“Milano gambe aperte, Milano che ride e si diverte”. Ma a che prezzo? Questo Lucio Dalla non lo cantava, ma “è di Bologna, che ne sa”, per citare il collega Alberto Fortis. Ma davvero a Milano ha vinto il modello Briatore, come scrive qui Paolo Manfredi? Davvero la città “vicino all’Europa” è fuori controllo per quanto riguarda i prezzi della ristorazione, non solo quella fine dining, lussuosa per definizione, ma anche quella media? Milano è cara o è costosa?
Il caso Mercato Centrale
Manfredi parla di un’esperienza al Mercato Centrale, che per chi non lo sapesse è uno spazio all’interno della stazione Centrale in cui si possono mangiare molte cose diverse in varie isole, alcune di buon livello, altre medie, cose cattive onestamente non se ne trovano, e i prezzi sì, francamente non sono bassi. Ma di mercati come quello milanese ce ne sono anche in altre città italiane – Torino, Firenze, Roma – e il livello degli scontrini è abbastanza in linea con gli standard meneghini, con la differenza che almeno lì non si paga il coperto, un odioso gravame che qualcuno ci dovrebbe spiegare, questo sì. Volete farci credere che tutto quello che genericamente si annette in quella voce (due, tre anche quattro euro a cabeza) non sia già ricompreso nei prezzi delle pietanze? L’acqua, che si paga a parte, no di certo. La seduta, dài, sarebbe come se al cinema si dovesse versare un supplemento per la poltrona dopo aver comprato il film.
Il prezzo dei panettoni
Insomma, il problema non è certo il Mercato Centrale. E nemmeno i panettoni artigianali a quaranta euro, come rileva Manfredi. I pasticcieri giurano che è il prezzo giusto visto il lavoro che c’è dietro ogni esemplare, e poi ne acquistiamo uno all’anno di quelli buoni, non è certo il lievitato natalizio a far saltare il banco. Anche perché i supermercati sono pieni di panettoni decorosi e rispettosi del disciplinare a molto meno di dieci euro, per chi vuole.
Le osterie e i secondi ristoranti
Il problema sono le osterie fighette con il conto di settanta euro, l’oste con la barba, la tovaglia no che non va più di moda e gli stessi mondeghili, lo stesso riso giallo, la carta dei vini zeppi di vini naturali di incerta provenienza e dubbia piacevolezza, ma tanto questo tira e questo ti diamo, e finché il locale e pieno e la lista d’attesa corposa va bene così, squadra che vince non si cambia (e tovaglia che non c’è non si lava). Il problema sono le pizzerie tutte inesorabilmente gourmet, molte con nomi napoletaneggianti ma senza troppo impegno, a far gara a chi ha la farina migliore e la lievitazione più lunga, roba che dall’orologio si è passati al calendario, e io sono il primo a godere di una buona Salsiccia e friarielli, ma se dovessi dire che tutte le pizze a sedici euro sono buon, ecco, no. Il problema sono i secondi ristoranti, quelli degli chef coperti di medaglie e onori nel loro ristorante di provincia, che scendono a Milano a sbigliettare, piazzano un loro allievo in cucina, dettano un menu con qualche classico e una cucina “à la” e il gioco è fatto, scuci un centone e dici di aver mangiato in uno stellato che la stella, ohibò, non ce l’ha. Il problema sono i ristoranti instagrammabili, quelli dove devi andare a tutti i costi per fare un paio di scatti per un “reel”, l’ultimo si chiama Sogni, ma prima abbiamo avuto il Beefbar, il 10_11, il Ronin. Il problema sono gli omakase che non sono omakase, la banconizzazione della cucina, la socializzazione della condivisione, che fa risparmiare il ristoratore con la scusa del piatto unico ma lo scontrino mica scende, i menu degustazione fatti anche da chi non se lo potrebbe permettere. Il problema sono i ristoranti romani che arrivano a Milano e raddoppiano i prezzi nel trasloco da Testaccio a Isola, abbassando un po’ la qualità. Il problema sono le porzioni misere, la shrinkflation della gastronomia, ti riduco l’input abbellendo il piatto e parlando di cucina sana e leggera, ma il prezzo resta quello. Il problema sono le catene, i bistrot, le catene di bistrot.
Che poi non è nemmeno il fatto che la qualità si paga, cosa che sappiamo tutti, e pure che noia. E non è che "se vuoi vivere a Milano devi pagare, altrimenti la città è piena di periferie, e le periferie piene di province, mica te l'ha ordinato il medico di vivere qui". Il problema è che tutte le grandi città d'Europa sono più dispendiose del resto del Paese, è una regola ineluttabile dettata dal mercato, dagli affitti, dalle mode che si susseguono. Milano è costosa, sì, e forse anche cara.
Ma alla fine non spariamoci sempre sui piedi, non siamo messi così male. E poi, alla fine, ognuno ha la ristorazione che si merita.