’inizio del secolo scorso.
Per la realizzazione della pizza ci siamo rivolti a Maolo Torreggiani “panificatore resistente”, come ama definirsi, con cui abbiamo riportato in vita questo piccolo capolavoro. Un grande ringraziamento va anche a Samanta Cornaviera, grande esperta di cucina del primo Novecento e inguaribile ammiratrice di Amedeo Pettini che ci ha permesso di scoprire lati inediti del cuoco del Re.
La ricetta della pizza del Re
Ingredienti per il lievitino
150 g di farina 00
80 g di acqua
25 g di lievito di birra fresco
Per l’impasto finale
450 g di farina 00
1 bicchiere di latte
50 g di burro
1 cucchiaino scarso di sale
Per la guarnizione
100 g di conserva di pomodoro
400 g di fiordilatte
18 filetti di acciughe
1 cucchiaino di origano
1 cucchiaio di prezzemolo fresco tritato
2 cucchiai di parmigiano grattugiato
Sale e pepe
Per la prima cottura
200 g di burro
200 g di olio
Impastate gli ingredienti del lievitino per ottenere una pallina piuttosto omogenea e mettetela a riposare coperta fino a che non raddoppia di volume. In alternativa immergetela in acqua a temperatura ambiente: quando verrà a galla sarà pronta per l’utilizzo.
Spezzettate il lievitino dentro la rimanente farina e aggiungete il latte, il burro e il sale. Impastate il tutto per qualche minuto fino a ottenere un impasto morbido che formerete a palla e lascerete riposare coperto per una decina di minuti. Passato questo tempo impastate nuovamente fino a rendere la superficie liscia.
Formate 6 palline da 150 gr l’una e appiattitele con le mani unte fino ad arrivare allo spessore di mezzo cm circa.
Mettetele in una larga teglia o in diversi padellini (molto più comodi per noi che non abbiamo a disposizione le grandi stufe economiche di un tempo) su cui avrete messo un misto di burro e olio e lasciatele riposare coperte a temperatura ambiente per circa mezz’ora.
Guarnite le pizze con il pomodoro, i filetti di acciughe, la mozzarella e il parmigiano grattugiato, di seguito ponete i padellini incoperchiati sul fuoco vivace per circa 7 minuti. Una volta completata questa prima cottura, passate i padellini in forno per 2 minuti con il grill regolato a massima potenza.
Appena uscita dal forno distribuite sopra un buon pizzico di origano e altrettanto di prezzemolo tritato, se credete aggiustate di sale e pepe. Gustatela caldissima.
Di seguito, per i più curiosi, potete trovare la ricetta originale.
Amedeo Pettini, Cento ricette del cuoco del re, Torino, 1933, p. 5.
Ingredienti: 600 grammi di farina doppio 0; 30 gr. di lievito di birra fresco; 200 grammi di burro; altrettanto peso d’olio; 400 gr. di mozzarella freschissima ; due cucchiaiate di conserva di pomidoro, ben lavorata e ristretta — con gli odori e burro — oppure la polpa di sei pomidori maturi, mondati e sgranati ; un bicchiere di buon latte ; un cucchiaio di foglioline d’origano; 150 gr. di acciughe salate od un tubetto di pasta d’acciughe di prima marca ; prezzemolo trito ; sale e pepe.
Formare un panetto con un quarto della farina, il lievito e acqua quanto basta perché il composto divenga soffice; lasciarlo lievitare fino a raddoppiare di volume. Con la rimanente farina, 50 gr. di burro, presa di sale ed il latte tiepido, acqua c. s., se ne occorre, fare un nuovo impasto ed infine mescolarvi il panetto lievitato; tenere in disparte al coperto per una seconda lievitazione. Intanto allineare sulla tavola in tanti piattini il disposto condimento : la mozzarella a fettine dello spessore di mezzo centimetro, i pomidori sbucciati e tagliati a pezzettini, le acciughe spinate e fatte pure a pezzi, il burro sciolto ed unito coll’olio. Faccio notare che il burro con la pizza non ha, folcloristicamente parlando, nulla di comune, usandosi a Napoli soltanto del buono strutto ovvero dell’olio quando si facciano pizze con pesciolini, con frutti di mare o con funghi; ma io ho reso il piatto più largamente accetto; questi sono i fini che si propone l’alta cucina, tenendo conto della difficoltà di trovare dappertutto del buono strutto. Ora prendete due teglie, ungetele largamente con burro crudo e deponetevi a debita distanza delle pallottole di pasta, grosse ognuna come un uovo di gallina piuttosto piccolo, schiacciatele con le dita unte nel burro affinché la pasta lievitando non si secchi e formatene tanti dischi dello spessore di circa mezzo centimetro. Le pizze dovranno riempire la teglia senza toccarsi; mettetele al tiepido affinché possano lievitare, ciò che avverrà nel termine di una mezz’ora. Coprite ogni disco di pasta con fettine di mozzarella, distribuitevi in tre punti equidistanti un pezzetto di acciuga o poca pasta di acciuga, mettendovi al di sopra dei pezzettini di pomidoro od un mucchiettino di conserva, cospargete con origano, prezzemolo e basilico triti ed in ultimo con sale, pepe e formaggio grattato. A mezzo di un cucchiaio irrorate largamente le pizzette col burro misto all’olio. Dieci minuti prima di mettere in tavola, collocate le teglie sul fornello, riscaldandole bene, fino a soffriggere, avanzatele in forno ben caldo, ritirandole appena accennano a colorire. Servitele caldissime. Le pizze potranno dirsi egregiamente riuscite qualora la pasta risulti porosa, leggera, cucinata al suo punto, ricca di condimento, aromatica: bisogna prepararne almeuo due per ogni commensale. Si fanno pure delle grandi pizze seguendo l’istesso metodo di preparazione, ma sono meno facili a servirsi.
a cura di Luca Cesari